QUALCUNO STA GIOCANDO CON LA DEMOCRAZIA

di Massimiliano Perna – ilmegafono.org - 20/12/2009
L’agguato al premier, ad opera di uno psicolabile, è stato trasformato in un pretesto per restringere libertà fondamentali e per delegittimare qualsiasi forma di dissenso, anche attraverso l’irresponsabile individuazione di presunti mandanti

Premettiamo la condanna di fronte a qualsiasi atto di violenza. Evitiamo anche di criminalizzare la fantasia satirica scatenatasi sul web il giorno dell’aggressione al presidente del Consiglio, dato che si tratta di un atteggiamento forse cinico, ma del tutto normale ed innocuo nei confronti di un uomo potente e un po’ spaccone, nel momento in cui viene a trovarsi in una situazione di debolezza.

È una reazione naturale, quasi come quella che si ha di fronte all’attore comico quando cade o sbatte il grugno da qualche parte. Si può discutere se sia di buono o di cattivo gusto, ma non è possibile accettare che ciò diventi il segnale di un clima d’odio unilaterale da fermare con strette legislative sulla libertà di stampa ed espressione.

Censurare il web e criminalizzarlo, usando come pretesto quanto accaduto al premier, è un’idea malsana che ha il nauseante olezzo di un autoritarismo populista che, nell’ultimo anno e mezzo, ha cercato e trovato spazi nuovi e più marcati nella vita degli italiani. Il governo nazionale, con in testa il ministro Maroni, ha rotto gli indugi e ha deciso di proporre al Parlamento un disegno di legge (in una prima fase si voleva fare per decreto) che contenga norme più severe nei confronti del web e, in particolare, dei social forum.

Non bastava l’emendamento D’Alia, adesso dalle alte sfere del comando si vuole sferrare l’attacco decisivo. Non lo si è fatto quando si è scoperta l’esistenza del sito del Ku Klux Klan italiano. Non lo si fa dinnanzi a gruppi a sostegno della mafia e dei suoi boss e ricchi di offese indicibili alla memoria di Falcone e Borsellino, o ancora gruppi che inneggiano all’Olocausto, all’odio razziale, alla violenza xenofoba, ai pestaggi nei confronti dei transessuali.

In questi casi, nessun intervento, nessuna proposta. Nemmeno quando su facebook ha fatto la sua apparizione uno squallido giochino razzista contro gli immigrati “clandestini”, ideato e pubblicato dal “celebre” figlio di Umberto Bossi. Eppure un giochino razzista e le comunità virtuali di esaltati che incitano alla violenza contro ebrei, immigrati e omosessuali dovrebbero creare maggior sdegno, maggiore indignazione in un Paese democratico e civile rispetto alle trovate goliardiche di chi, al di là del buono o cattivo gusto, in forte dissenso con la politica e con i toni del premier, ha voluto sbizzarrirsi, per una sera, con battute di scherno e fotomontaggi satirici.

È bastato toccare Berlusconi per trovare un facile pretesto per fermare la rete, vale a dire l’unico spazio di informazione e comunicazione ancora dotato di libertà assoluta, indipendentemente dall’uso corretto o scorretto che se ne fa. L’aggressione di Milano, frutto del gesto isolato di uno psicolabile, è diventata il pretesto per restringere questo spazio, per progettare misure di controllo d’ispirazione cinese e che, tra l’altro, sono di difficile applicazione su uno strumento forte e vasto come la rete internet. Tutto si giustifica con la necessità di porre un freno a questo clima d’odio che, secondo gran parte della maggioranza governativa, sarebbe stato creato ad arte e fomentato da una parte dell’opposizione, dalla stampa e dalla magistratura.

Tutti schierati contro Berlusconi, tutti pronti a colpirlo con ogni mezzo. Le polemiche di questi mesi, particolarmente aspre, secondo il centrodestra avrebbero armato la mente instabile e la mano di Massimo Tartaglia, il lanciatore di statuette, trattenuto in carcere nonostante esista il rischio (a detta dei legali e del padre) di un suicidio. C’è stato chi ha provato a disegnare scenari allarmanti, fantasticando su presunti complici di Tartaglia o addirittura paragonando irresponsabilmente il gesto isolato di un folle ad un’azione terroristica, rimembrando tempi bui della storia italiana, lontani e attraversati da tensioni ideologiche peculiari, profonde e irripetibili.

Si è parlato di odio costruito da chi dissente da Berlusconi, si è detto che c’è chi considera il premier non un avversario ma un nemico, c’è stato anche chi, come il fedelissimo Fabrizio Cicchitto e qualche giornale amico, ha gettato benzina sul fuoco, sputando veleno e odio, indicando addirittura i mandanti morali dell’aggressione al premier, facendo nomi e cognomi; i soliti, coloro che non si piegano alle voglie di consenso drogato di chi comanda.

Di Pietro, Santoro, Travaglio, Scalfari e persino i magistrati antimafia Ingroia e Spataro sono stati indicati come “colpevoli” al popolo innamorato del Cavaliere, che al momento dell’accaduto voleva linciare Tartaglia e che sul web ne chiedeva la decapitazione. Pericoloso messaggio sottointeso: “Puniteli!”.

