Centrista, sì, ma radicale non tanto. Lo stesso titolo dell'Agenda
tradisce l'assenza di un pensiero che si prefigga di curare alle radici i
mali presenti. "Cambiare l'Italia, riformare l'Europa" promette cambi
drastici negli Stati ma in Europa una diplomazia graduale, senza voli
alti, senza i radicalismi prospettati in patria. Se Monti avesse voluto
davvero volare alto, ed esser veramente progressista come
annunciato domenica in conferenza stampa, avrebbe dato all'Agenda un
titolo meno anfibio, più trascinante: non riformare, ma "cambiare
l'Europa per cambiare l'Italia".
La formula prescelta è in
profonda contraddizione con l'analisi cupa di una crisi che ha spinto e
spinge l'Italia e tanti paesi su quello che troppo frequentemente,
troppo ossessivamente, vien chiamato orlo del baratro. Una
crisi che continua a esser vista come somma di politiche nazionali
indisciplinate; mai come crisi - bivio necessario, presa di coscienza
autocritica - del sistema Europa, moneta compresa. È come se
contemplando un mosaico l'occhio fissasse un unico tassello, senza
vedere l'insieme del disegno. I problemi che abbiamo, questo dice
l'Agenda, ciascuno ha da risolverli a casa dentro un contenitore -
l'Unione - che essenzialmente funziona e al massimo va corretto qui e
lì.
L'Agenda propone qualcosa di ardito, è vero: il prossimo
Parlamento europeo dovrà avere un "ruolo costituente". Dunque c'è del
guasto, nel Trattato di Lisbona: siamo sprovvisti di una Costituzione
sovranazionale. Ma resta nella nebbia quel che debba essere la
Costituzione a venire, e drammatica è l'assenza di analisi sul perché il
Trattato vigente non sia all'altezza delle odierne difficoltà e del
divario apertosi fra Nord e Sud Europa. Più precisamente, manca il
riconoscimento che stiamo vivendo una crisi economica, politica, sociale
dell'Unione intera (una crisi sistemica), che non si supera
limitandosi a far bene, ciascuno per proprio conto, "i compiti a casa"
come prescrive l'ortodossia tedesca. Nella storia americana, Alexander
Hamilton ebbe a un certo punto questa presa di coscienza: decise che il
potere sovranazionale si sarebbe fatto carico dei singoli debiti, e fece
nascere dalla Confederazione di Stati semi-sovrani una Federazione,
dotata di risorse tali da garantire, solidalmente, una più vera unità. È
il momento Hamilton - non centrista-moderato ma radicale - che non si scorge né a Bruxelles, né nell'Agenda Monti.
Unici
impegni concreti sono il pareggio di bilancio e la riduzione del debito
pubblico in Italia: dunque la nuda applicazione del Fiscal compact,
del Patto di bilancio del marzo 2012, corredato fortunatamente da un
reddito di sostentamento minimo e forme di patrimoniale. Certo, fare
l'Europa è anche questo. Certo: è giunta l'ora di dire che la crescita
di ieri non tornerà tale e quale ma dovrà mutare, in un'economia-mondo
non più dominata dai vecchi paesi industrializzati. Quel che si
nasconde, tuttavia, è che non esistono solo due linee: da una parte
Monti, dall'altra i populismi antieuropei. Esistono due europeismi:
quello conservatore dell'Agenda, e quello di chi vuol rifondare
l'Unione, e perfino rivoluzionarla. Tra i sostenitori di tale linea ci
sono i federalisti, i Verdi tedeschi che chiedono gli Stati Uniti
d'Europa, molti parlamentari europei. Ma ci sono anche quelle sinistre
(il primo fu Papandreou in Grecia, e il Syriza di Tsipras dice cose
simili) secondo le quali le austerità sono socialmente sostenibili a
condizione che l'Europa cambi volto drasticamente, e divenga il sovrano
garante di un'unità federale, decisa a schivare il destino centrifugo
della Confederazione jugoslava.
I fautori della Federazione
(parola evitata da Monti) non si concentrano solo sulle istituzioni.
Hanno uno sguardo ben diverso sulla crisi, su come cambia la vita dei
cittadini. Hanno una visione più tragica, meno liberista-tecnocratica:
non saranno il Fiscal compact e il rigore a sormontare i mali
dell'ineguaglianza, della povertà, della disoccupazione, ma una crescita
ripensata da capo, e la consapevolezza che le diseguaglianze crescenti
sono la stoffa della crisi. L'Agenda è fedele al più ortodosso
liberismo: tutto viene ancora una volta affidato al mercato, e l'assunto
da cui si parte è che finanze sane vuol dire crescita, occupazione,
Europa forte: non subito forse, ma di sicuro. Immutato, si ripete il
vizio d'origine dell'Euro. Quanto all'Italia, ci si limita a dire che il
rispetto riguadagnato in Europa dipenderà dalla sua credibilità, dalla
sua capacità di convincere gli altri partner. Convincere di che? Non lo
si dice.
