Napolitano tace? Circondiamo il Colle

di Riccardo Lenzi - 18/06/2010
Il 9 luglio sarà la "giornata del silenzio per la stampa con lo sciopero generale contro il ddl intercettazioni". La Fnsi invita tutti a partecipare a una manifestazione a Roma. E se il corteo del silenzio abbracciasse il Quirinale? Con la speranza che la difesa della Costituzione e il "colore della democrazia" siano affidati al coraggio di una Donna

Sono mesi che, dall’Italia e dall’estero, ci si appella a Giorgio Napolitano affinché svolga il suo compito di garante della Costituzione. Quali sono le ragioni della rapidità con la quale ha firmato una serie di leggi palesemente incostituzionali? Soprattutto viene da chiedersi come mai, in un passaggio così critico e pericoloso per la nostra democrazia, non abbia ancora rivolto un messaggio alla nazione dalla tv di Stato (o quel che ne resta) per dire agli italiani, per esempio, che finché ci sarà lui al Quirinale nessuno potrà scassinare la Costituzione. Ma il punto è un altro: è ancora possibile in questo Paese chiedere, civilmente, spiegazioni al Quirinale senza essere additati come “irresponsabili”? Le modalità di intervento del capo dello Stato e delle altre istituzioni possono essere oggetto di dibattito sui confini dei poteri e sulla autonomia della Magistratura?

Ricordate la reazione di Giorgio Napolitano quando, davanti alle telecamere, un cittadino gli chiese perché avesse firmato la legge sul decreto fiscale? “Chi mi chiede di non firmare ignora la Costituzione: anche se non firmo il Parlamento rivoterebbe la legge e io sarei costretto a firmare” (si dia un’occhiata a questo video). Barbara Spinelli, editorialista del quotidiano La Stampa, definì “grave” questa frase di Napolitano. Una confessione di impotenza? Di più: la convinzione che questo Parlamento possa non prendere in considerazione gli eventuali rilievi del presidente della Repubblica. Eppure lo scorso marzo il presidente utilizzò questa sua facoltà (prevista dalla Costituzione) rinviando alle Camere il provvedimento sull’arbitrato. Perché rinunciare a priori a uno strumento, per quanto limitato, previsto dalla Costituzione? Se è vero che “la politica è ogni mattina un atto di coraggio”, mi pare sensato chiedere che questo coraggio sia presente soprattutto in colui che siede sul Colle più alto d’Italia.

    L’8 marzo scorso, forse per rassicurare gli italiani, il presidente della Repubblica ha fatto alcune considerazioni singolari, sul coraggio e la politica. Ha detto che «in un contesto degradato, di diffusa illegalità, essere ragazzi e ragazze perbene richiede talvolta sacrifici e coraggio»: in questi casi estremi sì, «è bello che ci sia» questa virtù. Ma in una democrazia rispettabile come la nostra, «per essere buoni cittadini non si deve esercitare nessun atto di coraggio». Profonda è infatti negli italiani «la condivisione di quel patrimonio di valori e principi che si racchiude nella Costituzione». Legge e senso dello Stato sono nostre doti naturali: il che esclude il degrado della legalità. I toni bassi sono lo spartito di sì armoniosa disposizione. Il fatto è che non siamo in una democrazia rispettabile, e forse il Presidente pecca di ottimismo non solo sull’Italia ma in genere sullo stato di salute delle democrazie [...]. Se la democrazia fosse rispettabile non ci sarebbe un capo che s’indigna perché scopre d’esser stato intercettato mentre ordina di censurare programmi televisivi sgraditi, e i cittadini, forti di indelebili tinture, gli direbbero: le tue telefonate non sono private come le nostre, le intercettazioni sono a volte eccessive ma chiamare l’autorità garante dell’informazione o il direttore di un telegiornale Rai, per imprimere loro una linea, è radicalmente diverso. Ognuno ha diritto alla privacy, e anche noi abbiamo criticato gli eccessi delle intercettazioni. Ma l’abuso di potere che esse rivelano è in genere ben più impaurente del cannocchiale che lo smaschera. Schifani dice: «È preoccupante la fuga di notizie» e di fatto lo riconosce: sono le notizie a inquietarlo. Anche dire questa semplice verità è coraggio quotidiano.

