Caro Presidente Napolitano,
in Italia non si fa altro che parlare di giovani. La questione è semplice: c’è una generazione esclusa dai diritti e dal benessere, che oggi campa grazie al welfare familiare, e sulla quale si sta scaricando tutto il peso della crisi. La questione non si risolve togliendo i diritti a chi li aveva conquistati (i genitori), ma riconoscendoli a chi non li ha (i figli) e per far questo ci vogliono risorse.
Ora ci chiediamo, come è possibile invertire la tendenza e promuovere delle politiche per le giovani generazioni prendendo sul serio le lettere estive di Trichet e Draghi? Come è possibile farlo se il pareggio di bilancio diventa regola aurea, da inserire nella
Costituzione di cui Lei è garante?
Caro Presidente, garantire e difendere la Costituzione oggi vuol dire rifiutarsi di pagare il debito, così come consigliano diversi premi Nobel per l’Economia; vuol dire partire dai 27 milioni di italiani che hanno votato ai referendum; vuol dire partire dalle mobilitazioni giovanili e studentesche che da anni, inascoltate e respinte, hanno preteso di cambiare dal basso la scuola e l’università, chiedendo risorse e democrazia; vuol dire partire dalla domanda diffusa nel Paese di un nuovo sistema di garanzie, che tenga conto delle differenze generazionali, ma che non metta le generazioni l’una contro l’altra: così si tiene unita l’Italia!
Sarebbe un atto di giustizia fare in modo che la crisi la paghino coloro che l’hanno prodotta: con una tassazione delle rendite
finanziarie, delle transazioni, dei patrimoni mobiliari e immobiliari. Bisognerebbe avere il coraggio, dopo il disastro del ventennio berlusconiano e della Seconda Repubblica, di costruirne una terza di Repubblica, fondata sui beni comuni e non sugli interessi privati. La invitiamo a riflettere, perché questa generazione tradita non si arrenderà, ma da Tunisi a New York ha imparato ad alzare la testa.