L'idea alternativa a quella di Monti è di suddividere i
compiti, visto che gli Stati, impoveriti, non possono stimolare sviluppo
e uguaglianza. Se a questi tocca stringere la cinghia, che sia l'Unione
a assumersi il compito di riavviare la crescita, di predisporre il New Deal concepito da Roosevelt per fronteggiare la crisi degli anni '30, o la Great Society proposta negli anni '60 da Johnson "per eliminare povertà e ingiustizia razziale". L'idea di un New Deal
europeo circola dall'inizio della crisi greca, ma non sembra attrarre
Monti. È un progetto preciso: aumentare le risorse del bilancio
dell'Unione a sostegno di piani europei nella ricerca, nelle
infrastrutture, nell'energia, nella tutela ambientale, nelle spese
militari. Non mancano i calcoli, accurati, dei vasti risparmi ottenibili
se le spese dei singoli Stati verranno accomunate.
Per tale
svolta occorre tuttavia che il bilancio dell'Unione non sia striminzito
come oggi (l'1% del pil. Nel bilancio Usa la quota è del 23). Che
aumenti alla grande, grazie all'istituzione di due tasse, trasferite
direttamente dal contribuente alle casse dell'Unione: la tassa sulle
transazioni finanziarie e quella sull'emissione di diossido di carbonio.
La carbon tax (gettito previsto: 50 miliardi di euro) segnalerebbe
finalmente la volontà di far fronte a un disastro climatico già in
corso, non ipotetico. Cosa ne pensa Monti? Sappiamo che vuol tassare le
transazioni finanziarie, ma gli eventuali introiti già sono accaparrati
dal Tesoro nazionale.
Perché l'Agenda vola così basso? Perché Monti è europeo, ma moderatamente. Perché, scrive Marco D'Eramo nel suo Breve lessico dell'ideologia italiana,
la moderazione del centrista "è quella che modera le altrui aspettative
e l'altrui livello di vita. Modera la nostra fiducia nel futuro" (Moderato sarà lei, Marco Bascetta e Marco D'Eramo, Manifestolibri 2008). E perché la sua dottrina dell'union sacrée è la fuga patriottico-centrista dalle contrapposizioni anche aspre che sono il lievito della democrazia dell'alternanza.
L'unione
sacra che Monti preconizza da anni idoleggia l'unanimità: proprio quel
che sempre in Europa produce accordi minimalisti. Non è un inevitabile espediente (come nella Germania citata dal Premier) ma il finale
e migliore dei mondi possibili. Di qui la sua ostilità alla divisione
destra-sinistra: un'avversione che come oggetto ha la divisione stessa,
la pacifica lotta fra idee alternative. È significativa l'assenza di due
vocaboli, nell'Agenda. Manca la parola democrazia (tranne un riferimento alle primavere arabe e alle riforme europee "democraticamente decise e controllate") e manca la laicità: separazione non meno cruciale in Italia.
Diceva
Raymond Aron di Giscard d'Estaing, l'ispettore delle Finanze divenuto
Presidente nel '74: "Quest'uomo non sa che la storia è tragica".
Qualcosa di simile accade a Monti, e un esempio è il modo in cui pensa
di risolvere la questione Vendola, espellendolo dall'union sacrée
perché le sue idee "nobili in passato, sono perniciose oggi". Quel che
il Premier non sa, è che Vendola impersona la questione sociale che fa
ritorno in Occidente, assieme alla questione dei diritti e di un'altra
Europa. Quel che pare ignorare, è che pernicioso non è Vendola. È il
malessere che egli denuncia. Della sua voce abbiamo massimo bisogno.
Non sono semplicemente idee, quelle bollate come perniciose. Sono il vissuto reale
in Grecia, Italia, Spagna. Roosevelt lo capì: e aumentò ancor più le
spese federali, investì enormemente sulla cultura, la scuola, la lotta
alla povertà, l'assistenza sanitaria. Non c'è leader in Europa che
possegga, oggi, quella volontà di guardare nelle pieghe del proprio
continente e correggersi. Non sapere che la storia è tragica, oggi, è
privare di catarsi e l'Italia, e l'Europa.
Ancora non è chiaro cosa significhi, nelle parole di Monti, il centrismo radicale proposto come Agenda di una futura unità nazionale: un ordine nuovo, addirittura, dove le classiche divisioni fra destra e sinistra sfumerebbero. Non è chiaro cosa significhi in particolare per l'Europa: presentata come suo punto più forte. Punto forte, ma stranamente sfuggente.