Il bello e il brutto delle primarie che possono rilanciare o spaccare il PD

di Daniela Gaudenzi - Liberacittadinanza - 24/11/2012
A meno di quarantotto ore dall’apertura dei seggi delle primarie del centrosinistra sembra molto lontano il clima idilliaco e lo spirito di coesione e responsabilità improntato al bene comune che aveva regnato nella serata dei “magnifici 5”.

L’annunciata intervista al TG 1 di Bersani ha fatto saltare i nervi nello staff di Matteo Renzi e non è bastato riequilibrare gli spazi tra i candidati per rasserenare gli animi.

Si tratta solo della polemica della vigilia che arriva dopo mesi di polemiche sulle regole cambiate in corso d’opera, sulla presunta o reale complessità del voto finalizzata a sfavorire il rottamatore, che nell’ultimo scorcio di campagna si fregia sempre meno del titolo su cui ha costruito la sua identità politica, sulla volontà di includere o meno elettori purchessia la cui incidenza numerica potrebbe fare la differenza.

C’è un primo dato numerico prima del voto che ha un valore obiettivamente positivo: si sono già iscritti sul web circa un milione di elettori.

Poi c’è da sottolineare di altrettanto positivo la partecipazione di due concorrenti “marginali” come Laura Puppato e Bruno Tabacci che sul fronte della coerenza, della trasparenza e della difesa mai di facciata o per motivi di mero opportunismo della legalità e della Costituzione avrebbero qualcosa da insegnare ai favoriti.

I motivi di soddisfazione per queste primarie del centrosinistra, anche se non sono irrilevanti, penso che si fermino qui.

Abbiamo visto nella serata da X Factor dei “magnifici” che i programmi sono abbastanza generici e scontati per ognuno così come i valori di riferimento, mentre quando si passa al “Pantheon” si rimane quasi imbarazzati se si pensa che per Bersani e Vendola i modelli sommi sono rispettivamente Papa Giovanni XXIII ed il Cardinale Martini, due personalità eccezionali ma pur sempre lontane anni luce dalla storia personale e politica dei due massimi rappresentanti del centrosinistra e della sinistra-sinistra in Italia.

Quanto sia abbastanza irrealistico che chi uscirà vincitore da questa sfida possa veramente diventare premier nella prossima legislatura ormai ci è chiaro ogni giorno di più; e se non lo fosse ancora abbastanza ci pensa ogni giorno il nostro solerte presidente della Repubblica a rammentarcelo, tenendo Monti al riparo da qualsiasi inconveniente e pronto per un bis dopo il voto.

Come il risultato di questa sfida interna al centrosinistra, che poi si è ridotto alla somma di PD, Sel e socialisti di Nencini con percentuali più di testimonianza che di sostanza, possa incidere sul futuro del PD e della stessa coalizione sembra altrettanto chiaro. Se vince Bersani di stretta misura e cioè con uno scarto entro il 5 o il 6% tutto rimane più o meno stabile nel bene e nel male, sempre che Renzi abituato a dire tutto e il contrario di tutto a seconda delle convenienze contingenti, rimanga buono e calmo nel partito, continui a fare il sindaco e “si accontenti”, come è emerso nel fuori onda dell’altro ieri, di sistemare un bel plotone dei suoi in Parlamento, dopo essersi sgolato a dichiarare che lui, mai e poi mai vuole “premi di consolazione” per sé o per la sua squadra. L’ipotesi più remota e smentita ad oltranza sarebbe che faccia comunque una sua lista.

Se vice Renzi al primo, o più difficilmente, al secondo turno, allora le possibilità che il PD possa spaccarsi nello schianto tra la vecchia nomenclatura sempre potente e molto invelenita, vedi D’Alema, ed i nuovi rampanti formattatori più disinvolti nel camaleontismo dei fratelli maggiori, si farebbero molto concrete e anche la definizione “centrosinistra” diventerebbe quanto mai aleatoria.

Forse c’è da registrare che c’è anche chi da sempre di sinistra, come Paolo Flores D’Arcais e, forse proprio per questo, ha dichiarato che andrà a votare alle primarie per “il pessimo” Renzi per favorire la spaccatura del PD mentre alle elezioni vere voterà il M5S.

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