Lavoro e Costituzione

di Elio Rindone - 03/11/2012
Chi aveva immaginato che con la fine del governo Berlusconi fossero terminati gli attacchi alla carta costituzionale non può non ricredersi ascoltando le parole dei tecnici che oggi godono della fiducia di un’ampia maggioranza parlamentare. Penso che basti leggere in successione tre loro dichiarazioni per rendersi conto che è in atto un preciso disegno volto a smantellare i diritti dei lavoratori.

Nel corso di un convegno su ‘Mercato, istituzioni e democrazia’, organizzato a Stresa dalla Fondazione Iniziativa Subalpina, il ministro per i Beni e le Attività culturali Lorenzo Ornaghi ha sostenuto che “Il welfare è stato una grande trasformazione di tutto il Novecento, ma ha anche modificato, e talvolta indebolito, il funzionamento della democrazia, perché l'aspettativa generalizzata, una volta diventata diritto, abbisogna di una soddisfazione che appesantisce i costi dello Stato. È un’esperienza storica che ci lascia la necessità di dover proteggere fasce ampie di cittadini al meglio possibile, ma che non potrà più essere sostenuta con le risorse dello Stato. Bisognerà trovare nuove formule tra pubblico e privato”(Il Fatto Quotidiano, 28/10/2012).

Se non si troveranno nuove forme di cooperazione, partenariato, integrazione tra pubblico statale e privato sociale, ha concluso il ministro, la crisi del welfare sarà irreversibile. Poiché lo Stato, in poche parole, non ha le risorse per garantire la salute e l’istruzione dei cittadini, occorre puntare sul privato sociale e, se questo non c’è o non è sufficiente, pazienza: i meno abbienti faranno a meno di salute e istruzione perché non è sostenibile considerare diritti quelle che sono semplici aspettative!

Eppure si potrebbe osservare che le risorse ci sono per l’acquisto dei cacciabombardieri e per gli stipendi e i vitalizi dei parlamentari e dei consiglieri regionali, per non parlare di quale sviluppo economico conoscerebbe l’Italia con un efficace contrasto all’evasione fiscale, con una seria legge contro la corruzione e con una lotta di liberazione dalla presenza mafiosa. Se questo è vero, bisogna concludere che le risorse per il welfare non ci sono solo per precise scelte politiche.

Intervenendo in teleconferenza, lo scorso 13 settembre, al XXVI Convegno della Società Italiana di Scienza Politica, all'Università Roma Tre, il presidente del Consiglio Mario Monti ha affermato che “alcuni dei danni maggiori arrecati al Paese sono derivati dalla speranza di fare bene anche dal punto di vista etico, civile e sociale, ma con decisioni di politica economica che spesso non erano caratterizzate da pragmatismo e valutazione degli effetti”, cosicché “certe disposizioni intese a tutelare le parti deboli nei rapporti economici hanno finito, impattando sul gioco del mercato, per danneggiare le stesse parti deboli che intendevano favorire”, e ha chiarito che si riferiva “anche a certe disposizioni dello Statuto dei lavoratori”.

In sostanza, i governanti italiani sarebbero stati troppo generosi nel riconoscere diritti civili e sociali, al punto da far prevalere le ragioni del cuore sulle dure leggi dell’economia, col risultato che le eccessive garanzie assicurate dallo Statuto dei lavoratori, da loro approvato per amore dei più deboli, hanno impedito, per esempio, la creazione di nuovi posti di lavoro.

Ma perché non prendere in considerazione l’ipotesi che il declino economico italiano dipenda da un ceto imprenditoriale scarsamente capace di innovazione, che non investe in ricerca e che preferisce evitare la concorrenza col ricorso alle tangenti e alle protezioni politiche? L’accusa, lanciata agli uomini (soprattutto democristiani e socialisti) che per tanti anni hanno gestito il potere in Italia, di essere stati troppo sensibili ai richiami dell’etica mi pare poi un’offesa davvero infamante e assolutamente immeritata!

In un'intervista al Wall Street Journal del 27/6/2012, infine, il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha sentenziato: “Stiamo cercando di proteggere le persone, non i loro posti. L'attitudine delle persone deve cambiare. Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio”. Espressione tanto infelice da costringere il ministero a precisare (o a rettificare?): il ministro non nega il diritto al lavoro ma al posto di lavoro.

Precisazione sicuramente utile, nel caso qualcuno pensasse che ogni cittadino nasce con un diritto a un determinato posto di lavoro, che sia quello di magistrato, di professore, di segretario comunale… , e che tale sistemazione sia dovuta per benigna concessione della sorte, senza studio, apprendistato e sacrifici di vario genere.

Assodato, però, che è necessario impegnarsi per poter lavorare, è opportuno ricordare l’articolo 4 della nostra Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Resta da chiedersi se i nostri governanti abbiano fatto in passato e facciano oggi tutto il possibile per ‘rendere effettivo’ il diritto al lavoro, secondo le possibilità e la scelta di ogni cittadino, in modo che nessuno sia costretto a scegliere tra un lavoro poco qualificato rispetto alle proprie competenze e una degradante disoccupazione.

E i nostri ministri sanno, poi, che la retribuzione non va fissata solo tenendo conto del gioco della domanda e dell’offerta, dato che la Costituzione stabilisce che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”(art. 36)? E cosa fanno in proposito?

Mi sembra, dunque, difficile negare che l’attuale governo, che pure si presenta con un’aria moderata e rispettabile, di cui fanno parte diversi ministri cattolici e che è tanto apprezzato in Vaticano, si caratterizzi, almeno nel campo del lavoro e del welfare, per un consapevole ed efficace attacco ai diritti dei lavoratori in nome della oggi dominante ideologia liberista che è in contrasto con i principi della Costituzione repubblicana.

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