Responsabili o vigliacchi?

di Massimiliano Perna - ilmegafono.org - 16/07/2011
Se esiste ancora un senso di responsabilità allora è meglio che lo si usi assumendosi il compito di capire quello che realmente serve al futuro dell’Italia

Prova di coesione. Senso di responsabilità. Il Presidente Napolitano ha dovuto prendere in mano il Paese, come un saggio ed esperto marinaio che con coraggio prova a tenere il timone di una nave che procede dritta in direzione di un minaccioso e funesto iceberg, abbandonata dal suo modesto comandante, nascosto da qualche parte per evitare di pagare il conto per i propri errori. La manovra è passata, dopo giorni di caos, agitazione, preoccupazioni, strategie. Prima di questo passaggio parlamentare, però, quel richiamo alla responsabilità ha scoperto sempre di più le vesti dei due schieramenti politici, la cui fisionomia stagnante è ormai evidente, percepibile, annusabile. Chissà perché quando si arriva al punto del crac economico e sociale di questo Paese, si comincia a sentire forte il puzzo di compromessi perversi, di combine, di calcoli “illuminati”. Tutti pronti, con facce serie e toni solenni, a “salvare l’Italia”, a rinunciare alla propria linea politica per “senso di responsabilità”, perché la manovra “si deve fare”.

Tra le fila dell’opposizione, Di Pietro, che ultimamente ha fiutato la possibilità di tornare al governo, prova a sedurre i moderati, mette da parte l’ascia di guerra, tagliente ed affilata, e si mostra aperto al dialogo e collaborativo con il nemico. In nome dell’Italia, ovviamente. Il Pd si è dichiarato disponibile a non fare ostruzionismi sulla manovra, a patto che il governo accogliesse le proposte fatte dalle opposizioni (cosa che ovviamente non è avvenuta). Casini, idem. Insomma, in pochi giorni il clima infuocato diventa, in apparenza, più normale, più da nazione normale. Tutti uniti verso l’obiettivo che è quello di rispettare i tempi della manovra e non portare l’Italia ad una situazione di emergenza. Così, il decreto è passato, anche se le opposizioni non ne hanno condiviso le misure ed hanno votato no compatte.

Una manovra classista, così è stata definita da Bersani, con misure che colpiscono le fasce più povere e, come al solito, la classe media, che si impoverisce sempre di più. Famiglie e infanzia sono penalizzate dai tagli, mentre ritorna il ticket sulle prestazioni specialistiche (10 euro) e sui codici bianchi al Pronto Soccorso (25 euro). I redditi alti, invece, non vengono minimamente intaccati da questo decreto. Ecco che il senso di responsabilità dell’opposizione ha finito per non ostacolare una manovra irresponsabile, dannosa, nociva. Perfino dentro la maggioranza il testo ha creato spaccature ormai insanabili, perché la disparità, la disuguaglianza che promana da queste norme è un’offesa nei confronti del popolo, dei più deboli, delle famiglie normali, la cui spesa fiscale aumenterà di circa 1000 euro l’anno.

Napolitano parla di grande prova di coesione, di senso di responsabilità. In realtà per l’ennesima volta si è scelto di non scegliere, di non sfidare la storia, di non arrivare ad una resa dei conti. In poche parole, è mancato il coraggio. Una manovra come questa era meglio non farla. Sarebbe stato molto meglio allungare i tempi, fare ostruzionismo in Parlamento, con tutte le conseguenze del caso. Incoscienza? No, semplicemente si sarebbe squarciato il velo sulla pochezza di questo governo, sulla sua politica economica inesistente, su un centrodestra che in tutti gli anni in cui ha governato non ha mai saputo partorire una misura che fosse utile al Paese piuttosto che ad un solo uomo e ai suoi colleghi di potere o di portafoglio. Per l’ennesima volta, al di là dei No e degli atteggiamenti duri e puri di facciata, il Pd e l’opposizione hanno fornito l’ossigeno ad un premier ormai in agonia politica, vicino alla fine, al tramonto definitivo.

Comprensibili i richiami di Napolitano, ma questa volta bisognava avere il coraggio di lasciare che la cricca che guida la nave andasse a sbattere contro la gente, la stessa gente che nelle ultime elezioni amministrative e al referendum sul nucleare le ha sbattuto in faccia il biglietto di addio. È il momento di lasciarli morire, di non aspettare oltre per avere il tempo di litigare sulle future leadership alternative e per vecchie rese dei conti interne. Il centrosinistra deve decidere con chi stare: se vuole stare con la gente, deve tornare tra la gente e non commettere l’errore di dimenticare il popolo arancione di Milano e di Napoli.

Quel popolo non accetta salvacondotti, accordi, compromessi, ma vuole la liberazione, vuole irrompere sulla nave e rimetterla sulla giusta rotta, cacciando via gli occupanti illegittimi. E vuole farlo con la mobilitazione, con i programmi, con le idee e con il voto. Le scelte mediane o i comportamenti di casta, come quelli che hanno impedito i tagli sui costi della politica, sono al bando. Se esiste ancora un senso di responsabilità allora è meglio che lo si usi assumendosi il compito di capire quello che realmente serve al futuro dell’Italia. E di certo non è di dialogo con una cricca malata e marcia, né di attendismi strategici, né di manovre come queste che l’Italia ha bisogno.

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