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La prima risposta è quella che si legge nel Vangelo, ed è ciò che dice Gesù
citando i Salmi: "Mi hanno odiato senza ragione". Questa risposta è
verissima, e vale per tutti gli uomini, perché l'odio non ha mai ragione, per
nessuna colpa e in nessuna circostanza, e solo quando la società uscirà dalla
spirale della reciprocità violenta, sarà salva. Ma per dare questa risposta
bisogna essere cristiani o nonviolenti, cosa ai tempi che corrono piuttosto
rara.
E allora bisogna dare anche altre risposte. Dire che è il clima, non è una
risposta. Ma con più cultura, oggi purtroppo dismessa in politica, si potrebbe
riconoscere una causa che la ricerca storica e antropologica ha ormai
sufficientemente chiarito, e cioè che quando la comunità concentra la sua
attenzione su figure fuori dell'ordinario, uomini di Stato, star, vedettes e
altri "uomini famosi", scatta una dinamica di ambivalenza di
amore-odio. Questa perciò è una cosa che va maneggiata con cura. I vecchi
sovrani che identificavano in sé il corpo stesso del popolo, erano i più
predisposti a suscitare sentimenti estremi, ciò di cui si mostrano consapevoli
molti degli antichi riti di intronizzazione, che innalzavano il re come se fosse
una vittima designata.
Berlusconi ha impostato la sua strategia politica attivando una estrema
polarizzazione sulla sua persona, accentuando al massimo la sua differenza: il
più ricco, il più bello, il più amato dalle donne e dai capi di Stato
stranieri, il miglior governante attraverso tre secoli, il più perseguitato di
tutti, il più calunniato, il più innocente, il primo sopra tutti i suoi pari,
insomma l'unico. Questo è di per sé un pericolo. Ma questo pericolo è stato
enormemente accresciuto dallo sciagurato sistema bipolare che gli apprendisti
stregoni hanno voluto a tutti i costi instaurare nel nostro Paese. Perché per
quanto in passato la popolarità di Berlusconi possa essere stata grande, in
ogni caso essa lasciava fuori dai processi imitativi e identificativi col capo
metà dell'Italia. E Berlusconi ha assunto la sua metà come se fosse il tutto:
il suo partito l'ha chiamato "popolo", rendendo gli altri "non
popolo"; e su tutto il non popolo, non votante per lui, sono piombate
definizioni ed epiteti, intesi come ingiurie, pesanti come il duomo di Milano:
mortadelle, coglioni, comunisti, cattocomunisti, sinistre, antitaliani in
combutta con lo straniero, giudici rossi, Corte incostituzionale, presidenti
della Repubblica partigiani, terroristi mediatici, eccitatori di odio e via
esorcizzando.
Questa temeraria e tragica polarizzazione non si esaurisce però nel rapporto
con la persona del leader, come avviene nei regimi cesaristi e totalitari, ma
nelle condizioni della democrazia investe, divide, corrompe e scuote tutto il
Paese. Essa erompe nella protesta degli esclusi, le cui rappresentanze sono
state addirittura cacciate dal Parlamento con quel 4 per cento che è tanto
piaciuto a Berlusconi e a Veltroni, e dilaga con la sua carica ansiogena
attraverso l'anello più debole ed emotivamente labile, che è il sistema
mediatico-informativo, sicché dopo la televisione non si riesce più neanche a
dormire la notte.
È forse per questo che oggi si vuol correre ai ripari spegnendo la democrazia,
dal cambio della Costituzione alla repressione dei cortei, facendo per essi
appello alle norme concepite per sedare le risse programmate dalle opposte
tifoserie negli stadi per cui ci vorrà, forse, una "tessera del
manifestante" concessa dal governo, e agli studenti dalla signora Gelmini.
L'accusa che si fa ai costituenti del 1947 è che essi hanno costruito un eccessivo
sistema di garanzie perché spaventati dal fascismo da cui erano appena usciti,
cosa che non sarebbe oggi più necessaria: ma avevano ragione loro se, non
appena si intaccano le garanzie, l'ombra del fascismo riappare; e anzi nel
mondo di oggi il terreno è più fertile di ieri, perché oggi ci sono grandi
concentrazioni di ricchezze che ieri non c'erano, e una potenza di fuoco
mediatica di cui allora non c'erano neanche i mezzi e il preannuncio.
Dunque è l'intero sistema politico che va ri-formato, con una decisa inversione
di tendenza rispetto alla deriva di questi ultimi vent'anni, che ci ha portato
fin qui. Questo è il senso della richiesta pressante, che sale dalla società,
anche da quella che il 5 dicembre si è tinta di viola, perché le forze democratiche
si riuniscano in una alleanza o "costellazione democratica" che si
assuma il compito di vincere le elezioni, ripristinare la pace e salvare la
Repubblica. L'accusa di voler così rifare il CLN o riprodurre le ammucchiate
senza altro cemento che l'antiberlusconismo, è stantia e radicalmente
infondata. La chiusura dell'esperienza Berlusconi - che gli stessi suoi amici
ormai dovrebbero perorare - non significa tanto rimuovere una persona che la
logica del sistema ha reso vittima catalizzatore e signore del conflitto, ma
significa rovesciare la logica dell'attuale sistema restituendogli piena
agibilità democratica, nonché liberare e nello stesso tempo regolare il
conflitto, riportandolo nei parametri civili delle necessarie lotte sociali,
sindacali e politiche.
Per questo insistiamo a dire che la grande alleanza democratica per la difesa
del costituzionalismo e la fondazione di una democrazia pluralista, non
sospende la lotta per la giustizia sociale, il lavoro, l'equità fiscale, la
sicurezza previdenziale e sanitaria, i beni comuni; né l'alleanza politica che
l'attuale legge elettorale, madre di tutte le storture, impone che sia estesa a
tutte le forze democratiche alternative alla destra, deve interamente tradursi
in una coalizione di governo; ciò naturalmente a condizione che tra le due
alleanze, quella politica più larga e quella esecutiva più ristretta, siano
stabiliti patti chiari e leali, non di potere, che garantiscano da un lato
l'identità e il radicamento sociale di ogni forza politica, dall'altro la
stabilità e la linearità dell'azione di governo.
Ciò è perfettamente possibile solo che si tenga conto che nell'emergenza si è
meno liberi che nella situazione di normalità: quella normalità democratica a
cui appunto è necessario tornare.
Berlusconi lo ha sentito soprattutto come uno sfregio morale. A lui, e a Milano! Ha scritto un leader pacifista, Enrico Peyretti: "Berlusconi ferito, umiliato e offeso lo sentiamo umanamente più vicino a noi. Nessuno offenda il potente nella sua fragilità". E umana, così da riavvicinarlo alla gente comune, è la domanda che l'aggredito ha rivolto a don Verzè e agli altri suoi amici: "Perché mi odiano?". Amicizia è rispondere a questa domanda