Canale 5, il manganello del Cavaliere

di Pancho Pardi - 17/10/2009
Il governo sta per varare una legge per troncare alla radice il protagonismo dei giudici. Ma Canale 5 rovescia con impudicizia estrema tale principio: non solo si deve sapere chi è il giudice ma addirittura lo si mostra nella sua indifesa quotidianità

Accadono cose più gravi ma non si può trascurare il pedinamento televisivo che Canale 5 ha riservato al giudice Mesiano, estensore della sentenza che obbliga Mediaset a pagare 750 milioni di euro a De Benedetti per lo scippo della Mondatori, ottenuta a suo tempo con la corruzione del giudice Metta da parte di Previti con fondi Fininvest.

Sul giudice Mesiano Berlusconi aveva subito sparato a zero: ne vedremo delle belle, aveva pronosticato. Lo zelo dei suoi dipendenti si è applicato a tamburo battente. Conta poco che il pedinamento abbia avuto esito minimalista. Il servizio di Claudio Brachino ha infatti appurato che il giudice era impaziente mentre aspettava il suo turno dal barbiere. Non avendo niente di più succoso il commento qualificava il comportamento come stravagante.Anzi: “Alle sue stravaganze siamo ormai abituati”. Frase curiosa ma rivelatrice. Sembra implicare una sorveglianza di durata tanto serrata da produrre nei sorveglianti assuefazione. Si saranno messi all’opera subito dopo la sentenza o addirittura prima, come cautela preventiva? Chi può saperlo?

Ma conta molto di più che la rete ammiraglia di Berlusconi abbia pedinato il giudice, lo abbia ripreso a sua insaputa, lo abbia mostrato ai telespettatori. Oggetto di sguardo indiscreto qualsiasi momento di vita quotidiana può essere travisato con l’aiuto di un commento insinuante. Il gesto più insignificante può essere additato come sintomo rivelatore di un’attitudine che, proprio perché non spiegata e misteriosa, può apparire ancora più insidiosa: prova provata di un carattere ostile.

L’allusione che si fa maldicenza resta generica ma assume un carattere di precisione chirurgica. Vuol dire: questo che vedete è l’uomo qualsiasi che ha imposto una multa smisurata al presidente del consiglio migliore che l’Italia abbia mai avuto. E noi ve lo mostriamo nella sua insignificante quotidianità. E’ legittimo che un uomo così insignificante possa colpire l’eletto dal popolo? E il popolo non dovrà allora esprimere riprovazione per un gesto che cancella l’abisso che deve separare l’uomo comune dal capo?

Si può perfino pensare che lo zelante Claudio Brachino non sia stato consapevole dello squadrismo intrinseco del suo servizio: puro olio di ricino mediatico. Ma la possibile, per quanto improbabile, ignoranza dello strumento attivo non può far dimenticare l’evidenza schiacciante del possesso proprietario. La rete è del padrone che sta al vertice del potere politico. Il servizio potrebbe anche essere perfettamente anonimo. Ma la firma è una sola. E svela la miseria di un potere che deve ricorrere alla ritorsione personale nei confronti del singolo magistrato.

Qui c’è una contraddizione vistosa. Nelle intenzioni del governo, in un disegno di legge in preparazione, si dovrebbe perfino ignorare il nome e il volto del magistrato in causa. Si vuole una giustizia anonima per troncare alla radice il protagonismo dei giudici. Misura che nega il diritto alla conoscenza da parte del cittadino. Ma qui è rovesciata con impudicizia estrema: non solo si deve sapere chi è il giudice ma addirittura lo si mostra nella sua indifesa quotidianità. E per questo servizio il presidente del consiglio usa i suoi mezzi privati. In una qualsiasi altra democrazia ne sarebbe privo. Ma qualche commentatore bipartisan penserà che va già bene che non abbia usato i mezzi pubblici.

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