Per grazia ricevuta

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 17/01/2010
La corsa alla riabilitazione di Craxi non si ferma: ma perché?

Il 19 gennaio saranno 10 anni dalla morte di Bettino Craxi e già si approntano voli charter per Hammamet e si allestiscono celebrazioni, monumenti e intitolazioni di strade. Del resto molto prima dell’agiografico editoriale di Minzolini di due giorni fa, c’erano stati tentativi sporadici di riabilitazione e da parte di personaggi dai quali mai ce lo saremmo aspettato.

E a questo punto, come diceva quel tale, la domanda sorge spontanea: “ ma perché??”

Perché cercare di riabilitare Craxi? Uno che non solo è stato condannato perché – come ha ricordato Di Pietro – “aveva tre conti correnti all’estero, era un corrotto condannato con sentenza passata in giudicato”, ma che ha fatto molto peggio: ha fatto delle leggi per consentire a Berlusconi di diventare proprietario legittimo di ben tre emittenti televisive a livello nazionale. Si è “inventato” il cavaliere, insomma (cosa che non potrà mai essergli perdonata), perché aveva capito che avere l’informazione in pugno, manipolare le coscienze, lo avrebbe reso potente, più potente di tutti. Il suo piano non è servito a lui, certo, ma a colui che glielo avrebbe consentito...

Si capisce dunque la gratitudine del cavaliere, cui ha insegnato anche che fuggire davanti alla legge non serve: basta cambiarla, e si capisce che voglia riabilitarlo, ma gli altri?

Ma torniamo a Craxi e – per quanto possa sembrare impossibile – quel regalo al cavaliere non è la cosa peggiore che gli possiamo attribuire: fino ad allora la classe politica, per quanto in parte corrotta, manteneva un certo decoro, un senso della dignità del proprio ruolo, aveva ancora dell’amor proprio, ma lui ha introdotto un modo diverso di gestire il potere, circondandosi di clientes avidi e sfrontati, di ragazzotte spregiudicate, inaugurando circhi pieni di “nani e ballerine” - secondo una fortunata e azzeccata definizione di Rino Formica - di cui ormai la politica è piena. Con lui la corruzione, la collusione, l’inciucio, la tangente, il finanziamento occulto e illecito, la bustarella facile: tutto questo è diventato la normalità.

Del resto lo ha detto lui stesso: in Parlamento, infatti, chiamato a dar conto del suo operato, non proclamò la propria innocenza, non disse che quelle cose non le aveva mai fatte, che non era un corruttore, un esattore di tangenti, disse solo con un cinismo e una arroganza agghiaccianti che quelle cose ormai le facevano tutti: e dunque perché prendersela solo con lui? Un discorso di una amoralità sconcertante.

Ho ascoltato allibita dunque le recenti parole di elogio fatte da alcuni personaggi politici sul suo operato. Si può capire che certe distorsioni della verità, certe pietose bugie le dica sua figlia, ma che le dicano altri, persone con un certo pesante passato è davvero grottesco, prima ancora che vergognoso. Ma quale credibilità pensano di avere, perché una loro affermazione lo possa riabilitare?

Solo chi ha militato nel PSI prima, durante e dopo Craxi, può raccontare la devastazione morale e politica che è stato capace di compiere nel e del partito, fino ad appiccicare per sempre alla parola socialista, l’aggettivo di ladro, corrotto e mariuolo, come lui stesso definì Mario Chiesa, il corruttore che – beccato sul fatto, coi soldi di una abbondante tangente ancora in tasca – inaugurò la stagione di Mani Pulite.

Fino ad allora il PSI era stato un piccolo partito, rissoso ma pulito, con grandi idealità libertarie, orgogliosamente laico, in prima fila nelle battaglie civili per il divorzio e per l’aborto. Le sezioni, in cui si andava a discutere e più spesso anche a litigare parlando di politica, si svuotarono: niente più veniva discusso, perché tutte le decisioni venivano prese a Roma, da lui. I Congressi del partito, che fino ad allora si erano chiusi fra bisticci, sediate e perfino scissioni, ora finivano con acclamazioni all’unanimità di mozioni mai viste né discusse prima, perché i militanti veri erano stati progressivamente sostituiti dai suoi fidi. Persone di alto profilo morale e politico, come Riccardo Lombardi o Francesco De Martino, furono emarginate, ridotte a vita privata e non più candidate alle elezioni.

Uno svuotamento sistematico della partecipazione di base, un esautoramento dei militanti, uno stravolgimento delle idee base, una cancellazione sistematica del passato, sostituendo perfino il simbolo, sono stati esempi che hanno prodotto danni enormi nella pratica politica di tutti i partiti. La casta che si blinda e dietro la sigla di un partito decide tutto, anche chi sarà eletto, è solo l’ultimo anello di una catena cominciata da lì, inaugurata da Craxi. Oggi, personaggi di mezza tacca, facce marce del passato vanno parlando della sua statura di statista. Ma di che vanno cianciando?

Uno statista deve avere un progetto politico di ampio respiro, una idea evoluta di società, deve essere persona di grande equilibrio e assolutamente super partes per fare il bene di tutti, ma a lui interessava solo il potere, solo la vittoria della sua parte, senza altri obiettivi oltre al denaro. Dov’è la sua grandezza? Ha imposto uno stile di vita politica corrotta e degradata che è attecchito ovunque. Perché pochi resistono alla tentazione di usare il potere solo per sé.

Berlusconi è il suo vero erede e non è un caso che tanti craxiani siano finiti con lui. Berlusconi ha continuato il suo progetto, ne era parte essenziale lui stesso del resto. Senza Craxi nessun Berlusconi sarebbe mai stato tollerato, non dico eletto. Gli deve molto però non solo lui, ma la casta tutta intera. Ecco perché oggi lo celebra. Ecco “perché”.

 

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