Quel file nascosto di Spatuzza che potrebbe riscrivere la storia

di Nicola Biondo - 28/11/2010

Diciamolo subito. Non è certo che Silvio Berlusconi sia indagato a Palermo per riciclaggio e concorso esterno. E’ sicuro invece che il nome del Premier riecheggia sempre più insistentemente nelle grandi inchieste sulle stragi mafiose del ‘93 e sul possibile patto tra stato e Cosa nostra. Da Firenze fino a Palermo sono almeno due le procure nei cui verbali compare Silvio Berlusconi.

Due procure, due inchieste e due reati differenti che però ricamano un unico ordito, quello della trattativa stato-mafia. Trattativa che, nell’ipotesi investigativa, parte a ridosso della strage di Capaci nel maggio ’92 e continua fino ad oltre il 2000. Un lungo work in progress – la definiscono gli investigatori. Un puzzle fatto di stragi e papelli. E di soldi, una valanga di soldi.

Quei rapporti con gli stragisti
La Procura fiorentina indaga sui mandanti esterni delle stragi del ’93 a Firenze e Milano e sul fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma. Secondo Spatuzza, il cui accesso al programma di protezione è stato negato, la macchina stragista di Cosa nostra si è fermata quando i Graviano, sui diretti superiori, strinsero un patto con Berlusconi e Dell’Utri. “Sono persone serie, ci siamo messi il paese nelle mani” – dissero i due fratelli Graviano a Spatuzza nel gennaio 1994 in un lussuoso bar romano. Le indagini stanno accertando se davvero i due boss siano passati per la Capitale in quel periodo. Berlusconi e Dell’Utri, proprio a Firenze, sono stati indagati e poi archiviati come mandanti esterni delle stragi del ’93 ma con molte ombre: ”Hanno intrattenuto – scrivono i giudici - rapporti non meramente episodici con soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista”. Spatuzza spiega oggi che i soggetti criminali erano i Graviano. E che quell’accordo avrebbe chiuso la stagione delle stragi, come poi è effettivamente avvenuto. Ma come sarebbe nato questo rapporto?

Soldi e sangue
I Graviano hanno un jolly – racconta Spatuzza - qualcosa che non ha nulla a che fare con la Sicilia, con le stragi. E’ la loro rete di rapporti d’affari a Milano. Filippo e Giuseppe Graviano dal 1989 si trasferiscono a Milano, una cosa “anomalissima” perché i due fratelli, Giuseppe e Filippo, "non si fidano di nessuno e hanno costruito in questi vent'anni un patrimonio immenso".
Il core business dei due fratelli non è più il crimine. “Hanno già le tre Standa di Palermo affidate a un prestanome – continua Spatuzza - Filippo Graviano è attentissimo nel seguire gli scambi, legge ogni giorno il Sole 24ore. Tiene in considerazione la questione Fininvest, gli investimenti pubblicitari. Minimo investimento, massima raccolta [di spot], introiti da paura…” Interesse o semplice ammirazione? Forse entrambi. "Filippo ha nutrito sempre simpatia nei riguardi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, (...)è tutto patito dell'abilità manageriale di Berlusconi. Potrei riempire pagine e pagine di verbale [per raccontare] della simpatia e dell'amore che lo lega a Berlusconi e Dell'Utri". Continua Spatuzza: “La Fininvest era, posso dire, un terreno di sua pertinenza, come un investimento, come se fossero soldi messi di tasca sua". Il racconto trova conferma in altre testimonianze.
A Palermo l’inchiesta sulla trattativa porta il numero 11609/08 e vede indagate una decina di persone tra boss – Riina e Provenzano - alti ufficiali dei Carabinieri – il generale Mori e i colonnelli Giuseppe De Donno e Antonello Angeli – e almeno due esponenti dei servizi di sicurezza oltre a Massimo Ciancimino.
Gli addetti ai lavori la definiscono un contenitore perché racchiude storie diverse, in un arco temporale molto vasto. Una storia fatta di stragi, accordi e soldi. Ed è proprio la pista dei soldi quella più calda, che potrebbe far ipotizzare l’iscrizione nel registro degli indagati a Palermo di Silvio Berlusconi. Quei “rapporti non meramente episodici” tra l’attuale Presidente del consiglio e alcuni mafiosi potrebbero avere radici molto lontane. Vito Ciancimino, nei suoi scritti, li situa all’inizio degli ’70. I soldi di Cosa nostra – sostiene don Vito – sono finiti a Milano 2, la prima grande impresa di Berlusconi e sono ritornati indietro moltiplicati nelle tasche dei boss. “Io e Berlusconi siamo figli della stessa Lupa” - ha lasciato scritto l’ex-sindaco mafioso di Palermo. Gli investigatori stanno rivoltando ogni piega degli affari di don Vito: assegni, libretti, investimenti fatti nel corso di quarant’anni di carriera all’ombra dei boss. Ma ci sono altre conferme a questi antichi legami, ancora tutti da provare. Come quella del pentito Franco Di Carlo la cui testimonianza circa l’incontro tra Berlusconi e il capo della Cupola Stefano Bontade, avvenuto tra il 74 e il ‘75 è stata ritenuta attendibile dalla sentenza d’appello che ha condannato Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno. Di Carlo ha recentemente raccontato ai giudici siciliani che alla fine degli anni ’80 ai boss i conti non tornavano. I soldi di Bontade, ucciso dai Corleonesi, e quelli dei nuovi padrini erano spariti. I Graviano erano gli unici a non preoccuparsi, dice Di Carlo. Ma perché? Forse la risposta è in uno dei verbali di Spatuzza, quello che racconta del patto tra Berlusconi, Dell’Utri e i Graviano.
E’ questo il file più nascosto, quello top secret. Se verificato potrebbe riscrivere il racconto luccicante dell'avventura imprenditoriale del Presidente del Consiglio. E spiegherebbe chi sia stato “l’utilizzatore finale” della trattativa partita da don Vito con il Papello di Riina e se dietro la fine delle stragi ci sia stato un accordo.

Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/31777/78/


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