Chi ha compiuto l’atroce e lurido crimine di Brindisi è convinto
dell’impunità, altrimenti non avrebbe osato un delitto talmente
esecrando ed esecrato (perfino dalla criminalità comune) che, se
scoperto, promette il linciaggio in carcere. Chi ha compiuto l’orrore sa
di avere spalle coperte, copertissime. E’ certo di far parte di una
potentissima “strategia della tensione”, informale o formale che sia.
Abbiamo paura e rabbia, un’infinita e democratica rabbia. Vogliamo
trasformare entrambe in azione politica di democratica rivolta.
In
Italia orrori di così ributtante cinismo li abbiamo già visti troppe
volte: nell’immediato dopoguerra, quando a Portella della Ginestra si
vuole terrorizzare il movimento sindacale e la speranza/incubo (dipende
per chi) di un domani “rosso”. Negli anni successivi al ’69, da piazza
Fontana a Milano a piazza della Loggia a Brescia, la strage è di Stato,
un intreccio di criminali neofascisti, mafie, servizi deviati (e
politici di riferimento), con cui i settori eversivi (molto ampli)
dell’establishment (non solo politico) esorcizzano nel sangue il timore
di un rinnovamento democratico sull’onda lunga del sessantotto
studentesco e operaio. Nel ’91-’93 le stragi sono il volto osceno di una
trattativa tra mafie e establishment (soprattutto politico, ma non
solo) per paralizzare nel sangue, una volta di più, un rinnovamento
democratico che il tracollo del Caf fa avvertire plausibile e prossimo.
Poi il quasi ventennio berlusconiano, regime in cui i settori eversivi
(molto ampli) dell’establishment vanno direttamente al governo e la
strategia della tensione e delle stragi sarebbe autolesionista.
Ora
la strategia della tensione è tornata, strategia di morte puntuale come
la morte, perché le macerie cui il berlusconismo ha ridotto il paese, e
la mancanza di un’alternativa parlamentare (l’opposizione Pd
invischiata fino al midollo in due decenni di inciuci e leggi bipartisan
contro la legalità), hanno portato la fiducia dei cittadini nei partiti
(complessivamente presi!) ad un comatoso quattro per cento. E perciò da
questa crisi verticale potrebbe uscire come soluzione anche un
rinnovamento vero della democrazia italiana, la realizzazione della
Costituzione anziché il suo affossamento (la parola “crisi” in cinese è
composta da due ideogrammi, “pericolo” e “opportunità”, che in politica
equivale a speranza).
Non
ha senso azzardare chi specificamente abbia realizzato l’infame
attentato di Brindisi, ma sarebbe assurdo non dire quello che anche un
bambino capisce: la paura di una soluzione democratica della crisi alle
prossime elezioni, con una maggioranza in cui una presenza massiccia di
società civile garantisca la fine del berlusconismo e dello
spadroneggiare delle illegalità di ogni risma, costituisce un incubo
incombente e immediato per i mille strapoteri che sulla illegalità
lucrano e metastatizzano. Da esorcizzare, una volta di più, nel sangue
di cittadini innocenti: dall’impudenza di colpire le due personalità più
scortate del paese (Falcone e Borsellino) a quella di uccidere ragazze
adolescenti che entrano a scuola. E’ l’impudenza illimitata di chi pensa
che detterà sempre e comunque le proprie condizioni, e può spingersi
perciò a qualsiasi orrore perché non pagherà mai.
Perché nessuno
ha pagato, per tutto il sangue del dopoguerra. Tranne qualche pesce
piccolo, qualche “scartina”. Gli assi, i re, i jolly di questo mostruoso
“gioco al massacro” sono sempre restati e restano più che mai i padroni
del tavolo. Riveriti, anzi. Omaggiati. Chiamati in mille interviste e
porte a porte a fare gli oracoli su come combattere il potere illegale
ed eversivo che essi stessi sono. Che sia iniziata una “seconda
trattativa” perché l’Italia delle ingiustizie conosca come unico
rinnovamento possibile quello del gattopardo, è l’ipotesi che
razionalità e storia impongono. Saremo felici se dovremo riconoscere di
esserci sbagliati, e che si tratti di un crimine orrendo ma senza “santi
in paradiso”. Ma troppe volte abbiamo visto in questi decenni che solo i
depistaggi di establishment hanno – anche molto a lungo, purtroppo –
consentito versioni del genere.
Oltre all’impegno per smascherare
ogni depistaggio (che si realizza per atti ma anche per omissioni) da
parte di ciò che resta in Italia di giornalismo degno del nome, e che si
spera avrà un sussulto anche al di là di quel paio e poco più di
testate che il giornalismo già onorano, urgentissima è la necessità di
una risposta democratica di massa. Nessun rituale “unitario” però: è
davvero mera retorica, anche qualora sincera, pretendere di “unire tutti
gli italiani”, quando se si vuole unire il 90% (si spera che tanti
siano gli italiani onesti) bisogna voler combattere senza infingimenti e
senza compromessi, con intransigente “tolleranza zero”, quel restante
10% di intreccio affaristico/politico/ istituzional-deviato/criminale.
Il
che significa una grande manifestazione di massa, subito, sabato
prossimo a Roma, da affidare – per le decisioni su chi parlerà – a una
figura incontestabile come don Luigi Ciotti, e che imponga al governo
pochi e non negoziabili misure: dall’abrogazione di tutte le leggi ad
personam alla reintroduzione con pene “americane” del falso in bilancio e
della falsa testimonianza, all’introduzione (sempre con pene
“americane”) di quello di “ostruzione di giustizia e alle altre misure
che tutti conoscono e troppi nell’establishment (anche non “colluso”)
non vogliono realizzare per una affinità di classe che di fronte alla
barbarie di Brindisi non è più tollerabile.
Vedremo allora alla
prova dei fatti chi vuole liberare l’Italia e chi ha scelto invece la
convivenza con i “mostri” della continuità del potere.
Non è vero che non abbiamo paura. Abbiamo paura eccome! Non aver paura sarebbe folle.