LA BOLGIA, IL COMPLOTTO E LA LESA MAESTÀ

di Massimiliano Perna – ilmegafono.org - 14/03/2010
Non si placano le polemiche seguite al decreto salva liste e alla successiva bocciatura del Tar del Lazio: Berlusconi parla di complotto, il popolo viola e l’opposizione scendono in piazza, mentre continua il dibattito sul ruolo di Napolitano

Pensando alle ultimissime vicende italiane, c’è una sola parola che si fa spazio con insistenza nelle nostre teste ed è una parola già troppo spesso ascoltata: caos.

Nulla può illustrare meglio la confusione e la bolgia dentro il quale si sgretola, giorno per giorno, l’impianto democratico di quella che, ancora, è una Repubblica. Il provvedimento sul legittimo impedimento, approvato a colpi di fiducia per mettere in riga una maggioranza compatta solo in apparenza, è arrivato proprio nel bel mezzo del caos generato dal decreto “interpretativo” successivo all’esclusione delle liste del Pdl dalla competizione elettorale a Roma e in Lombardia.

L’ennesima misura ad personam per consentire a Berlusconi di aggirare i propri guai giudiziari è arrivata proprio nel giorno della conferenza stampa in cui il premier ha mostrato la sua consueta arroganza, accusando, con il solito patetico ritornello, la sinistra di aver impedito la presentazione regolare delle liste del Pdl e il Tar di aver fatto da sponda ad una certa volontà politica, dichiarando inattuabile il decreto.La solita maschera del complotto per coprire una frattura ormai difficilmente sanabile all’interno della maggioranza di governo.

Il presidente del Consiglio, infuriato per l’errore (che ha tanto il sapore di scelta consapevole, se non di vendetta) commesso dai suoi colleghi di partito in ordine alla presentazione delle liste, ha attuato un goffo tentativo di nascondere le proprie vergogne spostando l’attenzione e la polemica su un fantomatico complotto ordito dalla sinistra e dalla “sua” magistratura, alzando così la tensione e richiamando l’elettorato a quella che, più che una competizione civile, viene vissuta a destra come una battaglia tra armate medievali.

Un tentativo disperato di recuperare consensi, dopo che, per la prima volta negli ultimi due anni, i sondaggi mostrano un crollo della fiducia nel governo e un calo di appeal dello stesso premier, anche all’interno del proprio elettorato. Un calo su cui pesa notevolmente la scelta di aggirare (vanamente) con un decreto le regole sulle competizioni elettorali, regole che sia quest’anno che in passato hanno portato all’esclusione di liste di vario colore, dal Pd ai Radicali fino ad Alternativa Sociale, senza che da parte del Pdl si alzasse alcun coro di indignazione. Di solito chi sbaglia paga, ma non in Italia.

In Italia ormai chi sbaglia, soprattutto a destra, spera ancora, perché sa che la propria cavalleria, guidata dal suo arzillo Cavaliere, interverrà con qualsiasi mezzo per cambiare le regole. Ad abbassare il consenso e l’umore del premier è stato anche il malumore dei cittadini (sempre attestato dai sondaggi) nei confronti della scelta di chiudere i programmi di dibattito politico in vista delle elezioni. Una decisione senza precedenti, che davvero fa precipitare il nostro Paese agli ultimi gradini mondiali per la libertà di stampa.

La stretta impressa dal governo comincia a strozzare anche il suo consenso, spingendo nuovamente la gente nelle piazze. A contribuire indirettamente a questa rinnovata voglia di protesta democratica, in verità, è stato anche il presidente Napolitano, finito nel mirino di buona parte dei cittadini per aver firmato immediatamente il famigerato decreto interpretativo. Una firma che ha indispettito tutti, tranne chi ritiene che un Capo dello Stato non vada mai criticato e non possa avere altra scelta se non quella di apporre la propria firma.Cosa non vera, in quanto il presidente Napolitano aveva il potere di non firmare un decreto che presentava sin da subito notevoli dubbi di costituzionalità, così come la decisione del Tar ha fatto notare.

