I Magistrati e la politica

di Francesco Baicchi - 30/01/2013
Siamo di fronte a un eccesso di protagonismo dei magistrati, o semplicemente a una inaccettabile involuzione dei dirigenti politici, che abdicano al loro ruolo di regolazione della vita sociale?

I Magistrati, come tutti i cittadini italiani, godono del diritto all'elettorato attivo e passivo. Possono/devono cioè votare (compiendo quindi una scelta di schieramento), e possono anche candidarsi a incarichi politici elettivi; esattamente come qualunque altro cittadino, anche se dipendente pubblico.

Dato che, per le loro funzioni, tutti i pubblici dipendenti possono esercitare una qualche forma di potere nei confronti dei cittadini, sono sottoposti ad alcune limitazioni per garantire che il loro ruolo politico non interferisca con l'imparzialità del loro lavoro. Questo vale, ovviamente, a maggior ragione per i magistrati, che hanno accesso a informazioni riservate e sensibili; la legge prevede pertanto che non siano eleggibili nell'area dove hanno esercitato la loro attività. Inoltre, per motivi di opportunità, in caso di cessazione dell'incarico parlamentare non vengono in genere reintegrati nello stesso incarico precedente.

Nel rispetto di queste condizioni ci sono sempre stati magistrati in Parlamento, nei diversi schieramenti, senza andare incontro a particolari contestazioni.

In questa campagna elettorale, forse per l'importanza e la forte personalità dei personaggi, da più parti si sono sollevati dubbi sulla opportunità della candidatura di alcuni magistrati. Oggetto di particolari rimostranze è stata la decisione di Antonio Ingroia di assumere addirittura la leadership della lista 'Rivoluzione Civile'.

Anche se è stato facile far notare che è ben più grave che in alcune liste invece dei magistrati siano presenti inquisiti e condannati, questa critica offre l'opportunità di una riflessione sul ruolo, oggettivamente crescente, della Magistratura nella pubblica opinione.

Senza dubbio l'esposizione mediatica talvolta eccessiva del 'terzo potere' è dovuta proprio al pluriennale tentativo di Silvio Berlusconi di difendersi dalle numerose imputazioni collezionate con le sue disinvolte attività, non dimostrando la propria innocenza, ma delegittimando il sistema giudiziario. Nascono così le leggende delle 'toghe rosse', della congiura ordita ai suoi danni, dei magistrati 'diversi' e, soprattutto, la massiccia campagna di diffamazione orchestrata dai numerosi organi di (dis-)informazione della famiglia.

Berlusconi, che si considera una vittima, imputa ora alla persecuzione da parte di giudici faziosi addirittura di non aver potuto garantire con l'entrata in Parlamento l'immunità ad alcuni suoi amici e soci.

Ma occorre ricordare anche che da più parti viene addebitata all'intervento dei magistrati locali addirittura la crisi dell'ILVA di Taranto, mentre i PM di Palermo vengono accusati di aver attentato alle prerogative del Presidente della Repubblica.

Insomma negli ultimi anni il contrasto fra Magistratura e 'classe politica' è sempre più frequente.

In realtà i Magistrati (che come tutti gli esseri umani posso sbagliare e, alcuni, anche essere non onesti) spesso arrivano agli onori delle cronache semplicemente perché, compiendo il loro dovere, ci ricordano che in una società democratica esistono regole di convivenza che devono essere rispettate da tutti. Soprattutto lo ricordano a coloro che pensano che le regole valgano solo per 'gli altri', o che per alcuni privilegiati sia comunque lecito aggirarle.

Proprio per questo affinché la democrazia sia effettiva è assolutamente indispensabile che siano autonomi e indipendenti dai poteri 'politici', sia legislativo che esecutivo: per garantire i diritti dei cittadini 'comuni'.

Nel caso ILVA, ad esempio, l'intervento dei magistrati è servito proprio a mettere in risalto anni di violazioni delle norme, di complicità fra politici (non solo locali) e potere economico, e l'accettazione del ricatto 'lavoro contro salute' addirittura da parte di alcune organizzazioni sindacali.

Inoltre l'applicazione della legge talvolta ne mette in risalto anche i difetti, le incoerenze e le contraddizioni. Particolarmente frequenti nel nostro Paese, in cui le norme sono troppe, mal scritte e, spesso, nate non per tutelare l'interesse collettivo, ma esigenze di gruppi ristretti, quando non di singole persone.

Il recente caso del 'diffamatore abituale' Sallusti, risolto nel modo peggiore dal Presidente della Repubblica, ha evidenziato contemporaneamente: che non è sufficiente essere famosi o disporre di forti somme di denaro per evitare la condanna, il ritardo accumulato dal Parlamento su un tema da tempo noto, e l'arroganza della politica, che ha di fatto preteso un trattamento 'ad personam'.

L'anomalia sta nella necessità che, per tutelare la democrazia, la Magistratura debba intervenire per colmare l'assenza dell'iniziativa politica. Forse ciò che viene imputato ad alcuni magistrati è proprio quello di rendere visibili errori e insufficienze dei politici, che sembrano in molti casi aver abdicato al loro ruolo di rappresentanti 'della Nazione' (art. 67 Cost.) per occuparsi solo di interessi di parte, quando non personali, e dei partiti, che si dimostrano incapaci di risolvere conflitti di interesse e resistere alle infiltrazioni della malavita.

Insomma la colpa che viene imputata ai Magistrati che si candidano sembra essere di voler trasferire la propria moralità e competenza nella difesa della nostra democrazia e della Costituzione repubblicana su cui essa si fonda proprio nella sede che sembra oggi averne maggiore necessità: il Parlamento.

Dovremmo invece considerarla una grande opportunità per quella svolta radicale di cui l'Italia ha tanto bisogno. L'unico rammarico è che, se eletti, si troveranno a dover operare ancora a fianco di troppi pregiudicati e dei loro avvocati.

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