Crisi del debito: lasciate in pace i greci

di Die Zeit, Hamburg - (traduzione dal tedesco di José F. Padova) - 12/02/2012
Il diktàt dell’Unione Europea trascina la Grecia alla rovina. Invece di tagli brutali il Paese ha bisogno di un programma di ricostruzione – anche nell’interesse dei tedeschi.

Notizie da un’Europa divisa: per la prima volta la Germania aumenta le sue esportazioni a mille miliardi di euro. La congiuntura progredisce, aumentano gli introiti delle imposte, cala la disoccupazione, la IG Metall, per la buona situazione dei guadagni, propone aumenti di salari del 6,5 percento. Germania: un’isola di appagati.

La Grecia al contrario: un Paese alla rovina e in tumulto. Il governo di transizione decide, sotto la pressione della troika di Unione Europea, BCE e FMI, un nuovo drastico pacchetto di tagli. I salari devono diminuire dal 20 fino al 30 percento. L’Amministrazione statale licenzia 150.000 persone da qui al 2015. L’economia si riduce, forse quest’anno perfino più dell’8 percento. Il Paese si trova costantemente sull’orlo della bancarotta.

Ciononostante è tenuto in sospeso il secondo pacchetto di aiuti dell’Unione Europea per un ammontare di 130 miliardi di euro. I ministri delle Finanze dell’euro dubitano che il governo Papademos e i partiti che lo sostengono riescano effettivamente a imporre le misure di risparmio annunciate. A ragione. Infatti i tagli già decisi non la spuntano. Perché acutizzano soltanto i problemi. E perché comprensibilmente la resistenza dei greci contro il programma d’impoverimento e d’interdizione del loro Paese è molto grande.

È questa la prospettiva di un’Europa unita? Un Paese all’origine della cultura occidentale e della democrazia che diviene di fatto un protettorato di Bruxelles – senza speranza di miglioramento. Un continente che si spacca sempre più in un Nord benestante e in un Sud in miseria, dove le persone non sanno più come poter pagare il loro pane quotidiano. Mentre in Germania la coalizione di governo pensa seriamente ad abbassare le imposte nel mezzo della più pesante crisi finanziaria da decenni.

Eppure quanto accade nel resto del Continente, intorno a noi [tedeschi], non può esserci indifferente. Non soltanto perché fomenta una pericolosa radicalizzazione politica e un ritorno dei nazionalismi, come si va dimostrando per le prossime elezioni del nuovo Parlamento greco. Ci dovremmo anche preoccupare perché questa evoluzione, fatale e sostanzialmente accelerata da parte del governo tedesco, mette in pericolo il nostro stesso modello di successo: l’economia della Germania vive un boom soltanto perché le nostre aziende fanno affari e guadagni a spese dei Paesi più deboli. Perché lì i salari in rapporto alla produttività molto inferiore sono (ancora) troppo alti, mentre contemporaneamente, a causa della imponente pressione dei tagli, la domanda interna si riduce. Mentre al contrario qui in Germania per lunghi anni i moderati aumenti delle tariffe salariali e le riforme del mercato del lavoro realizzate dai governi rosso-verdi [ndt.: SPD + Grünen] hanno reso l’economia tedesca tanto competitiva da minacciare gli altri Paesi dell’Unione Europea, come la stessa Francia.

Ma chi in futuro comprerà ancora le merci tedesche? Non abbiamo più bisogno degli Stati in crisi soltanto perché ci costano il nostro buon denaro?
Chi la pensa così non discerne: non già la Grecia approfitta maggiormente dei programmi di salvataggio dell’euro, della moneta comunitaria e del mercato comune, ma la Germania. Se la Grecia dichiarasse l’evidente fallimento dello Stato, (anche) le banche tedesche dovrebbero ancora una volta ammortizzare perdite per miliardi e i contribuenti tedeschi accollarsene alla fine il carico. Se l’euro fosse abolito e reintrodotto il DM [die deutsche Mark], questo sarebbe drasticamente rivalutato. La conseguenza, così valutano gli esperti, sarebbe il rincaro del 40% delle merci tedesche. Sarebbe la fine del modello di crescita tedesco basato sull’esportazione.

Nel Sud dell’Europa, non solamente in Grecia, si diffonde un minaccioso stato d’animo, che si rivolge soprattutto contro la Germania. Quasi 70 anni dopo la fine della guerra la Germania è percepita di nuovo come una potenza nemica. Vi sono già voci che gridano alte chiedendo provvedimenti radicali contro la dipendenza da Buxelles e da Berlino.

Chi vorrebbe dare torto a quelle persone schiacciate nella miseria! Dovrebbero ancora vedere come sfuma nel nulla il loro modesto benessere e come i loro politici diventano esecutori di ordini altrui? Soltanto perché in questo modo le banche e gli speculatori non debbano annullare completamente i loro crediti, che volontariamente contro succosi interessi hanno concesso per anni ai Paesi deboli.

