L’intervista dell’on. Maurizio
Bianconi ( vicepresidente dei deputati del PdL) pubblicata dal
“Giornale” di famiglia del 15 agosto, con la quale si lancia al
Presidente Napolitano l’accusa di “tradire la Costituzione”, è
soltanto l’ultima – in ordine di tempo – bordata di un fuoco
di sbarramento che è stato aperto contro il Presidente della
Repubblica. Tale azione si è fatta ancora più intensa da quando
Napolitano, interloquendo sulla crisi, ha rivendicato le prerogative
che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica in
materia di scioglimento anticipato delle Camere. Si tratta di un
potere cruciale per il buon funziona mento della democrazia che la
Costituzione italiana ha voluto evitare di consegnare al Capo del
Governo, affidandolo invece ad un organo di garanzia, autonomo ed
indipendente dalle contingenti maggioranze politiche. Non a caso
nella riforma eversiva della Costituzione, votata nella precedente
legislatura Berlusconi, il potere di scioglimento delle Camere veniva
sottratto al Presidente della Repubblica ed affidato nelle mani del
Capo del Governo, il quale poteva procedere allo scioglimento
punitivo della Camere che osassero togliergli la fiducia.
E’
questo il capitolo più inquietante del colpo di stato strisciante
avviato da una maggioranza politica che ha fatto della demolizione
della Costituzione la sua stella polare.
Nelle circostanze attuali
si è verificata una situazione simile a quella che si verificò nel
gennaio del 1995, quando il Governo Berlusconi, sconfitto in
Parlamento, cercò di costringere il Presidente della Repubblica
dell’epoca allo scioglimento immediato delle Camere, per gestire le
elezioni in posizione di forza, approfittando della crisi della lira
e dell’enorme vantaggio che godeva nel campo del controllo dei mass
media.
Quella volta, però, le pretese di Berlusconi si
scontrarono con la fermissima difesa della Costituzione da parte del
Presidente Scalfaro, che non accettò uno scioglimento “punitivo”
della Camere e favorì la nascita di un governo di transizione con il
compito di ristabilire la “par condicio” fra le forze politiche,
in vista delle elezioni.
Anche allora Scalfaro fu oggetto di
ingiurie, minacce ed intimidazioni di ogni tipo (con la sola
esclusione dell’aggressione fisica), ma non si piegò, fornendo la
dimostrazione pratica di quanto sia cruciale il ruolo di garanzia che
la Costituzione ha assegnato al Presidente della Repubblica.
Lo
sbarramento di polemiche avviate dai megafoni di Berlusconi nei
confronti del Presidente Napolitano ha il significato inequivocabile
un “fuoco preventivo”, una intimidazione collettiva, orchestrata
per forzare la mano al Presidente della Repubblica ed impedirgli di
esercitare le sue prerogative costituzionali nella gestione della
crisi politica, come aveva fatto Scalfaro nel 1995.
Quando si
farnetica di tradimento della Costituzione, è evidente che si tratta
di una forma di intimidazione; quando si minaccia di scatenare la
piazza contro le decisioni del Presidente della Repubblica, è come
se si minacciasse una nuova “marcia su Roma”, per coartare le
decisioni che il Presidente della Repubblica deve assumere
nell’ambito delle prerogative che la Costituzione gli ha
attribuito. In questo modo viene fuori tutta la dimensione
squadristica di questa compagnia di ventura che si identifica nel
fenomeno politico berlusconiano.
Per la salvezza della Repubblica
queste manovre squadristiche devono essere respinte e delegittimate
alla radice. Esse costituiscono un attentato contro la libertà degli
organi costituzionali, essendo volte ad impedire al Presidente della
Repubblica l’esercizio della attribuzioni o delle prerogative
conferitegli dalla legge (art. 289 c.p.).
E’ compito di ciascuno
di noi battersi perché questo attentato non venga consumato e venga
ristabilita la par condicio fra le forze politiche in vista delle
prossime elezioni, che dovranno svolgersi con una legge elettorale
che restituisca ai cittadini il potere di scegliersi i propri
rappresentanti.
Quando si farnetica di tradimento della Costituzione, è evidente che si tratta di una forma di intimidazione; quando si minaccia di scatenare la piazza contro le decisioni del Presidente della Repubblica, è come se si minacciasse una nuova “marcia su Roma”