Un calcio in faccia

di Alberto Cacopardo - 18/05/2011
Formidabile batosta a Berlusconi. Punita la demonizzazione della magistratura. Altolà alla riforma costituzionale. Vendola si sublima e nasce il vendolismo. Il PD non è allo sbando. Bossi non giubila, Fini nemmeno e anche Grillo può servire a qualcosa.

16 maggio: è difficile sottrarsi a una certa sensazione di giubilo che si fa strada davanti a questi risultati. C’è il sentore che Berlusconi sia finito.

E’ inutile aspettare i ballottaggi per giudicare il peso politico di questa consultazione. Qualunque sia l’esito del secondo turno, l’effetto-bomba di questa prima tornata resterà incancellabile. Non ha esagerato Bersani, che è uno che non esagera mai, quando ha detto con aria molto sicura che, da domani, la situazione politica è cambiata e nulla sarà più come prima. Improvvisamente, le elezioni anticipate tornano ad essere una prospettiva possibile.

Veniamo da mesi in cui la spericolata operazione di riconquista della maggioranza parlamentare seguita al 14 novembre aveva conferito a Berlusconi una posticcia aura di imbattibilità che pesava come una cappa di piombo sul paese, dove quella maggioranza non c’era.

Poi l’uomo ha compiuto quello che è stato forse lo sbaglio più grosso della sua vita, quando ha messo in gioco tutto se stesso e tutta la sua parte politica nelle elezioni di Milano. Lì la catastrofe non poteva essere peggiore: con circa otto punti di scarto a favore di un Pisapia così prossimo alla maggioranza assoluta, sarebbe davvero un miracolo se la Moratti prevalesse al ballottaggio. E a quel punto, sarebbe comunque un miracolo di poco peso. Di grande peso è invece il risultato personale del candidato consigliere Berlusconi, che è lontano anni luce dalle 53.000 preferenze che incautamente si era dato come obiettivo. Difficilmente potrà ancora ripetere come un disco rotto che gli italiani sono con lui. Gli italiani gli hanno dato un calcio in faccia.

Perché la catastrofe non è soltanto milanese, la disfatta è generale e pesantissima su tutti i fronti. La destra resta arrocata in patetiche ridotte come Treviso, Vercelli, Catanzaro, Campobasso, mentre il centro-sinistra le infligge distacchi siderali nella padanissima metropoli di Torino. Nella critica situazione di Napoli, dove tutto sembrava favorire l’opposizione alla giunta uscente, Lettieri non agguanta il 40% e la somma dei suoi due avversari lo supera di quasi dieci punti. E a Bologna, che sembrava contendibile, la contesa è risolta al primo turno.

Per di più una disfatta di questa portata, e questo è un aspetto tutt’altro che secondario, è destinata ad avere un impatto pesante sulla psiche del capo dei capi: il quale ha davvero un temperamento eroico, e tenterà certamente di reagire, ma ha anche un disperato bisogno di sentirsi amato. Finché riesce a illudere se stesso e il mondo di essere oggetto di una generale infatuazione proporzionata ai suoi immensi meriti, la sua commedia può reggere. Ma la verità che queste elezioni testimoniano è che Berlusconi è riuscito a farsi odiare assai più intensamente di quanto sia riuscito a farsi amare. Guardandosi allo specchio la mattina, vedrà la faccia di un uomo detestato. Davanti a questi numeri, il colpo inferto alla sua sconfinata vanità e al suo orgoglio smisurato può diventare difficile da sopportare.

Dunque c’è da sperare che il tramonto di questo mito impresentabile sia ormai a portata di mano. Gli altisonanti progetti di riforma costituzionale propugnati al culmine della campagna elettorale milanese sono stati sonoramente bocciati e si può sperare che l’intero capitolo costituzionale si eclissi dall’orizzonte di questa legislatura e finisca nell’armadio degli incubi evaporati.

Ma c’è dell’altro in questa vittoria. I risultati sono altamente positivi anche sul piano della ricomposizione di un’opposizione capace di vincere. Non è stata una vittoria del PD, e questo è positivo, perché è un grosso colpo all’ipotesi bipartitica e dimostra che senza alleanze non si va lontano. Ma è bene che il successo di Fassino compensi la messa in ombra del partito a Napoli e a Milano, perché in questo momento, piaccia o non piaccia, il PD è un punto di riferimento insostituibile.

E’ molto bene che De Magistris sia passato al ballottaggio a Napoli, perché dimostra che la gente non si è fatta infinocchiare dalla spasmodica demonizzazione del dipietrismo che ha imperato a martello in tutti i media, e soprattutto dalla demonizzazione berluscaniana della magistratura. Questo garantisce all’alleanza una componente significativa che stia a sentinella della legalità. Ed è altamente positivo che vinca a Milano un vendoliano, perché lascia sperare che cresca una componente di sinistra autentica, ma altamente ragionevole e attendibile come forza di governo. Il successo di Pisapia, e forse quello futuro di Cagliari, segnano un passaggio a qualcosa di nuovo anche su questo fronte. Con queste elezioni, in un certo senso, Vendola si sublima e nasce il vendolismo. Che può diventare un modo di pensare che non si esaurisca nell’epifania di un capo, ma, contrapponendosi anche in questo radicalmente al berlusconismo, rifiuti il mito della personalità e metta in primo piano le scelte di indirizzo politico, coinvolgendo una pluralità di soggetti e di leader che si riconoscono in un orientamento deciso, nitido e privo di ambiguità e tentennamenti. Anche una componente così fatta è indispensabile in uno schieramento che vinca.

Sull’altro fronte è altrettanto confortante il sostanziale insuccesso della Lega, che sperava di guadagnare dall’eventuale debolezza del capo e vede svanire, almeno per il momento, queste speranze. Il disappunto di Bossi non ci addolora.

Non so invece se sia molto positivo il sostanziale insuccesso del Terzo Polo e in particolare di Fini. Si poteva sperare che questa presenza servisse a sottrarre più voti alla destra, consentendo di immaginare un futuro in cui queste forze non estremiste possano diventare calamita per quell’elettorato moderato che, prima o poi, abbandonerà in massa l’estremismo para-fascista di Silvio Berlusconi.

Mi sento invece di giudicare del tutto positivo il discreto successo dei famigerati grillini, che, al di là delle esasperazoioni e degli strabismi, rappresentano un modo di sentire che deve essere ascoltato e non demonizzato. Perché additano un rischio reale, che è quello di una collusione generale fra élites politiche contrapposte, volta a tutela degli interessi di casta. E’ un rischio che in Italia si è già materializzato in varie forme. Questa presenza, soprattutto se diventerà un po’ più ragionevole e posata, può contribuire a scongiurarlo.

Oggi dunque ci sono tutte le ragioni di brindare. Da domani c’è da pensare al futuro. La strada è ancora lunga, e irta di pericoli.

  

 

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