Facciamo la nostra parte

di Francesco Baicchi - 10/02/2013
In questa strana campagna elettorale, nella quale i principali protagonisti sono impegnati nel promettere tutto ciò che non hanno fatto negli ultimi anni, da più parti c'è un evidente tentativo di concentrare l'attenzione sul tema cui gli italiani sembrano più sensibili: le tasse.

In particolare ancora una volta Berlusconi gioca la carta del 'meno tasse per tutti', costringendo gli altri contendenti a inseguirlo su un terreno oggettivamente scivoloso, in un Paese che vanta una delle più alte percentuali europee di prelievo fiscale.

Le inevitabili semplificazioni imposte dai ritmi giornalistici contribuiscono a banalizzare un dibattito che sembra ridursi a chi enuncia gli impegni più mirabolanti. Terreno sul quale lo stesso Berlusconi, con la sua assoluta mancanza di etica e il suo inguaribile egocentrismo, è notoriamente imbattibile.

Spetta a noi elettori districarsi nel labirinto degli slogan e, soprattutto, decifrare ciò che non viene detto o si tenta di mascherare.

 

Proprio il tema dell'eccessivo peso fiscale, ad esempio, nasconde in realtà modelli di società radicalmente contrapposti.

Il vero problema non è la riduzione della percentuale complessiva del prelievo (che pure è eccessivamente alta), ma la mancata applicazione dell'articolo 53 della Costituzione, che impone la progressività del sistema fiscale e condanna chi si sottrae all'obbligo di contribuire alle spese pubbliche con l'evasione o ottenendo normative di favore. E se le imposte servissero a fornire servizi efficienti che migliorano la sicurezza e la qualità della vita sarebbero sicuramente sopportate più facilmente.

Nessuna dichiarazione teatrale può nascondere che i condoni, la riduzione del numero delle aliquote e l'abbattimento di quelle sui redditi maggiori, l'esenzione da certi tributi della chiesa, delle banche e delle grandi finanziarie, l'abolizione delle imposte sulle grandi successioni e del reato di falso in bilancio non hanno impedito allo Stato di 'mettere le mani nelle tasche dei contribuenti', ma hanno solo privilegiato i ricchi e i potenti, scaricando il peso fiscale sui meno fortunati.

Questa è la politica economica dei governi recenti, che ci viene puntualmente riproposta soprattutto dal più invadente dei guitti dell'attuale teatrino, Berlusconi.

 

Anche dal lato della spesa occorre non farsi ingannare dal canto delle sirene: non c'è dubbio che occorra ridurre drasticamente i 'costi della politica', più per l'impatto etico e per un recupero della credibilità dei gruppi dirigenti che per l'impatto economico, certo non maggiore, ad esempio, della cancellazione dell'acquisto dei famigerati F35, della TAV e del ponte sullo stretto di Messina.

Ma fino a quando sulla scena politica verrà tollerata la presenza dell'uomo più ricco del Paese, proprietario di oltre metà dei mezzi di informazione, che può usare sia per martellanti campagne di disinformazione che per farsi pagare i comunicati dei suoi contendenti, la totale cancellazione del finanziamento pubblico dei partiti (che abbiamo votato mediante un referendum, non dimentichiamolo) può provocare problemi impensabili.

E' dunque più ragionevole limitarsi a riportare i 'rimborsi elettorali' ai valori iniziali cancellando l'aumento di otto volte (se non sbaglio) che è stato a più riprese approvato a larga maggioranza dal Parlamento, cancellando nel contempo il conflitto di interessi che costituisce la vera metastasi di questa Repubblica per una successiva completa abolizione dei contributi.

 

Più grave appare l'equivoco della richiesta di dimezzamento del numero dei Parlamentari, che nasconde una visione alternativa all'attuale assetto costituzionale.

