Liberalizzazioni e propaganda

di Marco Manneschi - 13/02/2012
Mentre l’Europa è sotto attacco speculativo in Italia si discute delle liberalizzazioni.

Il dibattito in corso pare seguire uno schema ideologico, così che sono ritenuti conservatori coloro che si oppongono all’abbattimento di regole che impedirebbero la libera concorrenza mentre sono ritenuti innovatori coloro che abbracciano senza se e senza ma la scelta di lasciare al libero mercato la piena e incondizionata facoltà di autoregolarsi.

La teoria che il mercato sia capace di autoregolarsi è stata smentita a partire dal 1929, mentre l’intervento dei governi tramite i soldi dei cittadini per soccorrere le banche in difficoltà non è stato accompagnato da regole e garanzie idonee a scongiurare il ripetersi del disastro speculativo.

Oggi persino Milton Friedman, che viene preso a modello dai liberisti in quanto sosteneva che il principale pericolo per la libertà era la concentrazione del potere (governativo) dovrebbe ricredersi: la ragione per cui i governi contano assai meno dei poteri finanziari risiede nel fatto che questi ultimi hanno spostato con la forza del denaro verso se stessi le capacità decisionali. Determinando una concentrazione dei poteri senza alcun controllo democratico dai quali scaturiscono vere azioni di guerra speculativa.

In questo contesto, aggravato dalla competizione internazionale di imprese che non rispettano gli standards garantiti dalle convenzioni internazionali sui diritti (riguardanti per esempio la salute, la salvaguardia dell’ambiente, la dignità del lavoro, i minori), si muove la richiesta di promuovere le libertà economiche.

Avere la libertà di tenere aperto quanto si vuole, accedere a qualunque attività senza passare da un vaglio operato di volta in volta dalla amministrazione pubblica o dalla corporazione interessata, aprire le attività professionali al libero apporto di capitali, gestire i servizi pubblici mediante criteri di efficienza garantiti solo dai privati vengono dunque ritenuti dai cosiddetti innovatori strumenti essenziali per far ripartire l’economia, la competitività ed il merito.

Questo approccio, che ha per certi versi una intrinseca forza di convinzione, calato indiscriminatamente (si può dire ideologicamente) nella realtà si scontra con alcune evidenti distorsioni, amplificandole: anzitutto non si intravedono regole idonee ad evitare il “trust”, ovvero la concentrazione del potere economico in poche mani che si salderebbero fra loro facendo “cartello” come accade ad esempio con i carburanti, con le banche (mediante gli intrecci di capitale) ed in genere con quasi tutti i prestatori di servizi o di materie di grande dimensione.

Quanto ai servizi pubblici locali che sono in condizione di “privativa”, senza un forte controllo il privato finisce per fare i suoi interessi a scapito dell’interesse pubblico (i casi dell’acqua e dei rifiuti sono esemplari).

Inoltre anche i più “liberisti” devono riconoscere che le risorse della terra sono limitate ed il loro sfruttamento deve essere accompagnato da regole idonee a garantire la sopravvivenza delle generazioni future (in Toscana vi sono ad esempio risorse immateriali come il paesaggio o la cultura che devono essere protette non solo per ragioni estetiche ma proprio per garantire alle generazioni future il loro valore aggiunto).

Infine molte attività in Italia sono da tempo ben oltre la soglia della liberalizzazione. Basti pensare al numero di professionisti (gli avvocati, gli architetti, gli ingegneri, i commercialisti sono spesso in numero superiore rispetto agli altri Paesi europei ove non si parla di liberalizzare queste professioni), ovvero al numero di partite IVA (il commercio ed i pubblici esercizi sono liberi da anni) aumentato esponenzialmente da quando le imprese più disinvolte mascherano mancate assunzioni con incarichi professionali.

Sollevare questi problemi non è affatto da conservatori. Ignorarli vuol dire lavorare per rafforzare chi è già in vantaggio e, spesso, agisce fuori dalle regole, potendo addirittura in molti casi dettare le regole alla politica.

In realtà le istituzioni democratiche ed i cittadini si devono chiedere quali sono i veri ostacoli ad un miglioramento della competitività delle istituzioni come delle imprese, e devono riconoscere quali sono gli strumenti competitivi di cui disponiamo per incentivarli.

I primi passi non possono che coincidere con il rispetto della legalità, la lotta alla corruzione, all’evasione ed alle attività illecite.

Una ridda di ipotesi senza capo né coda, un attacco a questa o quella categoria, a questo o quel residuo di diritti costituzionali magari accompagnato da stime mirabolanti sugli effetti (tutte da dimostrare) rappresenta uno spettacolo consueto che serve per occultare le ragioni vere della crisi e che è buono per le prossime sfilate di Carnevale, non per governare seriamente un Paese in gravi difficoltà.

 

Marco Manneschi

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