Che fare per la Siria? La sinistra italiana davanti al dramma siriano.

di Alberto Cacopardo - 22/04/2012
Non è impossibile che in Siria la violenza regredisca e si esaurisca davanti alla forza di un processo di pacificazione che consenta finalmente davvero al popolo siriano di esprimere liberamente la sua volontà e decidere chi lo governi

Mentre i primi osservatori inviati dall’Onu in base alla Risoluzione 2042 del 14 febbraio sono già in Siria e si attende l'arrivo degli altri trecento disposti dalla nuova risoluzione 2043 approvata ieri, una segnalazione di Patrick Boylan, degli Statunitensi contro la Guerra di Roma, mi induce ad una breve riflessione sulla situazione siriana in riferimento ad alcuni appelli recentemente lanciati in merito dalla sinistra italiana.

Il primo risale al 14 febbraio e fu diffuso in appoggio alla manifestazione convocata a Roma per il 19 febbraio dalla rappresentanza italiana del Consiglio Nazionale Siriano.

Il CNS è una delle quattro principali organizzazioni della resistenza siriana, insieme al Free Syrian Army (FSA), ai Local Coordination Committees (LCC) e al National Coordination Body for Democratic Change (NCBDC).

Fra queste il Consiglio Nazionale Siriano è quella più sostenuta dai paesi occidentali e dagli stati arabi più inclini all’intervento armato, come il Qatar. Questa organizzazione si è più volte pronunciata a favore di un intervento internazionale, dichiarando di recente il suo pieno appoggio, anche finanziario, al Libero Esercito Siriano , che è la forza, sempre più organizzata e ben equipaggiata, che guida la lotta armata al regime di Assad.

I Local Coordination Committees (Comitati di Coordinamento Locale) sono l’organizzazione più radicata nella base dei movimenti, nata fin dai primordi della rivolta oltre un anno fa per coordinare le disparate realtà locali in stato di agitazione. Comprendono soggetti di un po’ tutti i diversi orientamenti che hanno in comune il rifiuto del processo di riforma costituzionale proposto da Assad col referendum del 26 febbraio.

Il National Coordination Body for Democratic Change (Coordinamento Nazionale Siriano per il Cambiamento Democratico) ha respinto anch’esso questo processo, ma si distingue per il suo netto rifiuto di qualsiasi intervento armato esterno, criticando in particolare il modello libico.

L’appello del 14 febbraio fu firmato, fra gli altri da Alex Zanotelli, Unicobas e Socialismo Rivoluzionario in appoggio alla piattaforma del CNS Italia per la manifestazione del 19 dello stesso mese. La piattaforma rivendica le dimissioni di Assad prima di un periodo di transizione che conduca a libere elezioni. Questa non mi sembra una richiesta ragionevole e ispirata alla ricerca di una soluzione pacifica. E’ infatti evidente che il governo Assad, nonostante la sua reazione non certo morbida alle manifestazioni di dissenso anche pacifiche, gode di considerevole appoggio fra la popolazione, come risulta chiaramente dall’affluenza al referendum del 26 febbraio, che raggiunse il 54% nonostante il boicottaggio di tutta l’opposizione, con un voto a favore dell’89%. Non fu un voto “bulgaro” in stile Saddam Hussein, come si vede, e, fino a prova contraria si deve ritenere che rifletta il consenso al regime di una fetta molto consistente della popolazione (vale la pena di consultare a questo proposito questa “Testimonianza di un gruppo di italiani che vive in Siria” raccolta da Giorgio Paolucci per il quotidiano Avvenire).

In queste condizioni, piuttosto che pretendere le preventive dimissioni di Assad, sarebbe stato opportuno e possibile battersi per l’effettiva regolarità sotto controllo internazionale delle elezioni promesse dal governo. Il CNS ha scelto invece la strada dell’opposizione frontale, puntando tutto sull’insurrezione armata, che finisce di fatto per giustificare e rendere inevitabile il contrasto armato da parte del governo.

Il documento del 14 febbraio prosegue poi dichiarando da una parte “il rifiuto totale di qualsiasi intervento militare in Siria”, per richiedere subito dopo “la difesa anche internazionale dei civili come previsto dallo statuto dell’Onu”, ossia proprio ciò che hanno preteso di fare le potenze occidentali intervenute in Libia, con le decine di migliaia di morti che ne sono conseguite (vedi qui l’analisi ex-post di quell'intera vicenda).

