I mercati finanziari che condizionano i bilanci degli Stati costringendo
i governi a falcidiare i servizi sociali e ad alzare le tasse, una
correlazione che non è più giustificabile; i "pochi" potenti che non
hanno più intenzione di condividere lo stesso destino di chi è sempre
meno uguale perché più bisognoso e vogliono cancellare gli obblighi
della solidarietà nazionale; i movimenti populisti che hanno tutto
l'interesse a far esplodere le contraddizioni per lucrarne posizioni
politiche; i leader demagogici che cercano il consenso mediatico e si
fanno rappresentanti della causa della rivolta ' chiamando i poliziotti a
disertare e a unirsi alla guerriglia, ad ammutinarsi; i movimenti
violenti che generano la paurosa illazione che lo stato democratico sia
il nemico principale dei cittadini democratici, non gli accumulatori di
rendite (del resto invisibili e senza un nome).
Non aiutano i
governi che, venuti a promettere buona amministrazione e decisioni
giuste benché amare, hanno col tempo dimostrato di non aver molto altro
da offrire se non tagliare risorse alle spese sociali, colpire la già
umiliata scuola, falcidiare la sanità; senza nulla proporre se non tagli
e austerità, in un crescendo che sembra non fermarsi mai e non è più
giustificabile. Così, in un'Italia impoverita e dalle enormi difficoltà
economiche, cresce la percentuale di cittadini che non si sente più
rappresentata, ed esplodono le rivolte, si accendono le piazze.
La
democrazia che è nata dopo la guerra non voleva essere un corredo di
politiche liberiste integrato con lo stato repressivo. Per reagire allo
statalismo corporativo e fascista non ha promesso uno Stato minimo ma
uno Stato sociale giusto. Non ha promesso una società votata
all'impoverimento progressivo, ma una società capace di elevare le
condizioni dei molti. Non ha promesso uno Stato che tassa le rendite
alte meno dei redditi da lavoro, che tassa le proprietà immobiliari dei
privati cittadini meno di quelle della Chiesa. Infine, non ha promesso
che i sacrifici venissero a pesare più su chi ha meno forza. Le violenze
che feriscono le nostre città sono un grido d'allarme disperato:
dobbiamo condannare la violenza, ma non possiamo dimenticare per questo
l'ingiustizia nella quale la democrazia è intrappolata, in Italia come
in Europa. Quelle manifestazioni sono una denuncia della spirale di
decisioni che sembrano seguire solo una direzione: punitive con i molti e
deboli e indulgenti con i pochi e potenti.
È pericoloso pensare
che queste prove generali di guerriglia urbana siano solo e
semplicemente una questione di ordine pubblico. Sono anche una questione
di ordine pubblico e sono anche un segno di scontento popolare. Ma
prima di tutto sono una prova che il governo dell'emergenza sta creando
nuova emergenza; che è sulla strada sbagliata come lo è non avere una
politica sociale ed economica per il futuro del Paese e del continente.
Come lo è non sapersi alleare con le forze progressiste europee e
americane per reagire al dogma dei mercati finanziari, prendere
decisioni coraggiose e quindi rivedere scelte e cambiare direzione di
marcia. Senza di esse ogni governo di emergenza è purtroppo un
generatore di emergenza. La democrazia, scriveva Tocqueville, ha la
capacità di correggersi con più democrazia. È urgente dimostrare che
questa non è solo una massima scritta in un libro ottocentesco.
Ammalata di un invecchiamento precoce, la democrazia sembra avere molti nemici, in Europa