Nuovo bavaglio sulla P4

di Daniela Gaudenzi - Liberacittadinanza - 25/06/2011
Dalle carte dell’inchiesta napoletana emerge da una conversazione del 2 dicembre 2010 di Luigi Bisignani con il ministro Stefania Prestigiacomo che il suo referente privilegiato, Gianni Letta, gli ha comunicato che i magistrati li stanno intercettando, entrambi.

“Io vorrei vedere un po’ di indignazione per i contenuti” ha dovuto puntualizzare il procuratore capo di Napoli Lepore, mentre come era altamente prevedibile si sta scatenando la seconda e più cruenta fase della guerra contro le intercettazioni “inutili, costose e fuori legge”, secondo Angelino Alfano che ha “garantito” la risoluzione del problema entro agosto.

Ovviamente “il problema” non è la ragnatela tentacolare della P4, “la cloaca”, come l’ha puntualmente definita Paolo Flores D’Arcais dalle pagine del Fatto, ma sono le inchieste che oltre le testimonianze, (più 100 testimoni) e gli strumenti investigativi tradizionali, si avvalgono anche delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, le fonti di prova più oggettive ed incontrovertibili, oltre che le più economiche, contrariamente a quanto sostiene la propaganda di regime, a disposizione degli inquirenti.

Tracciare in sintesi le dimensioni e la capillarità della cupola affaristica che fa capo a Luigi Bisignani è impresa praticamente impossibile: stiamo parlando di un personaggio che rappresenta nel modo più pieno la continuità del potere occulto da Andreotti a Berlusconi, protagonista di tutti gli snodi più torbidi ed inquietanti della nostra disgraziata repubblica.

Dagli anni della P2 in cui è tesserato con la qualifica di “reclutatore”, lo ritroviamo imputato nel ’93 per la maxitangente Enimont per cui viene condannato con sentenza definitiva: quello che in ogni paese civile sarebbe stata la pietra tombale per qualsiasi carriera politica o imprenditoriale, in Italia diventa titolo di merito per una scalata fino a i vertici assoluti.

“Bisi” è l’uomo che grazie a Monsignor Donato De Bonis, l’alto prelato segretario di Marcinkus e uomo di assoluta fiducia di Giulio Andreotti allo Ior, fa transitare cifre astronomiche su conti cifrati della banca vaticana e ne fa sparire tranches rilevanti, che in parte transitano anche sul conto personale. Infatti del conto riservatissimo aperto da Bisignani e intestato alla Jonas Foundation, per beneficiare i bimbi poveri dell’America latina, su cui erano stati depositati per essere ripuliti oltre 23 miliardi, nell’arco di meno di due anni, sotto l’ incalzare di Mani Pulite non rimane più niente: nemmeno i documenti sottoscritti all’apertura e nemmeno i quasi due miliardi restanti che vengono precipitosamente ritirati in contanti.

Poi a distanza di diciassette anni, ed è cronaca di ieri, lo troviamo onnipresente negli incontri al vertice della P3 in compagnia di Dell’Utri e Verdini per cercare di orientare la Consulta che si deve pronunciare sul Lodo Alfano e per mettere magistrati compiacenti a capo degli uffici giudiziari che si devono occupare di Berlusconi ed in particolare del risarcimento miliardario a De Benedetti.

Ma quello a cui stiamo assistendo ora a proposito della P4 è qualcosa che va oltre qualsiasi perversa fantasia.

Dalle carte dell’inchiesta napoletana emerge da una conversazione del 2 dicembre 2010 di Luigi Bisignani con il ministro Stefania Prestigiacomo che il suo referente privilegiato, Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi, gli ha comunicato che i magistrati li stanno intercettando, entrambi.

Il grande faccendiere dice testualmente: “Dobbiamo stare attenti, Woodcock ci controlla i telefoni”. La sua interlocutrice preoccupatissima gli domanda perché mai, ma non riceve una risposta plausibile. “E che ne so io?”, è l’esclamazione di Bisignani.

Per quanto scafati e molto guardinghi, i controllati non immaginano che i PM abbiano inserito un trojan in una mail di Bisignani, un virus che registra tutte le serrate conversazioni con ministri, politici, uomini dei servizi, vertici della GDF, massimi funzionari, per controllare, condizionare, azionare enti pubblici, Rai, apparati pubblici, con un particolare interesse per il fronte della giustizia e la riforma finalizzata a mettere i magistrati a disposizione dell’esecutivo.

Intanto l’indagine napoletana si sta allargando a macchia d’olio e dopo il filone romano si è aperto anche quello milanese e le carte che documentano una rete tentacolare di pressione per favorire nomine ed affari di ogni genere ai più alti livelli sono arrivate sul tavolo di Francesco Greco, per il quale l’attivissimo Bisignani è una antica conoscenza dai tempi di Tangentopoli e della maxitangente Enimont. Forse se si può individuare una differenza rispetto alle attività della P2; oltre al volume di affari che sembra intensificato c’è che i nuovi sodali non disdegnano nemmeno affarucci molto prosaici e redditizi di piccolo cabotaggio. L’alacre Alfonso Papa, già magistrato, e già in un ruolo apicale al ministero della Giustizia con Castelli prima e con Mastella poi ai tempi della crociata contro De Magistris, non si occupa solo di notizie riservate o coperte da segreto da spifferare ai potenti amici indagati e degli armeggi sulla riforma della giustizia. Infatti non disdegna nemmeno ingaggiare una vera e propria trattativa per acquistare a prezzi molto vantaggiosi orologi di lusso consoni al suo non comune tenore di vita con Gennaro, un noto ricettatore napoletano; tanto che un testimone l’ha annotato nella sua agenda con il titolo di “mariuolo”.

Al momento Luigi Bisignani, agli arresti domiciliari, è indagato “solo” per favoreggiamento, rivelazione di segreto nelle indagini, oltre alla violazione della legge Anselmi sulle logge segrete, ma come è facile capire le dimensione dell’indagine che investe tre procure è imponente e gli scenari criminali molto vasti.

Invece che domandarsi come sia potuto accadere che un condannato con sentenza definitiva dai tempi di Tangentopoli abbia potuto fare una carriera criminale tanto strepitosa e diventare “l’uomo più potente in circolazione, più potente di me”, come ha detto Silvio Berlusconi ad un fedelissimo, il mondo politico è concentrato, con diversi accenti ma con un idem sentire a mettersi in salvo dalle intercettazioni. Sgarbi, Alfano, i giornali di famiglia come è consuetudine, ed ignorando i segnali inequivocabili che sono arrivati dal paese, chiedono il bavaglio dell’informazione e pretendono di annientare le inchieste, prima ancora dei processi. Il segretario del maggior partito di opposizione balbetta frasi incomplete e un po’ sconnesse a proposito di un presunto “discrimine tra intercettazioni che vanno consegnate all’autorità giudiziaria e intercettazioni che vanno distrutte”. D’Alema che il Giornale ha definito laconicamente “Schifato dai PM spioni” si è limitato a dire con la bocca molto stretta che intervenire adesso sulle intercettazioni è tardivo e non è “opportuno”.

Entrambi gli schieramenti, chi palesemente, come ha fatto Berlusconi, chi tra le righe come usa a “sinistra”, guardano fiduciosi e con rinnovata armonia verso il sempre rimpianto testo del ddl Mastella: quando è ora di difendersi e di perpetuarsi sembra che il vento delle amministrative e dei referendum appartenga ad un’era già remota.

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