Signor Presidente,
lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti di quell'unità nazionale che lei rappresenta.
Ma, signor Presidente, siamo anche dei "ragazzi di Barbiana". Benchè nonni ci portiamo dietro il privilegio e la responsabilità di essere cresciuti in quella singolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini sovrani". Alcuni di noi hanno anche avuto l'ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura di quella Lettera a una professoressa che da 44 anni mette in discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non soltanto fra gli addetti ai lavori.
Il degrado morale e politico che sta investendo l'Italia ci riporta indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte al sopruso. Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il diritto - dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste ( cioè quando avallano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo ad un uso costante della legge per difendere l'interesse di pochi, addirittura di uno solo, contro l'interesse di tutti. Ci riferiamo all’attuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.
In una democrazia sana, l'interesse di una sola persona, per quanto investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere sull'interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero contro il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato che non cederebbero a compromesso. Ma l'Italia non è più un paese integro: il Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza dei mezzi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa come portavoce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con varie riforme ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da cortigiani pronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.
Quando l'istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo l'obbligo di fare qualcosa per arrestarne l'avanzata.
Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamo di non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta che assistiamo a uno strappo. Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente, chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a creare. Ma soprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra la forma, facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione. Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono trovati di fronte alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di procedura formale oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto la prima via si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie, repressioni, discriminazioni.
Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, con gli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso l'autoritarismo che al colmo dell'insulto si definisce democratico: questa è l'eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli. Solo lo spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regola quando il suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli anche lei.
Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali saluti
Francesco Gesualdi, Adele Corradi, Nevio Santini, Fabio Fabbiani, Guido Carotti, Mileno Fabbiani,
Nello Baglioni, Franco Buti, Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo Martinelli, Aldo Bozzolini
Per sottoscrivere questo appello scrivete a letteranapolitano@altreconomia.it
Don Lorenzo Milani, morto nel giugno 1967, è salito alla ribalta della scena italiana per essersi dedicato, corpo e anima, all'elevazione culturale di operai e contadini affinché potessero affrancarsi dall'oppressione e dall'ingiustizia.
Persona tutta d'un pezzo, appena nominato cappellano a Calenzano (Firernze), scosse l'Italia per la sua costante denuncia di tutte le situazioni che provocano ingiustizia e violazione dei diritti, indipendentemente da chi le provocasse o avallasse. Ciò gli procurò molti nemici anche all'interno della sua stessa Chiesa, che per neutralizzarlo lo confinò a Barbiana, un villaggio sperduto sugli Appenini toscani. Ma la sua notorietà crebbe ulteriormente perché creò una scuola del tutto innovativa, per contenuti, finalità e metodi. L'atto finale fu la stesura di Lettera a una professoressa, un testo collettivo scritto assieme agli allievi per denunciare il carattere classista e discriminatorio della scuola italiana.
Don Milani è famoso anche per la Lettera ai Giudici, nella quale sostiene il primato della coscienza sulle leggi dell'uomo proponendo la disobbedienza come via estrema per evitare all'umanità il ripetersi delle atrocità che ha conosciuto.