Certo per chi intende accentrare ulteriori poteri nelle mani dell'esecutivo e in particolare di un Presidente del Consiglio eletto a suffragio universale, magari come rappresentante di una maggioranza solo relativa (e quindi di una minoranza di fatto, come prevede l'attuale 'porcellum'), il Parlamento è solo una cassa di risonanza, adibita a approvare 'a sanatoria' decreti governativi sotto il ricatto dello scioglimento e può essere ridotto ai minimi termini.

Ma se esso rimane, come prevede la Costituzione, la sede della rappresentanza di tutti i cittadini, dove ci si confronta alla ricerca delle migliori scelte per il futuro di tutti, il rapporto numerico fra elettori e eletti deve consentire a questi ultimi di mantenere un ragionevole rapporto con le proprie aree di provenienza.

Condizione per il ritorno alla legalità costituzionale è naturalmente la definitiva cancellazione della attuale legge elettorale, che elimina il rapporto della rappresentanza democratica, e il superamento delle tentazioni bipartitiche da cui è affetta anche ampia parte del centro-sinistra.

La necessaria riduzione dei costi può essere ottenuta con l'abbattimento dei compensi dei parlamentari, la cancellazione dei loro anacronistici privilegi, e la revisione del numero e del costo del personale dipendente dalle Camere. Fra l'altro questo renderebbe meno appetibile la carriera politica per quanti, un po' in tutti i partiti (come gli scandali degli ultimi mesi hanno dimostrato), la intraprendono solo a fini di arricchimento personale.

Perché non riduciamo gli sprechi, invece degli spazi della democrazia?

 

Ci sono molti altri temi che meriterebbero una riflessione, se non temessi di essere troppo prolisso. Ad esempio la geniale idea di uscire dall'area euro per tornare alla 'liretta'.

Non c'è dubbio che la fase di passaggio alla moneta europea abbia provocato in Italia un enorme aumento del costo della vita che ha permesso illeciti arricchimenti che ora scontiamo, ma perché nessuno ricorda che il ritorno a una moneta liberamente svalutabile aiuterebbe, forse, nell'immediato turismo e esportazioni, ma verrebbe in brevissimo tempo compensato da un vertiginoso aumento del costo delle materie prime e dell'energia da cui il nostro Paese dipende per la sua stessa sopravvivenza, oltre che per le attività produttive? Chi ne pagherebbe le conseguenze, se non i soliti percettori di reddito fisso, cioè i lavoratori dipendenti?

 

E quale miracoloso toccasana per l'occupazione e gli investimenti esteri ha dimostrato di essere la politica 'liberale' della cancellazione dei diritti dei lavoratori del governo Monti-Bersani-Berlusconi, che ha restituito al datore di lavoro il potere ottocentesco di licenziare senza altra motivazione che la scelta sindacale o politica del lavoratore? Qualcuno potrebbe fornirci, insieme alle dichiarazioni ad effetto che fanno titolo sui quotidiani, anche qualche valutazione oggettiva?

 

Insomma la scelta che faremo fra qualche giorno non riguarda esclusivamente l'entità delle imposte che ci verranno richieste, come si cerca di farci credere, ma piuttosto se esse verranno utilizzate per creare una società più giusta e solidale (e quindi ci verranno in qualche modo restituite) o per mantenere minoranze ingorde e impunite che, non a caso, vedono nella Magistratura e nella difesa della legalità il loro vero nemico.

Credo che un buon criterio di scelta sia costituito proprio dalla volontà di modificare o difendere la nostra Costituzione repubblicana e antifascista, che ha finora consentito al nostro Paese di rimanere nell'ambito della democrazia.

 

Riflettere su quanto ci viene gridato, più che spiegato, e votare responsabilmente per chi genera in noi maggiore fiducia è legittima difesa.

La scelta di non decidere è comprensibile, ma fa solo pesare maggiormente la volontà di chi la pensa diversamente.

Facciamo la nostra parte, quella che ci assegna la democrazia.

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