Nessuna via d'uscita?

di Francesco Baicchi - www.losnodo.it - 16/01/2012
La scelta dei membri della Costituente di inserire nel testo della Carta l'istituto del referendum non fu certo meno meditata delle tante altre che fanno del testo fondamentale della nostra Repubblica uno dei massimi esempi di civiltà giuridica.

A questo proposito è sufficiente ricordare come delle ipotesi contenute nell'originario 'progetto Mortati' ben poche sono rimaste nel testo definitivo, avendo sulle altre prevalso la preoccupazione di non incidere sul ruolo del Parlamento, sede ordinaria della funzione legislativa.

Proprio l'ampiezza del dibattito in Costituente non può che rafforzare l'importanza degli strumenti che furono comunque previsti per sanare l'eventuale conflitto fra la volontà popolare e una scelta difforme da parte dei suoi rappresentanti eletti, confermando esplicitamente la prevalenza della prima, espressa con estrema chiarezza nell'articolo 1.

Dunque l'ipotesi di un Parlamento che, su singoli temi, non riesce a interpretare la volontà popolare, per quanto eccezionale, non deve essere considerata scandalosa, ma solo risolta correttamente.

Questa premessa mi appare necessaria per affrontare le conseguenze delle decisioni della Corte Costituzionale in merito ai referendum sulla legge elettorale, tralasciando in queste righe di trattare del pericolo che si tenti di aggirare l'esito dei referendum relativi alla privatizzazione dei servizi idrici.

Non conosco ancora le motivazione che hanno indotto la Corte a non consentire l'effettuazione dei referendum sulla legge elettorale attuale, nonostante la montagna di firme che hanno accompagnato le richiesta; è però probabile che ancora una volta si sia ritenuto che l'eventuale approvazione dei quesiti potesse creare un vuoto legislativo inaccettabile. Lasciasse cioè il Paese privo delle norme necessarie alla elezione di un nuovo Parlamento.

La Corte è uno dei massimo strumenti di garanzia della nostra democrazia, e in un passato recente ha dimostrato l'importanza del ruolo che svolge, impedendo colpi di mano disastrosi. Non mi sembrano pertanto accettabili attacchi furibondi che puntino a minarne la credibilità, anche se la sentenza offre oggettivamente un aiuto determinante alle principali forze politiche che, esplicitamente o indirettamente, hanno dato prova di non voler realmente sanare gli elementi di incostituzionalità della cosiddetta 'legge Calderoli'.

Senza la minaccia dei referendum diviene assai remota la possibilità che i principali partiti si accordino per una nuova legge che restituisca almeno agli elettori la possibilità di scegliere un po' più liberamente da chi farsi rappresentare, e cancelli la stortura del 'premio alla maggiore minoranza' (che stravolge la volontà reale dei votanti).

Non possiamo nemmeno peraltro immaginare che su questo tema assuma l'iniziativa un governo che manca della legittimazione popolare e, per quanto costituzionalmente nel pieno dei poteri, ha ottenuto la fiducia delle Camere per svolgere il compito, limitato quanto importante, di traghettarci fuori dalla crisi finanziaria.

Rimane invece la concreta possibilità che l'attuale Parlamento di nominati approvi ulteriori peggioramenti della legge attuale, magari grazie proprio al vantaggio numerico derivante alla ex-maggioranza dalla legge attuale, e alla presenza di un congruo numero di mercenari.

Dobbiamo dunque rassegnarci alla definitiva sconfitta del sistema rappresentativo nel nostro Paese? Probabilmente sì, a meno che il commento 'a caldo' del Presidente Napolitano, che ha invitato i partiti a prendere l'iniziativa, non venga interpretato in senso estensivo e giustifichi anche la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare su cui raccogliere un numero ancora maggiore di firme (non certo le sole 50.000 previste dall'art. 71 Cost.).

Come sappiamo le leggi di iniziativa popolare normalmente non arrivano all'esame delle aule, perché esplicitamente boicottate dalle conferenze dei capi-gruppo, che non le mettono all'ordine del giorno, con una specie di riflesso corporativo.

Ma in questo caso, in assenza di iniziative dei partiti, proprio l'invito del Presidente della Repubblica potrebbe giustificare forme di forte pressione da parte dell'opinione pubblica sul Parlamento, che potrebbero arrivare allo 'sciopero elettorale'; la restituzione di massa, cioè, delle tessere elettorali.

Sarebbe però necessario che, magari con l'aiuto dei numerosi costituzionalisti che nei giorni scorsi hanno ritenuto di poter sollecitare dalla Corte un verdetto diverso, in tempi brevi venisse messo a punto un progetto che avesse l'essenziale caratteristica di rispettare i vincoli indirettamente imposti dalla Costituzione: facoltà di scelta degli elettori, rappresentatività delle Assemblee, libertà di elettorato attivo e passivo, potere del PdR di scelta del Presidente del Consiglio (quindi nessun nome di candidati PdC sulle schede), eccetera.

Naturalmente non possiamo pensare che una iniziativa del genere abbia l'approvazione dei vertici dei partiti; nemmeno di quelli della ex-opposizione, che una proposta analoga avrebbero potuto presentarla in qualunque momento, e non l'hanno fatto.

Ma il successo della raccolta di firme su alcuni referendum ha recentemente dimostrato che l'obiettivo potrebbe essere raggiunto anche da forme spontanee di organizzazione dell'opinione pubblica, che sono certo troverebbero consensi anche nella base delle forze politiche esistenti. Nel massimo rispetto di quanto previsto dalla Costituente.

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