Lettera di Salvatore Borsellino agli studenti del Liceo Pasteur di Roma

di - 28/11/2010
La nostra sede di Roma, in collaborazione con Libertà e Giustizia, sta proponendo nei licei romani il progetto "La Repubblica siamo noi- La Costituzione nella vita e la vita nella Costituzione". Nell'ambito del progetto, all'incontro presso il liceo Pasteur del 1° dicembre 2010 era prevista la presenza di Salvatore Borsellino, che, per motivi personali, non potrà prtecipare. Borsellino ha inviato agli studenti del Liceo romano un messaggio che crediamo valga la pensa di essere letto.

Cari ragazzi, oggi avrei dovuto essere qui da voi  per cercare di farvi arrivare il messaggio di Paolo, un messaggio che Paolo affidò in una lettera scritta alle cinque del mattino del giorno della sua morte, quando una macchina posteggiata davanti al numero 19 di Via D'Amelio era stata già imbottita di quell'esplosivo la cui esplosione, a poche ore di distanza, avrebbe causato la sua morte e quella dei cinque ragazzi che gli facevano da scorta. In quella lettera, indirizzata a dei ragazzi della vostra stessa età, dei ragazzi di un liceo di Padova, Paolo lascia il suo ultimo messaggio che sembra quasi incredibile possa essere scritto da un uomo  che, in quei giorni, usciva ogni mattino dalla sua casa senza sapere se avrebbe potuto farvi ritorno alla sera per riabbracciare sua moglie e i suoi figli. Quei figli che amava più di ogni altra cosa al mondo tanto che, come aveva confessato a nostra madre, stava facendo qualcosa che è quasi impossibile da capire, stava cercando di allontanarsi affettivamente da loro, non faceva più loro le carezze, negava le coccole alla sua figlia più piccola, perché sperava, come disse a nostra madre, che i suoi figli avrebbero potuto sentire meno la sua mancanza nel momento in cui lo avessero ammazzato.

Eppure, in quei momenti così terribili, Paolo scrive, per giovani come voi, parole come queste:

"Sono ottimista perché vedo che verso la criminalità mafiosa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant'anni, quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di combattere di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta."

Meditate queste parole ragazzi e cercate di capire quale possa essere la forza che può spingere un uomo che sa di avere poche ore di vita a scrivere parole come queste, a dichiarare di non avere perso la speranza, di essere ottimista e ad accusare nel contempo se stesso di indifferenza soltanto perché, fino agli anni 80, fino ai quarant'anni, non aveva ancora cominciato ad occuparsi di processi penali, di lotta alla criminalità mafiosa, ma soltanto di processi civili, di quella disciplina giuridica relativa al diritto civile, che aveva sempre costituito la sua passione.

Io queste parole le ho capito da poco, io che sono fuggito via da Palermo quarant'anni fa e che ho creduto a lungo che questa fosse stata la scelta migliore, dopo la morte di mio fratello ho capito che la mia è stata soltanto una scelta egoistica e che è stata anche una scelta sbagliata, inutile, perché quel cancro da cui avevo creduto di fuggire, si è ora esteso, è entrato in metastasi, sta corrompendo tutto il tessuto del nostro paese e le stesse istituzioni. Ho capito anche, dopo anni in cui avevo perso la speranza, in cui avevo creduto che la morte di Paolo non fosse servita a nulla, che non avremmo più sentito quel "fresco profumo di libertà" per cui Palo aveva sacrificato la sua vita, ho capito dopo quel silenzio da cui non riuscivo a uscire e che era durato sette lunghi anni in cui mi sono sentito morto dentro, che non era mio diritto perdere la speranza e sono riuscito a capire perché Paolo non la aveva persa anche nell'ultimo giorno della sua vita. Perché la speranza non devo nutrirla per me stesso ma per voi giovani, per i miei figli, per i nostri figli, è necessario che ciascuno di noi lotti, fino all'ultimo giorno della sua vita, perché voi giovani possiate avere un futuro degno di questo nome, perché quel "fresco profumo di libertà" un giorno voi non dobbiate andarlo a cercare in un "altro paese" ma in "questo paese" perché. come diceva Giuseppe Gatì, "questa e la mia terra e io la difendo".

 

Con affetto

 

Salvatore Borsellino

18 novembre 2011
18 novembre 2011
17 novembre 2011

GIORNATA NAZIONALE DEL TESTAMENTO BIOLOGICO: L'ITALIA LAICA SI RITROVA A UDINE

di Maurizio Cecconi e Cinzia Gori portavoce del CLN