La posta in gioco

di Francesco Baicchi - 17/02/2009
Sabato 14 gennaio LiberaCittadinanza ha organizzato a Firenze un interessante incontro su 'Giustizia e Informazione', con la presenza di Magistrati e giornalisti che hanno efficacemente delineato la deriva autoritaria imboccata dal nostro Paese e lo stretto legame esistente fra i due argomenti.

Vorrei sintetizzare qui l'intervento che avrei fatto, se ce ne fosse stato il tempo, per sostenere, appunto, la necessità di una visione unitaria di quella che è, senza dubbio, una situazione estremamente pericolosa, frutto di una strategia coerente.

Tutti i relatori hanno presentato una analisi perfino grottesca della produzione legislativa recente e in corso, che non trova analogie negli altri Paesi moderni, nemmeno in quelli governati dalla destra; ma, dato che Berlusconi ha conquistato il potere grazie a un consenso che gli ha consentito il rispetto formale degli strumenti democratici e non con le armi, se vogliamo definire un percorso per invertire questa involuzione dovremmo chiederci come siamo arrivati a questo punto.

Se dunque l'uscita dal regime berlusconiano deve essere l'obiettivo a breve di tutti i democratici, esso non può essere ottenuto ignorando il dilagare di una cultura della passività, del ritorno alla sudditanza e della rinuncia alle conquiste della ‘cittadinanza’ e il prevalere dell'egoismo individuale di chi ‘pensa per sé’ e lascia ad altri il compito e il potere delle decisioni collettive.

Dobbiamo prendere atto della presenza, poco importa se e di quanto maggioritaria, di una vasta area di opinione pubblica che, a 60 anni dalla sconfitta del nazi-fascismo, vuole rinunciare a quel 'giudice a Berlino' che è un po' il simbolo dello stato di diritto e al potere che l'art. 1 della Costituzione conferisce al 'popolo'.

E magari chiederci come sia possibile non rendersi conto delle conseguenze della cancellazione della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) e dei 'contropoteri' democratici, dell'accentramento di tutte le funzioni decisionali nel capo dell'esecutivo, della accettazione dell'invadenza dell'integralismo clericale, del ripristino della censura sulla informazione nella sua forma più attuale e tutta italiana del monopolio dei media.

Insomma della negazione della uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e del ritorno alla oligarchia che sembra tentare un po' tutti i vertici dei partiti tradizionali.

Il berlusconismo è certo il più evidente esempio di questa cultura, ma non possiamo dimenticare la responsabilità di quanti, anche fra chi si proclama di sinistra, hanno accettato o promosso leggi elettorali e pratiche di governo che hanno compresso fino quasi a cancellarli i poteri degli elettori, stravolgendo il sistema rappresentativo.

Questo atteggiamento, che appare una rinuncia ai diritti di cittadinanza, mette in discussione il principio fondamentale della democrazia: il diritto e la capacità di ogni uomo e ogni donna a auto-determinarsi e a partecipare alle scelte politiche che incidono sul loro futuro.

Ma di questa involuzione culturale quanta responsabilità ha l'oggettivo fallimento e l'incapacità dimostrata dalla classe politica (e quindi dal sistema rappresentativo che l’ha selezionata) nella gestione dei problemi delle nostre attuali società (ambiente, sicurezza, migrazioni, risorse energetiche, ecc...)? E quanta il dilagare della corruzione (denunciata dalla stessa Corte dei Conti) e del nepotismo, l'abbandono di qualunque freno etico, il professionismo della politica e la distorsione della rappresentanza, che rendendo sempre più simili sinistra e destra nella pratica quotidiana crea qualunquismo, astensionismo e nostalgia per figure carismatiche?

La sensazione del fallimento del rapporto rappresentativo è probabilmente anche alla base della assuefazione generalizzata ai tanti piccoli e grandi soprusi quotidiani che ci siamo abituati a sopportare (dal cattivo funzionamento di costosi servizi pubblici al parassitismo del sistema bancario, dai costi sopportati dai consumatori per le cosiddette 'privatizzazioni' alla mancata lotta all'evasione fiscale, dalla servile autocensura di certa stampa alla tolleranza per le invadenze vaticane), dai quali la maggioranza dei cittadini si difende non con la rivendicazione del diritto, ma con le scorciatoie del clientelismo.

Esiste dunque una responsabilità diffusa di questa situazione, che ridimensiona la credibilità anche di quanti, da sinistra, vengono identificati con l’attuale ‘casta’, e renderebbe comunque fragile anche una improbabile vittoria elettorale che non fosse esplicitamente fondata su una radicale ripresa del processo democratico e del sistema rappresentativo parlamentare. Perché, come diceva Churchill: “…la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.

Ecco perché penso sia profondamente sbagliato (e perdente) pensare a una opposizione ‘dialogante’, che accetta di fatto il superamento del nostro sistema istituzionale e ritiene praticabile il terreno della ricerca convergente di ingegnerie istituzionali per limitare il pluralismo e creare un bipartitismo forzato che lascerebbe senza rappresentanza la parte più responsabile della opinione pubblica.

Quelle persone impegnate e responsabili ci sono ancora: le 200.000 firme sull'appello di Gustavo Zagrebelsky per Libertà e Giustizia lo dimostrano. 'Rivendichiamo i nostri diritti di cittadini' scrive Zagrebelsky.

Ora non dobbiamo ripetere l'errore commesso nel 2002-2003, quando i ‘movimenti’ hanno disperso il grande patrimonio di Piazza San Giovanni in mille sigle e personalismi meschini, per fornire invece a tutti un aiuto per esprimere il proprio impegno civile, la rivendicazione della propria autonomia di giudizio, il rifiuto di certi modelli di consumo, la propria voglia di partecipare e di contare ogni giorno anche nelle scelte quotidiane.

Occorre un grande movimento di resistenza e di disobbedienza civile: chiediamo a chi vuole il nostro consenso di rinunciare ai sofismi identitari e alle 'cordate' oligarchiche per permettere la selezione di una nuova classe dirigente che sappia e possa denunciare gli errori del passato.

Da questa crisi non si esce tornando semplicemente indietro, ai metodi della 'vecchia politica', ma dimostrando che la democrazia può funzionare e si può amministrare in modo trasparente, efficace e intelligente. Perché questa è la vera posta in gioco.

 

 

 

 

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