La maggioranza provvisoria approva
in commissione al Senato il suo progetto di riforma costituzionale.
Il primo punto è la riduzione del
numero dei parlamentari. E’ il mezzo per farla piacere ai cittadini, cui
si è parlato di dimezzamento. Ma tra tutte le proposte viene scelta la
riduzione più timida e meno incisiva: i deputati scendono da 630 a 508,
i senatori da 315 a 254.
Il secondo punto è il superamento
del bicameralismo perfetto, che permette a ognuna delle due Camere di rinviare
all’altra un disegno di legge modificato. Ma il superamento non c’è:
le due Camere restano entrambe titolari del rapporto di fiducia col governo
e quindi in condizioni di parità sostanziale. La differenza tra le due
Camere è fissata per competenze: alla Camera gli affari di Stato, al Senato
gli affari regionali. Ma l’esperienza ha già chiarito come sia impossibile
tracciare un confine preciso tra le due categorie e la Corte Costituzionale
ha già passato anni a risolvere il dilemma. E anche sul rinvio da una Camera
all’altra, formalmente limitato a due passaggi (dalla Camera d’origine
all’altra e ritorno) è stata scelta la soluzione meno chiara tra tutte
quelle prospettate.
In realtà il bicameralismo perfetto
si può davvero superare con l’attribuzione del rapporto fiduciario solo
alla Camera e con l’elezione indiretta da parte dei Consigli regionali
del Senato, che diventa così la Camera delle autonomie regionali e locali.
Ma la maggioranza provvisoria non ha mai considerato questa opzione. Così
il bicameralismo diventa imperfetto e molto farraginoso.
Il terzo punto è il rafforzamento
del governo. Questo può stabilire una via speciale per i suoi disegni di
legge e pretenderne la votazione entro brevissimo tempo senza emendamenti.
E’ il cosiddetto voto bloccato: le Camere non hanno alcuna autonomia e
non possono incidere sulla decisione governativa. Peggio: se votano contro
rischiano lo scioglimento.
E qui si va al quarto punto: il
rafforzamento del Presidente del Consiglio. La fiducia non va più al Governo
ma a lui solo. Egli aggiunge alla facoltà di nomina dei ministri anche
quella di revoca. E per di più acquisisce la facoltà di chiedere al Presidente
della Repubblica lo scioglimento delle Camere.
Questo capolavoro di concentrazione
del potere nelle mani di un solo soggetto viene rivenduto dalla propaganda
della maggioranza provvisoria come accurato bilanciamento tra il rafforzamento
del governo e quello del Parlamento. Si dice: anche una Camera può sfiduciare
il capo del governo. Sì: a patto di indicare entro ventuno giorni il suo
sostituto. Si chiama sfiducia costruttiva: funziona in Germania dove i
partiti sono pochi e le coalizione salde. Ma nella realtà politica italiana,
dove i partiti grandi rimpiccoliscono e i partiti piccoli si moltiplicano,
la sfiducia costruttiva non è uno strumento nelle mani del Parlamento ma
un mezzo di ricatto nelle mani del Presidente del Consiglio.
Riduzione dei parlamentari minima.
Bicameralismo non superato. Supremazia del governo sopra le Camere. Dominio
indiscusso del Presidente del Consiglio sulle Camere e sul suo stesso governo.
Parlamento indebolito e intristito. Presidente della Repubblica privato
di alcuni dei suoi poteri. Questa è la riforma della Costituzione che arriverà
in aula al Senato la settimana prossima. Come il PD potrà giustificare
questo capolavoro davanti ai suoi elettori è un vero mistero. Racconterà
loro che i nuovi superpoteri toccheranno al PD?
Ma se si poteva pensare di aver
visto il peggio ci sarà da ricredersi perché, a quanto pare, in aula il
Pdl presenterà un emendamento per introdurre il presidenzialismo e la definitiva
rottamazione del Parlamento. Da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale
con un semplice emendamento in aula! E il PD abboccherà?
La riforma della Costituzione che arriverà al Senato la settimana prossima rischia di trasformare la nostra repubblica parlamentare in repubblica presidenziale. Il Pd abboccherà?