Concertare o decidere? La politica e la semantica

di Carlo Diana - 16/07/2012
La concertazione fra Governo e parti sociali su importanti scelte di politica economica, è stato di recente il tema più dibattuto tra i media e sul web

Alla ministra Fornero sembra assegnato il ruolo di “punta di diamante” del Governo Monti, con l’obiettivo di sondare umori e reazioni del paese attorno a delicati temi, proponendone visioni e letture sempre più “spinte”. Quello della “concertazione” ha appassionato un po’ tutti. Tralasciando gli interventi di parte, cioè di esponenti sindacali e dell’associazionismo industriale, gli opinionisti si sono sbizzarriti, equamente disposti a tinte dai toni sfumati, tutti o quasi dalla stessa parte, cioè a favore della tesi della Fornero, corroborata successivamente dall’avallo di Sir Monti. Ciò di cui pochi si accorgono è lo stravolgimento del senso delle parole e del significato dei più elementari principi di democrazia costituzionale operato da questo Governo.

Ma siamo appena all’inizio e i lavori restano in corso d’opera. In un mondo governato dalla parola e dai media, le più efficaci riforme sono quelle semantiche (cfr. Hannah Arendt “Vita activa “, ed. Bompiani, 2003). Laddove non si provi neppure con la procedura costituzionalmente prevista, ad esempio, a cambiare l’art. 1 della Costituzione, si provvede con una “battuta” secca della Ministro: “Il lavoro non è un diritto”. Il dibattito è aperto e seguono interventi d’ogni genere nei quali si sciorinano le più invereconde teorie giuslavoristiche, sociologiche, filosofiche, giuridiche. Ma anche statistiche, matematiche, mediche, religiose. Quelle a favore della tesi della Fornero non le citiamo perché in qualche modo coerenti con e conseguenti ad una certa visione del mondo che vorrebbe i lavoratori, le persone, i cittadini, assegnati alle loro necessità di vita, alle attività umane, non per diritto universale inderogabile ed inalienabile (diritto alla sopravvivenza) ma in virtù di una risultante economica consegnata al gioco della domanda e della offerta, sistema a sua volta poco governato e sempre più deregolamentato. E’ un’idea di convivenza civile (meglio sarebbe dire incivile) che non può essere rispettata perché in contrasto, oltre che con la Costituzione italiana, almeno con altri due fondamentali istituti normativi dei paesi occidentali: la Convenzione internazionale dell’ Aja del 1899, la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Quest’ultima – non per indeterminata variabile economica ma per definita volontà delle parti – firmata a Roma il 4 novembre 1950.

 

Il lavoro di delegittimazione linguistica e mediatica dei valori di convivenza civile continua e il “cavallo i Troia” (leggi Fornero n.d.r.) si insedia in un’altra piazza espropriando l‘Agorà del diritto di scegliere e concordare assieme le più importanti misure di politica economica del paese. In buona sostanza il “Paese”, proprietario assoluto di se stesso, non può indicare al suo amministratore pro-tempore cosa ritenga “bene” e cosa “male” per sé, quasi fosse un minore sotto tutela, espropriato d’ogni capacità giuridica.

Dunque, la “concertazione” diventa un altro tassello valoriale, costituzionalmente protetto, da riformare per via semantica. Dopo l’infausta uscita della Fornero, sul tema si sprecano, anche qui, gli “sciorina-menti” delle più avanzate teorie politologiche, tanto futuristiche che se ne perde la consistenza in riferimento allo status quo. Il paese ha molto più bisogno di collaborare che di competere, proprio in virtù della contingenza economica e sociale in cui versa, e dovrebbe conservare i pochi istituti normativi capaci i aggregare. “Concertare” non è solo il modo migliore di condividere scelte strategiche per la tutela di “beni comuni”, in economia come nel sociale, ma soprattutto indifferibile strumento di coesione del collettivo – o delle “parti”, per usare metafore contrattualistiche – nelle fasi storiche di crisi sistemica. Non sembra vero leggere interventi inneggianti al decisionismo, mascherati nel binomio truffaldino democrazia-responsabilità, da penne solitamente attente al riverbero politico e sociale di certe posizioni concettuali.

 

Insomma, si ricava la sensazione sconfortante che la caduta del medioevo della casta e delle lobby resti sospesa sine die in un limbo che somiglia più al paradiso che all’inferno, nel senso che continua a mantenere intatti tutti gli indebiti privilegi arraffati nel tempo. Mentre i signorotti medievali promettono d’emendarsi, eleggono l’amministratore pro-tempore di tutti i cittadini, col mandato di saccheggiare diritti e conservare privilegi, in nome d’una Europa che vorrebbe disporre sempre più rapidamente e con strutture “concentrate”, per meglio esaudire le istanze dei mercati, dove la ricchezza si deposita in forma incessantemente più apicale, proprio grazie alla “rapina in progress”, dal forziere dei diritti e delle tutele umane, costruito, senza retorica, col sangue e con le guerre del novecento. Su cosa fonda il terzo millennio il diritto i retrocedere all’anno zero della civiltà giuridica e sociale, trecento milioni di cittadini Europei?
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