L'Europa e il Nobel

di Francesco Baicchi - 15/10/2012
L'assegnazione del Premio Nobel per la Pace alla Unione Europea non poteva che provocare una serie infinita di critiche

Non c'è infatti dubbio che il ruolo delle istituzioni economiche europee nell'attuale crisi finanziaria, con l'imposizione di drastiche politiche di 'austerità' che hanno pesanti ripercussioni sul piano sociale, stia provocando una forte contrazione della popolarità del progetto comunitario in molti dei Paesi membri.

E la partecipazione di contingenti europei su molti scenari di guerre regionali, anche se mascherata da 'iniziativa umanitaria' sembra assai lontana da quel 'ripudio della guerra' contenuto nell'articolo 11 della nostra Costituzione.

D'altronde il comitato norvegese che assegna il premio ci ha già abituato in passati a decisioni non scontate, come la premiazione del presidente Obama appena eletto, praticamente 'sulla fiducia'.

Ma sarebbe ingeneroso confondere l'ideale europeista con le scelte contingenti della BCE e ignorare una realtà oggettiva come il processo di integrazione fra popoli che si sono combattuti per secoli.

Per generazioni, fino alla fine della seconda guerra mondiale, ai giovani europei è stato insegnato a vedere nei loro vicini dei potenziali aggressori da temere e nel loro modo di vivere qualcosa di inaccettabile e sbagliato.

Il superamento di queste frontiere culturali non è meno importante dell'abbattimento delle frontiere fisiche, e si è realizzato anche più velocemente.

Questo non può cancellare i molti errori che sono stati commessi; fra i più gravi ricorderei le resistenze, tuttora presenti, a assegnare al Parlamento della UE reali poteri decisionali, l'allargamento ad alcuni Stati dell'est i cui standard democratici e giuridici non erano (e non sono) forse corrispondenti alla media degli Stati fondatori, e, soprattutto, il tentativo di dare dignità costituzionale a un trattato che sembrava privilegiare le normative di mercato liberiste rispetto ai diritti e i doveri dei cittadini e delle istituzioni pubbliche.

Ma non è possibile dimenticare che gran parte delle società europee ha in comune una concezione dello Stato egualitaria, solidale, democratica e garantista, in un mondo in gran parte governato da regimi autoritari, illiberali, violenti o anche semplicemente caratterizzati da una cultura competitiva e poco solidale.

L'Europa unita non può che essere pacifica, democratica e puntare alla diffusione di una qualità della vita che il prevalere della logica del libero mercato non può realizzare; in quanto tale può costituire un modello per altre aree della Terra e va difesa dai rinascenti egoismi nazionali e dalle tentazioni nazionalistiche.

Ecco: preferisco pensare che gli accademici del Nobel con la loro scelta non abbiano voluto nascondere i limiti dei gruppi dirigenti, ma solo premiare lo sforzo dei popoli europei per salvaguardare queste loro specificità nonostante l'attacco concentrico cui sono sottoposti da entità quasi onnipotenti sul piano finanziario, che rifiutano qualunque tipo di regola e sembrano disposte a ridurre intere popolazioni alla disperazione al solo scopo di aumentare i loro profitti.

Consideriamolo un richiamo e un incoraggiamento, per ognuno di noi, alla resistenza anche nei confronti di politici che sembrano troppo spesso aver accettato passivamente il principio della subordinazione della volontà popolare alle imposizioni dei mercati, quando non agli interessi di pochi.

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