    ["Il colore della democrazia", La Stampa, 21 marzo 2010]

Queste le parole e il pensiero di Barbara Spinelli, condivisi da milioni di donne e di uomini – dentro e (soprattutto) fuori l’Italia; dentro e (soprattutto) fuori l’Europa; dentro e (soprattutto) fuori i partiti italiani – che da tempo hanno compreso il pericolo mortale che stiamo correndo. I mondiali in Sudafrica non devono e non possono distrarci, in questo inizio d’estate, dalla necessità di combattere, disarmati, la battaglia finale contro il Caimano, contro la mafia e contro la P2.

Nel paese dei conflitti di interessi, solo i furbi o gli illusi possono affidare le proprie speranze a Luca Cordero di Montezemolo… Forse sono i cittadini che dovrebbero svegliarsi e riprendersi quella sovranità che i Costituenti affidarono al popolo italiano e che la cosiddetta “classe dirigente” ha via via espropriato.

È evidente che all’attuale presidente della Repubblica, come peraltro ai suoi predeccessori, non piace essere “tirato per la giacchetta”. Lungi da me l’intenzione di sdrucire l’abito presidenziale. Però, a prescindere dal coraggio dei singoli, credo che il compito di chi fa informazione sia anche quello di chiedere spiegazioni. Firme a parte, ci sono altri atti nel mandato presidenziale di Giorgio Napolitano di cui, ancora oggi, si fatica a comprendere le motivazioni. Per esempio la richiesta di atti alla procura di Salerno in quella che molti organi di informazione definirono erroneamente “guerra tra procure”. Un atto senza precedenti.

Era l’inizio di dicembre del 2008. Mentre l’Associazione Nazionale Magistrati, anziché censurare il tentativo della procura di Catanzaro di “espropriare” illegittimamente le indagini sul caso de Magistris ai colleghi di Salerno, si dichiarava “sgomenta per quanto sta accadendo”, il Presidente della Repubblica (nelle vesti di Presidente del Csm) inviava la seguente lettera al procuratore generale Lucio Di Pietro:

    La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno ha effettuato ieri perquisizioni e sequestri nei confronti di magistrati e uffici della Procura Generale presso la Corte di appello di Catanzaro e della Procura della Repubblica presso il Tribunale di quella città. Tali atti di indagine, anche per le forme e modalità di esecuzione, hanno avuto vasta eco sugli organi di informazione, suscitando inquietanti interrogativi. Inoltre, in una lettera diretta al Capo dello Stato, il Procuratore generale di Catanzaro ha sollevato vive preoccupazioni per l’intervenuto sequestro degli atti del procedimento cosiddetto ‘Why Not’ pendente dinanzi a quell’ufficio, che ne ha provocato la interruzione. Tenendo conto di tutto ciò, il Presidente Napolitano mi ha dato incarico di richiederLe la urgente trasmissione di ogni notizia e – ove possibile – di ogni atto utile a meglio conoscere una vicenda senza precedenti, che – prescindendo da qualsiasi profilo di merito – presenta aspetti di eccezionalità, con rilevanti, gravi implicazioni di carattere istituzionale, primo tra tutti quello di determinare la paralisi della funzione processuale cui consegue – come ha più volte ricordato la Corte costituzionale (tra le altre, con le sentenze e le ordinanze n. 10 del 1997, 393 del 1996, 46 del 1995) – la compromissione del bene costituzionale dell’efficienza del processo, che è aspetto del principio di indefettibilità della giurisdizione.

Oggi, anche se sui giornali se ne scrive poco, c’è il legittimo sospetto che il vero “esproprio” sia quello operato nel 2007 dal CSM, quando decise di avallare lo scippo delle indagini Why Not e Poseidone al pm che se ne era occupato.

Basterebbe leggere l’atto (lo si può fare scaricando questo pdf) che chiude l’inchiesta della procura di Salerno su quei fatti. Tra i 12 indagati spiccano alcuni nomi: il senatore del Pdl Giancarlo Pittelli, l’ex sottosegretario Udc Giuseppe Galati, i magistrati Mariano Lombardi, Salvatore Murone e Dolcino Favi. L’accusa per costoro è corruzione in atti giudiziari. Vedremo gli sviluppi. Nel frattempo, l’ex capo della Procura di Salerno Luigi Apicella e i due pm che avevano iniziato l’inchiesta, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, non meriterebbero, come tutti gli italiani, delle spiegazioni?

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