Ancora una volta Napolitano si è trovato al centro di polemiche roventi, con da una parte l’Idv a chiederne perfino l’impeachment e, dall’altra, il Pd a contestare Di Pietro e i suoi ed a spiegare che il Capo dello Stato nulla poteva fare. In realtà, non è così, perché non c’era alcun obbligo, ma si è trattato di una scelta che, come ha spiegato anche lo stesso Napolitano in una lettera affidata al web, si è resa necessaria per garantire il diritto di voto agli elettori del partito di maggioranza del Paese. Si tratta dunque di un diritto che è superiore al rispetto delle regole? E perché mai si deve garantire la partecipazione irregolare delle liste di un partito grosso, quando poi, mai nulla si è fatto, né oggi né in passato, per riammettere liste di minoranza incorse nello stesso problema?Si ritiene forse che il caposaldo di una democrazia (e della nostra Costituzione) sia il principio di maggioranza e non invece il rispetto delle minoranze? Napolitano poteva rifiutarsi, senza avere paura della reazione o delle minacce di “piazza” di Berlusconi.

La scelta del Capo dello Stato non ha convinto ed ha stupito il Paese, perché ha evidenziato una debolezza pericolosa, che somiglia tanto a quella di personaggi che hanno caratterizzato periodi difficili e ancora tangibili della storia italiana. Un paragone che è subito balzato alla mente, infatti, è stato quello con il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, accusato di evidente debolezza di fronte all’avvento del fascismo (basta ricordare il comportamento del Re durante e dopo la marcia su Roma) e durante il regime.

Lo ha ricordato bene lo scrittore Antonio Tabucchi: “Un’altra legge vergogna. Ritengo responsabile in prima persona Giorgio Napolitano. Per gli esegeti del regime non poteva non firmare. Invece poteva, bastava che volesse. Le leggi razziali nel ‘38 non le firmò Mussolini, ma Vittorio Emanuele III”. Una critica durissima, così come dure sono state quelle mosse da Di Pietro, che ha fatto infuriare Pd e Udc. Qualcuno ha anche detto che mettere in mezzo il Quirinale permette a Berlusconi ed alla sua accolita di nascondersi dietro Napolitano, difendendolo dagli attacchi.In realtà, mai come questa volta (e non solo per ciò che dicono i sondaggi) sarebbe controproducente trincerarsi dietro la figura istituzionale del presidente della Repubblica, il quale non è mai apparso così distante dal pensiero di buona parte della cittadinanza.

Ad ogni modo, ciascuno ha la propria sensibilità e coscienza, quindi così come non è giusto addossare ogni colpa a Napolitano dimenticando l’origine di quel decreto, è altrettanto ingiusto strozzare il dissenso o le critiche legittime che vengono mosse all’agire del Capo dello Stato. “Nelle vere democrazie – ha dichiarato ancora Tabucchi - l’operato del Presidente della Repubblica è sottoposto alle giuste critiche dell’opinione pubblica, ma in Italia non si può, è lesa maestà. Napolitano, questa volta in maniera flagrante, ha rotto i patti con gli italiani”.

Comunque la si pensi, è innegabile che quanto accaduto ha avuto l’effetto positivo di far riesplodere il senso democratico di una parte degli italiani, sollecitandoli a popolare nuovamente le piazze, a far risuonare l’eco di una protesta generale, compatta, assidua. Non tanto il popolo viola, già molto attivo da mesi, ma il fatto che perfino il “cloroformizzato” Pd decida di scendere per strada tra la gente (seppur con mille sterili cautele) è già un segno che qualcosa si muove anche in Italia, che all’ennesimo schiaffo subito, all’ennesima aggressione, si decide di rialzarsi e di rispondere con quei mezzi che la democrazia, seppur malconcia e ferita, ancora offre a chi vuole difenderla.

Berlusconi adesso pensa alle elezioni e ad aumentare la tensione, con il proprio stile, lo stesso usato nelle Regionali del 2007, quando annunciò una spallata elettorale all’allora governo Prodi, spallata che invece si rivelò un fallimento politico, da cui il Cavaliere riuscì a risorgere attraverso il rito del “predellino” e con il prezioso “aiuto” di Veltroni e del nascente Pd.

Adesso, invece, il voto è uno degli strumenti fondamentali per dare a Silvio ed alla sua fratturata cavalleria lo scossone decisivo per farli cadere da cavallo. Una spallata, infatti, non basterebbe.

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