Il medievalismo di Israele

di Michael Marder - da Al Jazeera - 23/11/2012
L’invito a “far tornare Gaza al Medio Evo” serve solo a rafforzare l’attuale stato di medievalismo in cui si trova Israele stessa.

In una delle dichiarazioni più sfacciate e allo stesso tempo più dirette rilasciate a tutt’oggi a proposito della guerra che si sta combattendo in questi giorni a Gaza, il Ministro degli Interni israeliano, Eli Yishai,ha affermato che “l’obiettivo delle operazioni è quello di far tornare Gaza al Medio Evo. Solo allora potrà esserci la calma in Israele per i prossimi quarant’anni.”

Con questa affermazione ha rivelato l’obiettivo occulto dell’invasione, e cioè recuperare la “forza deterrente” di Israele e la distruzione dei lanciatori di missili di Hamas.

Egli ha chiarito anche che la vision della pace di Binyamin Netanyahu prevede non un rapporto tra pari ma la calma degli sconfitti, una visione che conferma l’uso della guerra per rafforzare l’immagine del Primo Ministro come leader militare determinato nel preparare la campagna elettorale con la sua probabile rielezione nel gennaio 2012.

Le allusioni bibliche di Yishai ai quarant’anni di vita errante nel deserto non sono casuali. Dopo tutto, il suo partito politico, Shas, è la fazione fanatica religiosa del governo Netanyahu. Anche la sua idea di Israele non si distanzia molto dal Medio Evo – un paese nel quale gli uomini e le donne viaggerebbero segregati nei trasporti pubblici e sarebbero segregati in ogni area della vita pubblica, dove la libertà di religione sarebbe solo un sogno nel cassetto, dove l’omosessualità verrebbe vista come una peste “tossica quanto l’influenza aviaria”. In breve, nel partito di Yishai le politiche interne ed estere sono basate su una miscela velenosa di anti-modernismo, teocrazia, campanilismo religioso e irriverenza verso i diritti umani.

Ma tutto questo impallidisce se si confronta con il recente invito a “far tornare Gaza al Medio Evo”. Le condizioni di vita in questa zona della Palestina sono già precarie e alla vigilia di una possibile invasione via terra della Striscia di Gaza l’invito suona come una minaccia orrenda di radere al suolo le infrastrutture e distruggere le abitazioni, condannare il popolo alla fame e al dilagare di malattie. Allude senza dubbio alla barbarie di guerre indiscriminate in cui le vittime civili sono tutte una preda e la Convenzione di Ginevra viene sfacciatamente violata. E soprattutto dimostra il desiderio di tradurre le ineguaglianze economiche e politiche tra Gaza e il territorio che si estende a nord e a est in differenze insormontabili dove le due popolazioni non convivono più nello stesso periodo storico.

La tattica di un “regresso” temporale dell’avversario risulta ancora più insidiosa di quella della de umanizzazione del nemico. L’affermazione di Yishai indica che Israele si sta concentrando a creare fatti visibili e concreti non solo territorialmente, cioè continuando a costruire le colonie e occupando terra, ma anche temporalmente esacerbando la diseguaglianza nello sviluppo economico. Mentre le industrie di alta tecnologia fioriscono nella Silicon Valley israeliana, agli abitanti di Gaza viene negata l’infrastruttura di base che è fondamentale per la sopravvivenza quotidiana. Come se il brutale assedio di Gaza non bastasse a causare sofferenze indicibili a tutti coloro che sono intrappolati in quella prigione collettiva dove gli israeliani fungono da carcerieri, la guerra garantirà che i 1.700.000 prigionieri non assaporeranno il lusso di vivere nel ventunesimo secolo. Di conseguenza, gli israeliani e i palestinesi vivono materialmente in due epoche ben distinte, quella post-moderna e quella pre-moderna. E ciò che è peggio, il post-moderno israeliano sarà reso possibile negando ai palestinesi il diritto di far entrare la modernità politica ed economica.

E’ indicativa l’agghiacciante minaccia espressa dal leader di Shas meno di due settimane prima della presentazione in programma alle Nazioni Unite della richiesta palestinese di accedere allo stato di osservatore non-membro. Lo stato di nazione è uno dei simboli più facilmente identificabili del post-moderno politico, e gli sforzo continui di Israele a far deragliare la costituzione di uno stato indipendente palestinese sono in linea con la tattica di “far tornare al Medio Evo” il suo vicino. La guerra che Israele combatte contro la modernità palestinese viene combattuta su tutti i fronti.

Le bombe reali hanno distrutto le infrastrutture economiche e le vite umane; le bombe diplomatiche – lettere e telefonate da parte di Netanyahu ai capi di stato mondiale minacciando delle “conseguenze” in caso avessero votato a favore della richiesta della Palestina – mirano a indebolire l’infrastruttura simbolica e politica per uno stato attuabile.

Se evocato in contesti negativi, il termine Medioevo viene associato a un periodo di ristagno o addirittura di regressione che ignora le conquiste delle civiltà greca e romana. Il periodo viene anche chiamato in modo peggiorativo “le epoche buie”, una strana definizione che accosta il Rinascimento italiano e l’Illuminismo, che affermarono la fede nella ragione e nel progresso, con l’ignoranza del Medioevo. Certo il periodo non fu un periodo di buoni auspici per l’Europa Cristiana. Ma la scienza araba/islamica, la medicina, la filosofia e le arti fiorirono, così come fiorirono gli imperi cinese e indiano. E’ quindi fortemente ironico che il leader di un partito che esige un Israele “autenticamente Medio Orientale” (e quindi dominato dai Sefarditi) faccia affidamento a questa espressione per puntare il dito su uno stato di arretratezza e sottosviluppo. Ed è particolarmente assurdo che questo governo guerrafondaio in Israele si consideri erede dell’Illuminismo, in lotta contro le forze oscure del Medioevo.

Infine, non può sfuggire all’attenzione un’altra considerazione. Yishai non ha affermato che il popolo di Gaza vive nel Medioevo. Invece ha invocato la diffusione dell’oscurità medievale nel territorio palestinese. Tale strategia non è nuova: i dittatori preferiscono governare istigando paura e ostacolando lo sviluppo sociale, politico ed economico dei loro sudditi. Ciò che viene confermato tuttavia da questa mossa è il medievalismo della stessa Israele, il suo disprezzo per l’ordine internazionale politico e legale dove essa esige da sempre di essere considerata una “eccezione permanente”.

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