Censurano perfino lui

di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 30/08/2010
Sempre più difficile. Dopo aver censurato lo scoop dell’Espresso sulle nuove accuse di mafia lanciate da Spatuzza a Schifani, la libera stampa italiana si è vista costretta a censurare anche la replica del presidente del Senato alle accuse di Spatuzza

E’ tutto collegato, come spiegava il mitico professor Sassaroli all’architetto Melandri che chiedeva la mano di sua moglie Donatella nel film Amici miei, sbolognandogli tutto il cucuzzaro: “Vede, è tutta una catena di affetti che né io né lei possiamo spezzare. Lei ama mia moglie. Mia moglie è affezionata alla bestia, il cane Birillo, che mangia un chilo di macinato al giorno, un chilo e mezzo di riso e ogni mattina bisogna portarlo a orinare alle 5 sennò le inonda la casa. Birillo adora le bambine. Le bambine sono attaccatissime alla governante, tedesca, due anni di contratto, severissima, in uniforme. Insomma, chi si prende Donatella si prende per forza tutto il blocco”.

Ecco, chi censura lo scoop dell’Espresso innesca una catena di censure che nessuno può spezzare: gli tocca censurare tutto il blocco. Spatuzza dice che Schifani era il trait d’union tra i Graviano e Berlusconi & Dell’Utri. In un colpo solo si beve il presidente del Senato, il presidente del Consiglio e il senatore che inventò Forza Italia. Passi per Dell’Utri e i Graviano, che ci sono abituati: ma come si fa a dare una notizia che accosta B. e Schifani a Cosa Nostra senz’aver mai scritto un rigo in materia? Dandola, si dovrebbe accompagnarla con un commentino, tipo quello in cui tre mesi fa un giornale a caso, il Corriere della sera, chiedeva conto e ragione a Di Pietro di una foto del ’92 che lo ritraeva a cena con una decina di ufficiali dei carabinieri e con Bruno Contrada, all’epoca numero 3 del Sisde e non ancora arrestato per mafia. O tipo quello in cui un mese fa un giornale a caso, il Corriere della sera, chiedeva conto e ragione al presidente della Camera Fini di un alloggetto affittato dal cognato a Montecarlo.

E una richiesta di spiegazioni a Schifani e a B. non basterebbe ancora a pareggiare il conto, visto che è impossibile paragonare un’inchiesta per mafia con una foto con Contrada e con un alloggetto di 65 metri quadri. Dopodichè un giornale a caso – poniamo sempre il Corriere, ma anche Repubblica – dovrebbero spiegare perché attaccarono un giornalista, di cui ci sfugge il nome, che due anni fa raccontò in tv gl’imbarazzanti trascorsi societari di Schifani con vari tipetti poi condannati per mafia. Meglio dunque ignorare la notizia (come fa il Corriere) o nasconderla in un trafiletto a pagina 25 (come fa Repubblica). E, l’indomani, censurare il comunicato di risposta del presidente del Senato (come fanno sia il Corriere sia Repubblica sia tutti gli altri giornali e tg d’Italia, a parte Il Fatto). Tutto ciò avviene in una sedicente democrazia dove, non appena un politico tira una scoreggina, emette un ruttino, dichiara che oggi piove o tira vento, plotoni di telecamere e cronisti da riporto si precipitano a raccogliere e a rilanciare urbi et orbi la scoreggina, il ruttino e la dichiarazione. Anni fa Schifani, allora capogruppo di Forza Italia, diramò un comunicato per rivelare che, non trovando un tavolo libero al ristorante, aveva “fatto la coda come un cittadino qualunque”. Notizia epocale, subito ripresa con ampio risalto dal Corriere.

Di recente, quando un lieve terremoto ha scosso le isole Eolie, giornali e tg pendevano letteralmente dalle labbra dello Schifani, che in quel momento passava di lì sul suo veliero, a riprova del fatto che le disgrazie non vengono mai sole. Poi la seconda carica dello Stato chiede di essere interrogata dalla Procura di Palermo sulle accuse di mafia che gli lancia Spatuzza e nessun organo d’informazione lo scrive, così nessun cittadino lo viene a sapere, salvo i fortunati lettori del nostro giornale. Gentile presidente del Senato, accetti un consiglio da amici: la prossima volta che vuol parlare dei suoi rapporti con la mafia, lasci perdere i comunicati stampa. Ci dia un colpo di telefono: facciamo prima.

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