Il 'fattore B'

di Francesco Baicchi - 14/12/2012
Non è lontano il tempo in cui l’anomalia italiana era attribuita al ‘fattore K’, che indicava la presenza del più forte partito comunista dell’area ‘occidentale’ e capitalistica

Molte cose sono cambiate da allora, ma non possiamo negare che l’Italia rimanga ‘diversa’ dagli altri grandi Paesi industrializzati; solo che stavolta si deve parlare di ‘fattore B’, come Berlusconi. E a dimostrarlo sarebbe sufficiente la preoccupazione esplicita, spesso accompagnata da una certa incredulità, con cui gli altri Paesi europei guardano alle vicende di casa nostra.

Questo forse non discende tanto dalla decisione dell’ex-Presidente del Consiglio di candidarsi nuovamente, quanto dal permanere di un enorme potere mediatico e economico nelle sue mani di leader politico, innegabilmente in grado di usarlo per condizionare pesantemente il risultato elettorale.

In nessun altro Paese che voglia definirsi democratico questo sarebbe possibile, come non sarebbe stata possibile una sistematica violazione della Costituzione, avallata di fatto da uno schieramento trasversale che comprende anche ampi settori del maggior partito di centro-sinistra. Soprattutto dopo che una larga maggioranza di elettori si è espressa, con il referendum del 2006, in senso opposto.

Ma le nostre 'anomalie' non si arrestano purtroppo qui, e sono in gran parte attribuibili proprio al contagio del pensiero (sic!) berlusconiano su parte della opinione pubblica e dei comportamenti di molti nostri politici. Per questo è facile prevedere che sopravviveranno al loro creatore.

La presenza secessionista e razzista della Lega, ad esempio, non sarebbe nemmeno esistita senza i generosi finanziamenti di Berlusconi, che ne ha sostenuto la crescita, evitato il fallimento e diffuso l'immagine con le sue televisioni, collaborando attivamente a mettere in circolazione personaggi come Borghezio, Gentilini e altri, che ci hanno resi ridicoli in tutta Europa.

Lo stesso si può dire dello 'sdoganamento' degli ex-fascisti (ex ?) cooptati addirittura a livello ministeriale nei governi Berlusconi.

E in quale altro Paese verrebbe tollerato l'uso plateale e continuo della menzogna e della diffamazione nei confronti degli avversari e della Magistratura? Sarebbe stato pensabile il successo dei 'vaffa...' di Grillo se la nostra tolleranza alla cialtroneria e alla volgarità non fosse già stata preparata dalle 'esternazioni' di Berlusconi e Bossi?

Quale parlamento avrebbe votato supinamente che una ragazzina non esattamente morigerata è la nipote di Mubarak, per evitare al capo del governo una accusa di pedofilia e sfruttamento della prostituzione?

E quale opinione pubblica tollererebbe che parlamentari uscenti dichiarassero apertamente che l'unica motivazione della loro ricandidatura è ottenere l'impunità ed evitare l'arresto per gravi reati?

Cercare di cancellare questo marchio di scarsa serietà e di incertezza democratica ci è costato, in quanto cittadini italiani, un anno di governo 'tecnico' pesantemente antipopolare, che ha fatto pagare i danni causati da Berlusconi e i suoi amici quasi esclusivamente alle classi meno ricche, garantendo le rendite parassitarie e la speculazione finanziaria, con una politica di brutale taglio dei servizi pubblici, che non ha ripristinato la progressività del sistema fiscale, né ha ridotto i faraonici investimenti della TAV o gli acquisti di armamenti e non si è preoccupata della caduta dei livelli occupazionali e delle sue conseguenze sociali.

Su un piano certamente diverso anche questa è stata una anomalia rispetto ai percorsi di uscita dalla crisi attuati altrove.

Ora è tempo di cambiare, senza dimenticare chi ha reso possibile tutto questo favorendo sin dall'inizio oggettivamente l'ascesa di Berlusconi non facendo valere la sua ineleggibilità, e poi, in presenza di governi di centro-sinistra, non presentando una seria legge contro il conflitto di interessi (ma anzi garantendo le sue televisioni, Violante dixit), non opponendosi alla personalizzazione del confronto politico e al leaderismo, contrastando solo timidamente una legge elettorale incostituzionale e antidemocratica e non pretendendone con sufficiente forza la riforma.

Non possiamo illuderci che i problemi che pesano sul nostro futuro siano indolori, ma dobbiamo pretendere che gli interventi necessari a risolverli garantiscano equità, solidarietà, giustizia e trasparenza. Nessuna maggioranza artificiale, nata dalle ingegnerie istituzionali e dai 'premi' che capovolgono la volontà popolare, potrà affrontarli efficacemente. E un Parlamento ancora una volta zeppo di portaborse, inquisiti, dipendenti e familiari non potrà garantire la stabilità necessaria, né la defnitiva cancellazione del 'fattore B'.

E' assolutamente indispensabile offrire agli elettori la possibilità di esprimere la loro volontà di cambiamento liberamente, presentando al loro giudizio una alternativa nuova, che consenta la rappresentanza di quella Italia competente e responsabile che in questi anni è scesa in piazza, ha lavorato in rete, ha rifiutato di farsi ingabbiare nel bipartitismo obbligato, ha pacificamente utilizzato gli strumenti di partecipazione previsti dalla Costituzione per sconfessare il parlamento dei 'nominati'; e che troppo spesso non è stata ascoltata.

Oggi questa prospettiva può chiamarsi 'Cambiare si può' o 'Movimento arancione', o come collettivamente decideremo: speriamo soltanto che protagonismi e nostalgie identitarie non condizionino colpevolmente la sua crescita, che deve essere prioritaria per quanti vogliono riprendere il cammino per la costruzione di una società pacifica, giusta e solidale.

 

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