Dichiarazione di voto per il 150mo anniversario d'Italia

di Pancho Pardi - 24/03/2011
INTERVENTO SENATORE PANCHO PARDI

Legislatura 16º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 526 del 24/03/2011
PARDI (IdV). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PARDI (IdV). Signor Presidente, onorevoli colleghi, inizio con una puntualizzazione non puntigliosa e molto breve sul nostro emendamento, che era stato adottato dalla Commissione a proposito della giornata dell'indipendenza e dell'indivisibilità del Paese e che è stato considerato estemporaneo. Era tutt'altro che estemporaneo, perché era stato depositato il 9 marzo scorso, quindi assai prima del successo popolare della festa del 17 marzo, e riportava alla lettera il contenuto di un disegno di legge da noi depositato già a febbraio. Era stato dichiarato ammissibile e privo di oneri, nonché collocato, non nel decreto-legge, ma nell'articolo unico del disegno di legge di conversione, secondo il Regolamento. 

Ricordo che l'Italia non era indipendente prima del 1861 e che il 17 marzo di quell'anno è stato possibile proprio grazie alla Seconda guerra d'indipendenza. Il 17 marzo non è estraneo al concetto di unità e indivisibilità e celebra l'Unità d'Italia. La festività del 2 giugno, proposta in alternativa nella polemica inutile, non riguarda l'indivisibilità, ma la forma repubblicana, perché quella data ricorda il referendum in cui si scelse tra monarchia e repubblica. Certo, bisognerebbe celebrare più degnamente il 18 febbraio come data in cui, nel 1861, si riunì il primo Parlamento nazionale, ma questo fa parte di un discorso che affidiamo al futuro. 

Per celebrare con un voto positivo questo provvedimento, voglio ricordare che forse non sarebbe inutile ogni tanto tornare alla memoria delle fonti, al modo con cui gli uomini hanno combattuto nel momento della lotta per la costruzione dell'unità e dell'indivisibilità dell'Italia. Voglio ricordare figure meravigliosamente irregolari che sono state trasformate dalla visione paludata della storiografia encomiastica e che, viste da vicino, svelano come le persone che si sono date da fare per l'Unità d'Italia avessero dei profili che oggi forse potrebbero risultare davvero curiosi.
D'Azeglio, fin oltre i 30 anni, ha pensato di essere essenzialmente un pittore paesaggista. Dopo quell'età ha scritto due romanzi: «Ettore Fieramosca» e «Niccolò de' Lapi». È diventato un politico di rilievo soltanto a 50 anni, ricoprendo la carica di Primo ministro e poi di senatore del Regno di Sardegna. Era un monarchico di orientamento federalista. 

Cattaneo, citato tante volte a sproposito, è stato insegnante, poligrafo, scrittore e ha vissuto esule per lunghi anni in Svizzera perché non poteva fare una vita normale in Italia, nella sua Lombardia. Alla sua regione ha dedicato uno scritto mirabile sui caratteri naturali e civili, in cui, lo ricordo di sfuggita, parla con espressione straordinaria della "nostra patria artificiale". Questa idea della nostra patria artificiale rappresenta la capacità e la laboriosità di mutamento dell'opera dell'uomo su un territorio inospitale, basato sul disordine idraulico, che l'uomo ha regimato, ha trasformato in praterie coltivabili, in pianure boscate, non di boschi naturali, ma di piantate di alberi che servivano alla cultura umana. 

Poi c'è anche il Sud, che ha dato un contributo fondamentale all'Unità d'Italia. Ricordo la figura di Settembrini, repubblicano, insegnante, un personaggio straordinario, che sapeva tradurre dal greco al latino e dal latino al greco senza passare dall'italiano. Un uomo che ha passato più di dieci anni nelle prigioni borboniche, imprigionato due volte, la seconda, per circa otto anni, nel terribile carcere dell'isola di Santo Stefano, vicina all'isola di Ventotene. 

Personaggi che non hanno nulla di costituito, di paludato; personaggi che hanno vissuto con difficoltà. Quando Cattaneo fu nominato senatore, poiché era un repubblicano, si rifiutò di giurare fedeltà al re e non partecipò mai alla vita senatoriale. 

Ecco, quando si ricorda l'Unità d'Italia bisognerebbe ricordare anche le originalità che ne hanno costituito la potenza generatrice. Lo spirito del Risorgimento e della visione delle fonti ci dovrebbe ricordare con senso autocritico - poiché il senso dell'unità, dell'indipendenza e dell'indivisibilità del Paese si poggia anche sulla riflessione critica - anche i cannoni di Bava Beccaris puntati contro il popolo; anche la Prima guerra mondiale, durante la quale il Regno d'Italia mandò al massacro centinai di migliaia di contadini con la promessa di una terra che non ebbero mai, ma anche la Seconda guerra mondiale, combattuta accanto all'alleato sbagliato. Eventi che sono stati ricordati da pagine che restano luminose nella nostra storia. 

Il simbolo della Prima guerra mondiale è contenuto nel libro «Un anno sull'altopiano» di Emilio Lussu: un eroe militare volontario in guerra che scopre durante la guerra che bisogna cambiare idea, che la guerra è una cosa orribile; ma anche il libro di Carlo Emilio Gadda, intitolato «Il diario di guerra e di prigionia», ritrae anch'esso un volontario che poi capisce che è una guerra sbagliata. Per la Seconda guerra mondiale ricordo «Il sergente della neve» di Mario Rigoni Stern che racconta di un umile soldato alpino dell'Altopiano di Asiago che viene buttato sul Don a contrastare l'offensiva russa e le terribili difficoltà del ritorno in condizioni inenarrabili. Insieme a lui, Nuto Revelli che, durante il ritorno dal Don, porta via un parabellum, un'arma russa eccezionale, con l'intenzione ferrea di servirsene nella riconquista della democrazia in Italia. Cosa che farà. È così, attraverso queste figure che si allacciano l'una all'altra, che lo spirito del Risorgimento si congiunge con lo spirito della Resistenza. 

Voglio concludere ricordando un verso che spesso è stato interpretato come manifestazione del moralismo manzoniano: «Il santo Vero mai non tradir: né proferir mai verbo, che plauda al vizio, o la virtù derida», un verso tutt'altro che moralistico che contiene in sé lo spirito dell'Illuminismo con cui Manzoni celebrava Carlo Imbonati. È una visione laica (non inganni l'aggettivo «santo») della verità e dei doveri civili. 

Quel verso chi volesse potrebbe facilmente connetterlo alla nobiltà dell'articolo 54 della Costituzione dove si dice che chi è incaricato di compito pubblico deve svolgere il suo compito con disciplina ed onore (cosa che il Capo di Governo sembra incapace di concepire). 

È in nome della nobiltà di queste idee e di questi ricordi che il Gruppo dell'Italia dei Valori voterà a favore di questo provvedimento. (Applausi dai Gruppi IdV e PD. Congratulazioni).

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