I compiti

di Francesco Baicchi - 31/05/2012
Come è noto la nostra Carta Costituzionale assegna esplicitamente alla Repubblica compiti specifici per la realizzazione degli ideali espressi nei Principi Fondamentali

Oltre alla indicazione del secondo comma articolo 3 (“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...”), basta pensare, per esempio, all'articolo 2 (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo ...”), all'articolo 4 (“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto...”), all'articolo 9 (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica....”), eccetera.

Il nostro sistema istituzionale è dunque stato pensato per il raggiungimento di queste finalità, mirabilmente riassunte in quegli articoli che talvolta vengono definiti 'programmatici' perché non immediatamente 'spendibili' sul piano dei diritti concreti, ma che costituiscono la ragion d'essere della società che i Costituenti avevano pensato per noi.

Dovremmo dunque pensare che le parti 'organizzative', che descrivono il modo in cui il 'popolo' esercita la sua sovranità mediante il funzionamento del sistema rappresentativo, l'equilibrio dei poteri, la selezione dei cittadini chiamati a svolgere funzioni pubbliche, l'insieme delle normative che regolano i nostri comportamenti, costituiscono solo uno strumento legittimato dall'obiettivo per cui è stato previsto.

Al di là dei programmi elettorali, nel momento in cui come cittadini eleggiamo il Parlamento e questo concede la fiducia al Governo, essi assumono automaticamente il compito di realizzare quegli ideali.

Almeno fino a quando la maggioranza degli Italiani si riconoscerà nella Costituzione repubblicana e antifascista del 1948, come è avvenuto con il referendum del 2006 che ha annullato il tentativo di stravolgere il nostro sistema democratico.

Non so se possiamo arrivare a sostenere che un Governo (e un Parlamento) che perseguano obiettivi diversi perdono (se non totalmente, in gran parte) la loro legittimazione. Sicuramente non sul piano formalmente giuridico, ma certo sul piano politico e morale.

Le circostanze eccezionali che hanno portato alla formazione dell'attuale governo (che qualcuno si ostina a chiamare 'tecnico', nonostante che le sue decisioni abbiamo inevitabilmente motivazioni e valenze sempre politiche) non lo esentano da questo obbligo di coerenza col dettato costituzionale.

Compreso, ad esempio, il contenuto dell'art. 53, che prescrive che il sistema tributario sia 'informato a criteri di progressività'; faccia cioè pagare le imposte in modo più che proporzionale ai più ricchi. Anche (o soprattutto?) quando si tratta di far fronte a momenti di crisi eccezionali che colpiscono in modo insostenibile i redditi minori e l'occupazione.

La nostra Costituzione non prevede uno Stato che si limita a arbitrare in modo neutrale i conflitti connaturati con le 'regole del mercato', ma una collettività tesa a realizzare una sempre maggiore giustizia sociale, a proteggere i più deboli, a garantire a tutti una esistenza dignitosa e la possibilità di perseguire la propria felicità nel rispetto degli altri.

Forse è per questo che si cerca nuovamente di stravolgerla, rendendo possibile la concentrazione del potere in modo irreversibile nelle mani di pochi e cancellando controlli e garanzie per tutti gli altri.

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