Grillo e il PD

di Francesco Baicchi - 16/07/2009
La provocazione di Beppe Grillo, e soprattutto la violenta reazione che ha causato, sono la migliore dimostrazione dell’errore di fondo che ha sinora impedito al PD di essere, come pretenderebbe, una credibile alternativa al berlusconismo.

Come non essere d’accordo con quanti, Bersani in testa, si scandalizzano proclamando che ‘un partito è una cosa seria’? Ma l’attuale PD corrisponde all’idea del partito-strumento dei cittadini per ‘concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale’ (art. 49 Cost)?

Il PD è nato dall’unione di culture politiche con storie assai diverse, che in alcuni momenti storici (Costituente, lotta al terrorismo, ecc…) si sono dimostrate capaci di operare insieme in nome dell’interesse generale del nostro Paese e di compiere scelte decisive, ma entrambe ormai in crisi di identità e incapaci di cogliere la richiesta di rinnovamento di quella parte del Paese ancora disposta a un impegno civile e responsabile.

E che questa volta si sarebbe trattato solo dell’incontro di due nomenklature è stato sin dall’inizio evidenziato dai meccanismi organizzativi pensati per dare un ‘contentino’ a tutti, ma concentrando il potere decisionale in pochissime mani: organismi pletorici, ‘primarie’ poco trasparenti, meccanismi congressuali astrusi, e decisioni che piovono dall’alto su una base non sempre convinta (come nel caso Englaro). Alla teorizzazione del partito ‘leggero’ e ‘aperto’, ha fatto seguito il recente sostegno a un referendum elettorale che avrebbe invece rafforzato il meccanismo delle liste bloccate decise dalle segreterie.

Si dice giustamente che l’adesione a un partito comporta la condivisione dei suoi ideali, ma quale identità consente la convivenza di posizioni lontanissime su temi fondamentali come la laicità dello Stato, la ‘questione morale’ e la difesa della forma democratica parlamentare nata con la Costituzione repubblicana?

Anche la formula escogitata per l’investitura del segretario nazionale in un momento diverso e distinto da quello del dibattito congressuale, non è troppo simile al plebiscito ‘popolare’ tanto caro all’attuale Presidente del Consiglio, che da esso fa discendere il crisma della propria infallibilità, oltre che il rifiuto di sottoporsi alle regole valide invece per tutti gli altri cittadini?

Ne esce l’immagine di una organizzazione finalizzata sì alla conquista del consenso (e quindi del potere), ma non in grado di presentare un chiaro modello alternativo di società e di valori rispetto al berlusconismo, a cui tutti possono aderire anche con obiettivi assai diversi, purché ne accettino le gerarchie.

Oggi come non mai invece il nostro Paese ha assoluta necessità di una opposizione ferma e unita alle invenzioni e alla cultura berlusconiane; che sia in grado di difendere i principi fondamentali di una società democratica: uguaglianza di fronte alla legge senza discriminazioni né privilegi, partecipazione di tutti i cittadini alle scelte politiche, difesa dei diritti civili e della libertà di opinione, efficaci e autonomi organismi di controllo del potere politico, solidarietà attiva per i meno fortunati.

La crisi delle nostre istituzioni non è conseguenza dei meccanismi di partecipazione e di garanzia previsti con lungimiranza dai Padri Costituenti, ma della loro distorsione, della caduta morale di gran parte della nostra classe dirigente e del devastante tumore rappresentato dal monopolio dell’informazione, che invalida di fatto gli stessi meccanismi elettorali, impedendo che i cittadini abbiano una visione realistica dei fatti su cui costruire le loro scelte.

Il PD, se lo vuole, può veramente essere il punto focale della nostra rinascita democratica, rinunciando con coerenza a inseguire la tentazione del bipartitismo speculare e plebiscitario, che sembra solo finalizzato alla auto-tutela dei vecchi gruppi di potere e lo vede comunque perdente, e ridefinendo i principi irrinunciabili della propria proposta, su cui non possa esserci scambio né trattativa con chi irride e ignora il patto fondamentale su cui è nata la nostra Repubblica, e che possano costituire il terreno su cui avviare un confronto nuovo con l’elettorato deluso della sinistra frazionata.

 

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