Rappresenta un netto passo avanti dunque il successivo appello, firmato fra gli altri da Vauro Senesi, Vittorio Agnoletto, Piero Maestri e Franco Russo, in appoggio alle manifestazioni “contro il regime di Assad e contro l’intervento straniero” convocate il 15 marzo scorso a Roma e Milano dalla rappresentanza italiana nel National Coordination Body for Democratic Change. Qui si condannano con grande forza le violenze del regime di Assad (sulle quali peraltro, dopo l’esperienza delle clamorose menzogne diffuse a suo tempo sugli atti di Gheddafi, bisognerebbe esigere prove più certe dei comunicati dell’opposizione); si esprime pieno sostegno alla “rivoluzione siriana”; ma si rifiuta con altrettanta chiarezza qualsiasi forma di intervento armato o No Fly Zone. Ci si dimentica tuttavia di menzionare il ricorso alla violenza e le gravi violazioni compiute dall’opposizione armata che, stando a varie fonti, si è resa responsabile fra l’altro di molte esecuzioni stragiudiziali di prigionieri disarmati. L’appello ha sì il merito di richiamare e condannare i precedenti interventi armati della Nato, dal Kossovo alla Libia, ma quando invita “le amiche e gli amici della giustizia e della pace” a sostenere senza riserve una ribellione che è diventata di fatto lotta armata e guerra civile, non mi sento per nulla di aderire: bisogna che la sinistra si decida a condannare una volta per tutte il ricorso alla violenza a scopi politici, da parte di chiunque e dovunque, poiché non è uccidendo che si fa prevalere la giustizia. Quando si viene alle armi, prevale la parte più forte, la più ricca, o quella sostenuta e foraggiata dai più forti e dai più ricchi. Le ragioni della giustizia e della pace non sono compatibili con il ricorso alla forza. La violenza di chi si crede giusto giustifica la violenza degli ingiusti.

Per questo vedo un ulteriore passo avanti nel documento diffuso dall’Arci, a firma di Paolo Beni e Flavio Mongelli, in appoggio alle stesse manifestazioni del 15 marzo. Questo appello condanna le violenze del regime, ma anche “la spirale di violenza che alimenta la guerra civile”; invita a far tacere “tutte le armi”; rifiuta il “modello Libia” e “i giochi di potere sui futuri equilibri mediorientali”; e invita infine a manifestare nel segno “del rifiuto delle armi”. Forse si poteva essere più espliciti, ma qui la direzione è quella buona.

Concludiamo con un cenno di speranza. I due documenti del 15 marzo si appellavano entrambi all’Onu perché inviasse una commissione indipendente a monitorare la cessazione delle violenze e a gettare le basi di un percorso che approdasse alle libere elezioni. E’ proprio quello che sta succedendo in questi giorni, in seguito alla Risoluzione 2042 del 14 aprile.

Ci sono soggetti molto potenti, in Occidente e in campo arabo, che non desiderano che questo processo abbia successo, perché vogliono alimentare la lotta armata con il preciso obiettivo geopolitico di rimuovere l’unico regime non allineato all’Occidente rimasto ancora in piedi fra gli arabi. Questi soggetti, proprio in queste ore, si sono già dati a proclamare che il cessate il fuoco previsto dalla risoluzione è fallito. E’ del tutto prevedibile che il Free Syrian Army faccia tutto il possibile perché questo accada, mentre non è certo che il regime di Assad abbia la saggezza di astenersi dall’uso della forza. L’emiro del Qatar in visita a Roma ha dichiarato il suo pieno sostegno alla lotta armata. Le accuse reciproche di violazioni del cessate il fuoco si moltiplicano e un attacco all'aeroporto militare di Damasco è stato lanciato proprio ieri dai ribelli. Ma sembra chiaro che dal 12 aprile, data d'inizio del cessate il fuoco, l'intensità degli scontri sia diminuita e si può sperare che l'arrivo degli osservatori possa avere l'effetto sperato.

Non è impossibile che succeda un miracolo. Che la violenza regredisca e si esaurisca davanti alla forza di un processo di pacificazione che consenta finalmente davvero al popolo siriano di esprimere liberamente la sua volontà e decidere chi lo governi: sarebbe quanto di meglio possiamo augurare a tutti i siriani e a tutto il Medio Oriente.

 

 

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