LA SCONFITTA DELLA SINISTRA E LA CRISI DEL SINDACATO

di Antonio Grieco Napoli - 20/03/2013
La sconfitta della sinistra (di tutta la sinistra) alle elezioni politiche di febbraio è una sconfitta storica che non sarà facile recuperare

E’ inutile nasconderlo. La sconfitta della sinistra (di tutta la sinistra) alle elezioni politiche di febbraio è una sconfitta storica che non sarà facile recuperare. Chi minimizza - magari valorizzando oltremisura la positiva elezione dei presidenti dei due rami del parlamento - vuol dire che non ha capito cosa è successo. Non ha capito il fatto più grave che ci consegnano queste elezioni: vale a dire che siamo di fronte ad una sconfitta che è figlia della rottura di un legame sociale, di un legame col nostro mondo, un tessuto sociale fatto di operai, artigiani, disoccupati, lavoratori dipendenti, esodati, precari, cassintegrati.

 Un popolo martoriato dalle politiche di austerità, stritolato dagli effetti di un liberismo di stampo reazionario, è andato via in silenzio da una sinistra che le è apparsa un contenitore vuoto, un simulacro, una casta come tante altre, incapace di suscitare una vera speranza di cambiamento.

Questo mondo ha deciso che gli altri, anche la sinistra di alternativa di Rivoluzione Civile, non erano credibili e non sarebbero stati in grado di rappresentare tutto il suo malessere, tutta la sua indignazione nei confronti della corruzione della politica e delle nefaste scelte politiche del governo Monti e della Merkel.

 Questo mi sembra il primo punto da cui partire per un'analisi meno contingente del voto di febbraio.

 La sinistra non è stata in grado di intercettarlo, questo mondo, né è stata in grado di capire la sua rabbia che saliva dal basso. I segnali tuttavia erano chiari. Mentre Berlusconi recuperava parte del suo elettorato, Grillo cresceva sulle macerie della sinistra moderata. In dubbio semmai era solo la dimensione della sua vittoria, che è andata oltre ogni attesa del suo stesso leader, soprattutto per inadeguatezza di chi avrebbe potuto contrastarlo sul suo terreno populista o “parapolitico”.

 In questo Sel, col 3% circa, alleata silente del Pd, rappresenta una vera cartina di tornasole; è l’esempio (da manuale?) più chiaro dei motivi della fuga dalla sinistra, della sua sconfitta e della sua inadeguatezza politica. Dico questo perché questo movimento nasce, pur con evidenti contraddizioni iniziali, col proposito di contrastare le politiche neoliberiste. Cosicché l’alleanza col PD, complice del disastro sociale del governo Monti, ha reso poco credibile le sue battaglie su tanti punti (dalle spese militari al contrasto alle leggi sul lavoro), che avrebbero potuto trovare più ascolto all’interno di una coalizione di sinistra. Ma “la missione della governabilità”, che si era data sin dalla  nascita la sinistra vendoliana, conteneva in sé il veleno della rottura a sinistra, l’impossibilità di trovare reali momenti di condivisione su un progetto politico di alternativa.

Il risultato di questa sua ambiguità è stato pagato a caro prezzo da quella parte che credeva nella sua proposta politica: non tanto sul punto del suo scarso risultato elettorale, ma sull’idea, ormai palese a molti, che la scelta di SEL di allearsi col Pd è stata soltanto una scelta opportunistica e niente più. Solo calcolo politico, utilizzando la schifezza del Porcellum e il leaderismo di Vendola, per essere certi di eleggere al parlamento fidati funzionari di partito, con qualche lodevole eccezione.

 La sinistra rappresentata da Rivoluzione civile, che, seppur con un contraddittorio segno leaderistico, teneva insieme partiti di alternativa come Rifondazione, Verdi, settori significativi della società civile ed anche politici poco credibili come Di Pietro, ha commesso anche lei, soprattutto nell’avvicinarsi della campagna elettorale, evidenti errori d'impostazione e di comunicazione. Perché ha dato la sensazione, contraddicendo il suo programma chiaramente alternativo, di cercare un’alleanza col Pd e di subire angosciata il suo netto rifiuto. E questo è apparso inaccettabile sia a quella parte di società civile che aveva deciso di aderire alla sua coalizione, sia alla parte più politicizzata dei suoi potenziali elettori; i quali, come del resto dimostra l’analisi dei flussi di Ilvo Diamanti, hanno scelto Grillo perché non hanno avuto chiara, nella prassi politica, l’idea di un progetto alternativo a sinistra. Continuare ad aspettare un segnale dal PD, anche se per puro tatticismo, non poteva non sembrare a molti una mossa politicista che generava solo confusione.

