Il volto milanese del berlusconismo

di Daniela Gaudenzi - Liberacittadinanza - 12/05/2011
A Milano si gioca, a distanza di diciannove anni e sotto la parvenza di una tornata amministrativa, una partita nazionale e decisiva

Tutti gli occhi sono puntati su Milano: la città che ha subito l’oltraggio dei manifesti contro i magistrati brigatisti, i lunedì della passerella giudiziaria del presidente del Consiglio per la sua personale campagna elettorale da imputato impunito, la pagliacciata della pseudo- scomunica da parte del sindaco del candidato che si è fatto interprete ed esecutore dei voleri del capo.

Di lunedì in lunedì sotto il palazzo di giustizia, additato come la sede del “cancro della democrazia” da cui Berlusconi vuole liberare il paese, i sostenitori del singolare imputato che vuole aumentare i suoi poteri e ridurre quelli del Capo dello Stato, si sono defilati nonostante l’organizzazione della Santanché e i buoni presenza offerti dai paladini delle libertà.

A quattro giorni dal voto la sindachessa in carica che per accreditare l’immagine di moderata aveva fatto una patetica sfuriata contro “l’impavido” Lassini, pronto a sedersi tranquillamente in consiglio comunale con la gratitudine del perseguitato supremo, è riuscita persino a lanciare nei confronti del suo avversario un boomerang che può costarle molto caro. A corto di argomenti e non trovando di meglio è andata ad accusare Giuliano Pisapia di sovversivismo, brandendo una presunta condanna, che poi era una prescrizione in primo grado e una assoluzione in appello per un episodio che risale a più di trent’anni fa. Qualcosa di vagamente analogo all’operazione “di sputtanamento” di Ilda Boccassini, per le effusioni risalenti agli anni ’70 con un fidanzato giornalista e al relativo procedimento disciplinare ovviamente archiviato, orchestrata dai giornali di famiglia con talpa dentro il CSM, per creare un polverone sul Rubygate e spostare i riflettori sui trascorsi dei magistrati “spioni”.

Questa campagna elettorale milanese e purtroppo nazionale a colpi di cialtronerie e infamità contro i magistrati che rimangono sempre incredibilmente il primo nemico politico e a seguire nei confronti degli avversari, alla faccia dell’auspicio del Capo dello Stato “che la lotta politica non sia una guerra continua” è al tempo stesso la reiterazione aggravata di un copione consolidato e il segno di un degrado civile e politico non ulteriormente prolungabile.

Forse non è un caso che teatro e protagonista sia ritornata la città che fu “la Milano da bere” del craxismo e della degenerazione partitocratica della prima repubblica e poi la capitale morale di Mani Pulite vissuta dalla parte miglior del paese come promessa di un rinnovamento che non è mai nato e che si è trasformato ben presto nella peggiore restaurazione.

Da Milano è partita la macchina di potere economico e mediatico che ha consentito “la discesa in campo” dell’imprenditore “del fare” che, orfano dei padrini politici e più motivato di chiunque altro, perché doveva salvarsi dalla galera e mettere in sicurezza l’allora pencolante impero economico ha incassato il consenso elettorale che era dei partiti disintegrati dal loro sistema corruttivo e non “liquidati per via giudiziaria” come la vulgata revisionista e il massimo beneficiario sbraitano incessantemente.

A Milano si gioca, a distanza di diciannove anni e sotto la parvenza di una tornata amministrativa, una partita nazionale e decisiva in cui i temi della difesa della legalità, della legge uguale per tutti, della riaffermazione dei principi dello stato di diritto e del rispetto della costituzione sono centrali, per il semplicissimo motivo che il presidente del Consiglio, nonché capolista in comune, se li mette quotidianamente sotto i piedi in modo plateale, becero ed esibito.

All’appuntamento, e si potrebbe dire da ben diciannove anni, la sinistra e l’opposizione in senso lato ci è arrivata nel modo peggiore, adeguandosi di volta in volta ai modelli berlusconiani o parlando d’altro, facendo quasi sempre finta che “l’anomalia” berlusconiana non esistesse, che il conflitto di interessi fosse un’entità astratta, che le televisioni contassero fino ad un certo punto, che le riforme si potessero fare insieme, che il dialogo fosse sempre possibile.

Forse, chissà, la campagna elettorale milanese all’insegna degli slogan della Santanché contro la Boccasini “metastasi” e della moderata Letizia che ha fatto tesoro nel suo piccolo del metodo Boffo, potrebbe, ma non è detto, aver contribuito a fare chiarezza dalle parti dell’opposizione. C’è solo da augurarsi che, soprattutto, le idee un po’ più chiare se le siano fatte gli elettori.

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