Diciamolo subito. Non è certo che Silvio Berlusconi sia indagato a Palermo per riciclaggio e concorso esterno. E’ sicuro invece che il nome del Premier riecheggia sempre più insistentemente nelle grandi inchieste sulle stragi mafiose del ‘93 e sul possibile patto tra stato e Cosa nostra. Da Firenze fino a Palermo sono almeno due le procure nei cui verbali compare Silvio Berlusconi.
Due procure, due inchieste e due reati differenti che però ricamano un unico ordito, quello della trattativa stato-mafia. Trattativa che, nell’ipotesi investigativa, parte a ridosso della strage di Capaci nel maggio ’92 e continua fino ad oltre il 2000. Un lungo work in progress – la definiscono gli investigatori. Un puzzle fatto di stragi e papelli. E di soldi, una valanga di soldi.
Quei rapporti con gli stragisti
La Procura fiorentina indaga
sui mandanti esterni delle stragi del ’93 a Firenze e Milano e sul
fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma. Secondo Spatuzza, il
cui accesso al programma di protezione è stato negato, la macchina
stragista di Cosa nostra si è fermata quando i Graviano, sui diretti
superiori, strinsero un patto con Berlusconi e Dell’Utri. “Sono
persone serie, ci siamo messi il paese nelle mani” – dissero i
due fratelli Graviano a Spatuzza nel gennaio 1994 in un lussuoso bar
romano. Le indagini stanno accertando se davvero i due boss siano
passati per la Capitale in quel periodo. Berlusconi e Dell’Utri,
proprio a Firenze, sono stati indagati e poi archiviati come mandanti
esterni delle stragi del ’93 ma con molte ombre: ”Hanno
intrattenuto – scrivono i giudici - rapporti non meramente
episodici con soggetti criminali cui è riferibile il programma
stragista”. Spatuzza spiega oggi che i soggetti criminali erano i
Graviano. E che quell’accordo avrebbe chiuso la stagione delle
stragi, come poi è effettivamente avvenuto. Ma come sarebbe nato
questo rapporto?
Soldi e sangue
I Graviano hanno un jolly – racconta Spatuzza
- qualcosa che non ha nulla a che fare con la Sicilia, con le stragi.
E’ la loro rete di rapporti d’affari a Milano. Filippo e Giuseppe
Graviano dal 1989 si trasferiscono a Milano, una cosa “anomalissima”
perché i due fratelli, Giuseppe e Filippo, "non si fidano di
nessuno e hanno costruito in questi vent'anni un patrimonio
immenso".
Il core business dei due fratelli non è più il
crimine. “Hanno già le tre Standa di Palermo affidate a un
prestanome – continua Spatuzza - Filippo Graviano è attentissimo
nel seguire gli scambi, legge ogni giorno il Sole 24ore. Tiene in
considerazione la questione Fininvest, gli investimenti pubblicitari.
Minimo investimento, massima raccolta [di spot], introiti da paura…”
Interesse o semplice ammirazione? Forse entrambi. "Filippo ha
nutrito sempre simpatia nei riguardi di Silvio Berlusconi e Marcello
Dell'Utri, (...)è tutto patito dell'abilità manageriale di
Berlusconi. Potrei riempire pagine e pagine di verbale [per
raccontare] della simpatia e dell'amore che lo lega a Berlusconi e
Dell'Utri". Continua Spatuzza: “La Fininvest era, posso dire,
un terreno di sua pertinenza, come un investimento, come se fossero
soldi messi di tasca sua". Il racconto trova conferma in altre
testimonianze.
A Palermo l’inchiesta sulla trattativa porta il
numero 11609/08 e vede indagate una decina di persone tra boss –
Riina e Provenzano - alti ufficiali dei Carabinieri – il generale
Mori e i colonnelli Giuseppe De Donno e Antonello Angeli – e almeno
due esponenti dei servizi di sicurezza oltre a Massimo
Ciancimino.
Gli addetti ai lavori la definiscono un contenitore
perché racchiude storie diverse, in un arco temporale molto vasto.
Una storia fatta di stragi, accordi e soldi. Ed è proprio la pista
dei soldi quella più calda, che potrebbe far ipotizzare l’iscrizione
nel registro degli indagati a Palermo di Silvio Berlusconi. Quei
“rapporti non meramente episodici” tra l’attuale Presidente del
consiglio e alcuni mafiosi potrebbero avere radici molto lontane.
Vito Ciancimino, nei suoi scritti, li situa all’inizio degli ’70.
I soldi di Cosa nostra – sostiene don Vito – sono finiti a Milano
2, la prima grande impresa di Berlusconi e sono ritornati indietro
moltiplicati nelle tasche dei boss. “Io e Berlusconi siamo figli
della stessa Lupa” - ha lasciato scritto l’ex-sindaco mafioso di
Palermo. Gli investigatori stanno rivoltando ogni piega degli affari
di don Vito: assegni, libretti, investimenti fatti nel corso di
quarant’anni di carriera all’ombra dei boss. Ma ci sono altre
conferme a questi antichi legami, ancora tutti da provare. Come
quella del pentito Franco Di Carlo la cui testimonianza circa
l’incontro tra Berlusconi e il capo della Cupola Stefano Bontade,
avvenuto tra il 74 e il ‘75 è stata ritenuta attendibile dalla
sentenza d’appello che ha condannato Dell’Utri a 7 anni per
concorso esterno. Di Carlo ha recentemente raccontato ai giudici
siciliani che alla fine degli anni ’80 ai boss i conti non
tornavano. I soldi di Bontade, ucciso dai Corleonesi, e quelli dei
nuovi padrini erano spariti. I Graviano erano gli unici a non
preoccuparsi, dice Di Carlo. Ma perché? Forse la risposta è in uno
dei verbali di Spatuzza, quello che racconta del patto tra
Berlusconi, Dell’Utri e i Graviano.
E’ questo il file più
nascosto, quello top secret. Se verificato potrebbe riscrivere il
racconto luccicante dell'avventura imprenditoriale del Presidente del
Consiglio. E spiegherebbe chi sia stato “l’utilizzatore finale”
della trattativa partita da don Vito con il Papello di Riina e se
dietro la fine delle stragi ci sia stato un accordo.
Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/31777/78/