 Una contraddizione netta, evidente, soprattutto se, nel medesimo tempo, si era (per usare un eufemismo) indulgenti con Grillo. Mentre invece quel movimento andava incalzato e contrastato a voce alta sul suo terreno, partendo dalle sue opzioni più sciagurate e populiste: dall’idea che la mafia non esiste all’affermazione che i figli degli immigrati non avevano diritto alla cittadinanza italiana, sino alla contrarietà al ripristino della civiltà del diritto con l’articolo 18; per non parlare della democrazia interna al suo movimento, di gran lunga più arretrata di quella dei vituperati partiti della prima repubblica.

 Ora tutti noi sappiamo che la politica è l’arte della distinzione, e non essere riusciti a comunicare all’esterno una chiara identità politica - che il passo indietro dei partiti della coalizione avrebbe dovuto favorire - ha spinto molti elettori di sinistra ad appoggiare chi, almeno mediaticamente, sembrava dar voce alla sua indignazione. Basti pensare che trasmigra verso Grillo il 40% del voto operaio; una cosa enorme, mentre la cosiddetta società civile si è sciolta come neve al sole: o astenendosi o in qualche caso votando per il PD e SEL, oppure scegliendo per disperazione il Movimento cinque stelle.

Tutto questo non può non indurci a riflettere sul ruolo avuto dal maggiore sindacato italiano, la CGIL, in questa ultima tragica stagione sociale del nostro paese.

 Questo mondo, il mondo del lavoro, si è avvicinato a Grillo nella speranza di una risposta, di un'interlocuzione diversa, di una vicinanza alla sua solitudine; si è voltato dall’altra parte semplicemente perché il sindacato né lo ha visto al suo fianco, né lo ha adeguatamente rappresentato; anzi ha teorizzato la negazione del conflitto, l’accettazione nei fatti del modello Marchionne, la disponibilità al confronto col governo, quando invece c’era bisogno di un grande movimento di lotta contro il governo Monti. Invece, la CGIL ha scelto di isolare la FIOM e di non vedere ciò che era sotto gli occhi di tutti: vale a dire che Marchionne e Monti stavano cambiando la carta dei diritti dei lavoratori, la carta costituzionale, e che d'ora in poi nulla sarebbe stato più come prima. Erano stati gettati a mare così, complice il silenzio assenso del PD, cinquanta anni di lotte operaie per la conquista dei diritti dei lavoratori, e nessuno ha pensato che fosse giusto dire basta, alzare la voce, difendere la Costituzione, lo Statuto dei lavoratori, il contratto nazionale di lavoro.

 Ero convinto (e lo sono tuttora) che se fossero scesi in piazza milioni di lavoratori - per l’articolo 18 o per le controriforme  della Fornero, come qualche anno fa con Cofferati - i risultati elettorali non sarebbero stati così pesanti per la sinistra. Ciò che emerge con nettezza in questa campagna elettorale, di cui pochi hanno voglia di occuparsi, è la grave crisi della CGIL, che è crisi di rappresentanza e di democrazia, incapacità ad esprimere tutto il malessere del suo popolo, assenza di volontà politica a rappresentare i drammi che dal Nord al Sud del paese stanno devastando la vita di milioni di lavoratori.

 Penso che per ricostruire l’idea di sinistra del nostro paese occorre partire da qui, dalla consapevolezza che è vitale un’azione riformatrice del maggiore sindacato italiano volta ad  innovare profondamente la sua vita democratica, favorendo la partecipazione dei lavoratori alle sue  alle sue scelte, senza trasformarsi, come è accaduto in questa campagna elettorale, in una sede distaccata del PD o di SEL. La CGIL se vuole rinascere deve tornare ad essere la casa comune della sinistra.

 Questo nostro mondo, che è andato via in silenzio, non sarà facile recuperarlo. Ma se c’è un modo di riavvicinarlo, è quello di ricostruire la nostra comunità a partire dalla lotta contro le disuguaglianze e le ingiustizie, riannodando il filo della solidarietà a partire dalla vicinanza ai più deboli.

I dati elettorali sono lo specchio di una tragedia, di drammi collettivi, distruttivi e moderni; sono l'effetto di una globalizzazione apocalittica e planetaria.  Ma è solo ricostruendo quella trama di relazioni comunitarie fondata sul riconoscimento dell’Altro, sulla difesa della condizione materiale e dei diritti dei lavoratori, che la sinistra  di alternativa unita – da Rifondazione a Rivoluzione civile - può sperare di ritrovarsi dando vita ad una nuova fase di lotta politica e sociale per lo sviluppo della democrazia del nostro paese.


Antonio Grieco   Napoli

ex lavoratore della FIAT di Pomogliano, nonché per anni sindacalista e dirigente del movimento operaio della Campania

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