Una vergogna. La dimostrazione che il clima pesante che regna in Italia non è il frutto di chi fa il proprio mestiere, scrivendo e raccontando ciò che la realtà dei fatti offre, o indagando su eventuali reati, oppure denunciando politicamente lo sfascio istituzionale, politico e sociale a cui il berlusconismo, grazie al controllo delle tv ed alla debolezza di una parte dell’opposizione, sta riducendo l’Italia. C’è chi chiede che i toni si abbassino, ma lo fa scaricando la responsabilità sugli altri.

Questi “angeli bianchi” della politica, che vogliono apparire puri e buoni, dimenticano l’arroganza, la volgarità, il fastidio acre, la violenza dei toni usati da anni nei confronti di chi legittimamente dissente da un uomo che ha asservito la politica italiana ai propri affari privati.

Abbiamo sentito definire “coglioni” gli elettori della sinistra, abbiamo sentito Brunetta augurarsi la morte violenta degli oppositori, abbiamo ascoltato la Lega minacciare di invadere con i “fucili” le piazze, abbiamo ascoltato con sdegno Berlusconi parlare di un’opposizione che è solo “miseria, odio e morte”. Colui che dovrebbe essere il presidente del Consiglio di tutti gli italiani non fa altro che rivolgersi solo a se stesso e a chi lo ama senza confini, offendendo e cercando di delegittimare e distruggere tutti coloro che provano a metterne in discussione atteggiamenti e azioni politiche, anche all’interno del suo stesso schieramento.

Per far ciò si serve di giornali e tv servili, che ad ogni ora e ogni giorno violentano i principi dell’informazione libera, rendendosi cassa di risonanza indisturbata delle volontà e delle idee del governo. Un’occupazione coatta, ignobile, incivile che viene fatta passare in secondo piano, nascosta dietro le invettive contro quei pochi mass media che non si piegano al consenso bulgaro tanto agognato.

E se la magistratura indaga su un uomo potente, sfuggito a molte condanne grazie a leggi ad personam, con un passato che appare sempre più ambiguo, finito dentro a vicende vitali della storia democratica italiana, oppure indaga su qualche importante amico del Capo, scatta allora il linciaggio mediatico di quei magistrati che si permettono di rispettare il principio costituzionale secondo cui la legge è uguale per tutti.

Berlusconi ha stravolto la storia politica italiana, l’ha personalizzata, ha trasformato il normale confronto tra le parti in un duello tra le persone. Egli ha rispolverato il culto di Cesare, la supremazia dell’Imperatore, attorniandosi di tutta una serie di legionari pronti a lavorare per lui e, nel contempo, ad adorarlo. Un esercito che non ammette critiche e proteste, che opera nell’interesse del proprio Dux, un interesse che viene prima di ogni cosa. Non importa se c’è la crisi o se la gente che sta perdendo tutto scende per strada, sale sui tetti, occupa le fabbriche, chiede soluzioni per la collettività. Niente, il Re è sordo, troppo impegnato a lucidare i propri denari e a criminalizzare chiunque cerchi onestamente di liberare la verità rimasta impigliata dietro le pareti impolverate del Palazzo.

L’Italia che dissente cerca soltanto di difendere quelle garanzie e quegli alti principi che, poco più di sessant’anni fa, uomini illuminati e guidati da spirito di sacrificio e senso di giustizia sancirono in una delle carte costituzionali più belle e moderne del mondo. Contro il dissenso, negli ultimi anni, si è scelto di usare il disprezzo e l’arroganza dei numeri. Spesso si è usata anche la forza.

In questi anni, di attacchi vili, organizzati, sistematici e molto più violenti di quello subito dal premier ce ne sono stati tanti ed in ogni parte d’Italia. Squadracce di facinorosi sostenitori del centro-destra hanno invaso il Paese colpendo tutti coloro che sono lontani dall’idea di politica sposata da Berlusconi. Hanno seminato violenza sentendosi protetti da un clima di impunità assicurato dall’arroganza dei modi e dei numeri mostrata con orgoglio dai propri riferimenti politici. Ma di questo non si parla. Si accusano sempre gli oppositori, si criminalizzano i centri sociali, tacendo sulla violenza dei metodi che, troppo spesso, anche le forze dell’ordine adottano nei confronti di gente (vedi il caso dell’Experia di Catania) che lavora per lo Stato, coprendo le falle di un sistema di welfare carente e, a volte, persino inesistente.

Si chiede la pacificazione, ma poi si impone come primario il punto di vista della maggioranza. Una maggioranza che non dialogherà mai, in quanto ha da portare a compimento il proprio disegno eversivo, finalizzato a smaterializzare la Costituzione per sostituirla con il “manuale Berlusconi”.

Se l’opposizione (anche interna) acconsentirà acriticamente allora si potranno stemperare i toni, altrimenti si andrà avanti così. Una condizione inaccettabile, in un Paese attraversato da profonde lacerazioni del tessuto sociale.

Cosa accadrà se il Cavaliere proseguirà per la sua strada con gli stessi toni, con l’identica tracotanza e spregiudicatezza? Di Pietro lo dice da tempo: se non ci si accorge della disperazione della gente si rischia di essere svegliati con modi violenti. Non quelli estemporanei di uno psicolabile, ma quelli di una massa organizzata.

Il problema è che il governo e, purtroppo, buona parte dell’opposizione non hanno né l’intenzione né il buon senso di ascoltarlo.

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