No, questa non può essere l’Europa nella quale desideriamo vivere. Un’Europa nella quale banche e hedge-funds decidono quali Paesi possono sopravvivere e quali no.

Il prezzo della politica di austerità e tagli, unilateralmente portata avanti dalle finanziarie e dalla Merkel, è la disintegrazione dell’Europa. E una depressione lungamente impiantata, che prima o poi colpirà anche la Germania. Perché noi non viviamo affatto su un’isola di privilegiati.

La Grecia ha bisogno della nostra solidarietà, di una totale estinzione del debito e di un programma di ricostruzione, invece di sempre nuovi pacchetti di tagli e di aiuti. Perché mediante ciò il Paese ottenga una possibilità di rimettersi sui suoi piedi in dieci o vent’anni e ridiventi un membro dell’Unione con pari diritti.

Un simile pacchetto di crescita europea non costerebbe di più, ma darebbe nuovamente una prospettiva alle persone, in Grecia e in Europa. Per questo vale la pena lottare. Non per l’esclusione della Grecia dall’eurozona e dalla comunità di aiuti europea. Noi abbiamo bisogno della Grecia – come esempio perché l’Europa rifletta su sé stessa.

Die Zeit, Hamburg
L’affronto di Merkozy contro la democrazia
Mettere la gestione del bilancio greco sotto tutela corrisponderebbe alla logica di aiuto dell’Unione Europea. Eppure sarebbe una trasgressione delle regole democratiche, commenta A. Endres.
(traduzione dal tedesco di José F. Padova)
http://www.zeit.de/wirtschaft/2012-02/demokratie-griechenland-sonderkonto

In una democrazia il più esclusivo diritto del parlamento è questo: decidere dove i mezzi finanziari del Paese sono impiegati. Soltanto chi dispone del denaro può dare forma alla politica. Colui al quale viene sottratta la facoltà di disporre del bilancio perde il suo potere. Se il controllo budgetario passa attraverso un’istituzione, sulla quale il sovrano [lo Stato] non ha possibilità di influire, si tratta di una delicata intromissione nei diritti democratici.

Perciò è tanto più rilevante ciò che adesso accade con la Grecia. Se la Cancelliera federale Angela Merkel e il presidente francese Nikolas Sarkozy richiedono al governo di Atene di istituire un conto speciale, sul quale i greci non possono avere alcun accesso, questo tocca i fondamenti della democrazia – anche se soltanto una parte del bilancio greco dovesse passare su quel conto.

Presumibilmente la richiesta di Merkel e Sarkozy ha molto a che fare con la campagna elettorale francese. Tuttavia la si deve prendere sul serio: dopo quella di un commissario ai tagli, la proposta di un conto speciale è soltanto l’ultima di una serie di tentativi di immischiarsi in modo inammissibile negli affari della Grecia. Quale sarà il prossimo?

Chi paga ha il potere
L’obiezione che l’incapacità greca di effettuare riforme metterebbe in pericolo l’intera Europa, e perciò che l’Europa avrebbe anche il diritto di imporre ordini ai greci, non tiene; altrettanto poco convince l’argomento che chi volesse a lungo termine una politica economica europea coordinata con maggior efficacia dovrebbe mantenere questo genere di ingerenza. Nessuna istituzione europea ha proposto tale conto speciale e anche nessun rappresentante della Troika [UE, BCE, FMI]. Merkel e Sarkozy hanno agito soltanto nella loro funzione di capi di governi nazionali. Con quale legittimazione?

Chi ha denaro ha potere – questo naturalmente vale anche per gli Stati e le organizzazioni che hanno concesso crediti alla Grecia. Essi sono nella posizione di porre condizioni: senza riforme niente prestiti. A ragione!, si potrebbe dire, alla fine si tratta del loro denaro e di quello dei loro contribuenti fiscali, ai quali essi sono tenuto a rendere conto. Anche questo è democrazia. E i greci non sono forse essi stessi responsabili della loro miseria, non devono forse anche subirne le conseguenze?

In linea di principio si tratta di buoni argomenti. Solo che, semplicemente, l’istituzione di un conto speciale è il contrario della responsabilità propria. E se i ricchi europei veramente temono tanto di perdere il denaro lì investito, sarebbe più onesto e coerente interrompere gli aiuti, finché la Grecia si mostra incapace di fare le riforme. Oppure abituarsi al pensiero di dover accollarsi le possibili perdite, per salvare il Paese e l’euro.

Questo è il grande dilemma della politica europea: mettere la Grecia sotto tutela politico-finanziaria corrisponde alla logica dei mercati finanziari e servirebbe a placarli. Quindi questo può apparire necessario per preservare l’Europa dall’andare in pezzi. Ma si scontra anche con le basi democratiche dell’Unione. È ora ormai che gli europei discutano se vogliono un’Europa di questo genere.

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