Il medioevo di Napolitano e Monti

di Orazio Licandro - 22/03/2012
Hanno detto e ridetto che il governo dei professori, dei tecnici, dei sobri e bla bla bla (in fin dei conti, miliardari e potenti) avrebbero tirato l’Italia fuori dal tunnel della crisi economica e impedito una sorte analoga a quella della povera Grecia, massacrata per assicurare profitti a banche e speculatori. Invece hanno determinato il medesimo scenario greco, proprio qui in Italia.

Facciamo un piccolo, incompleto e purtroppo provvisorio bilancio. Manovre (comprese quelle tremontiane) per complessivi 150 miliardi di euro; provvedimenti dagli effetti recessivi; misure inique; l’Italia tecnicamente già in recessione con una produzione industriale al -2,5%; impoverimento generale; polverizzazione del ceto medio; cancellazione dell’esito dei referendum del giugno scorso; peggioramento dei servizi locali e innalzamento insopportabile di tariffe e imposizione tributaria locale; banche strapiene di soldi che rifiutano però il credito a imprese e famiglie preferendo speculare con l’acquisto dei titoli di stato; cartello dei petrolieri che indisturbato ormai imperversa peggio di una flotta di bucanieri provocando ulteriore inflazione; scuola e università pubbliche in ginocchio, anzi ‘asfaltate’.

E adesso l’ineffabile governo, sospinto dall’altrettanto ineffabile presidente della Repubblica (tutto rigorosamente in minuscolo), punta alla cancellazione di un ultimo baluardo di civiltà giuridica: l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Non mi rivolgo a Monti, che dall’alto del suo reddito annuale di 1,5 milioni di euro (annuale!) giudico in astratto persona assolutamente incapace di comprendere, per sua lontananza, i bisogni di un italiano normale con famiglia e, nel migliore dei casi, ancora con uno stipendio o pensione. Mi rivolgo invece al presidente della Repubblica Napolitano che iscrive la sua cultura e azione politica (ma non dovrebbe essere un arbitro, dunque terzo rispetto al gioco politico?) nel migliore solco del riformismo italiano ed europeo (sic!, per alcuni ‘analisti politici’) per chiedere: caro presidente, sempre più lontano, non da banchieri e finanzieri, ma dai problemi degli italiani normali, cosa c’entra con la crisi economica e con l’Europa la ricerca ossessiva, pervicace, quasi autistica, dell’abolizione del divieto di licenziamento senza giusta causa? Possibile che quando si tratti di introdurre porcate è sempre l’Europa che le chiede, come nel caso della cancellazione del reato di concussione? Quello contenuto nell’art. 18 è un principio giuridico, non si tratta di un’opzione economica, a meno di intendere anche ciò una ‘liberalizzazione’! Diamine, ma i suoi consiglieri giuridici che ci stanno a fare?

Se si desse via libera a quest’ultimo atto, da domani l’Italia piomberebbe ancora di più in un nuovo medioevo, in cui il futuro, soprattutto quello delle future generazioni, sarà ampiamente ipotecato. Io sto con tutti coloro che si opporranno a quest’ultima barbarie.

Oggi in presidio, dinanzi Montecitorio, in difesa dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, che in fin dei conti è difesa di un pezzo della nostra Costituzione!

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