Riforma della giustizia: qui lo dico e qui lo nego

di Domenico Gallo - 05/03/2011
In questo scorcio di legislatura, il Governo Berlusconi e la sua Corte dei miracoli ci hanno ormai abituato ad un metodo di procedere a zig-zag, ideale per impedire ai ficcanaso di capire cosa bolle in pentola e cosa vuole o non vuole fare il decisore politico

Qui lo dico e qui lo nego. Non c’è niente di meglio della celebra battuta di Totò per illustrare l’approccio dei fedelissimi di Berlusconi alle tanto annunziate, quanto misteriose, riforme della giustizia che, aggirando le forche caudine del Quirinale e della Corte Costituzionale, ristabiliranno i principi del diritto della Costituzione di Arcore. In questo modo finalmente saranno tagliate le unghie a quei magistrati infedeli che si ostinano ad applicare le leggi, con il codice alla mano, come se tutti gli uomini fossero uguali.

In effetti, in questo scorcio di legislatura, il Governo Berlusconi e la sua Corte dei miracoli ci hanno ormai abituato ad un metodo di procedere a zig-zag, ideale per impedire ai ficcanaso di capire cosa bolle in pentola e cosa vuole o non vuole fare il decisore politico.

Così, se un progetto di legge presentato dal Governo deve essere preliminarmente visionato da quei ficcanaso dello staff del Quirinale, che pretendono di mettere becco su tutto, e poi deve essere pubblicato dalla Camera o dal Senato nell’elenco dei disegni di legge col rischio che i cittadini lo possano leggere e poi organizzare delle proteste e contestare le scelte politiche governative, allora la cosa migliore è far sì che il progetto politico del governo venga presentato da un parlamentare.Meglio ancora se rimane nascosto ed emerge soltanto il giorno prima del voto, come emendamento a questo o quel decreto legge.

Se qualcuno dovesse protestare, il Governo che centra? E poi il popolo può protestare contro i parlamentari che sono i rappresentanti della volontà popolare che – secondo la Costituzione di Arcore – si identifica con la volontà di Silvio?

Comunque una cosa è certa, quando viene pubblicamente smentito un progetto, è sicuro che lo si vuole attuare!

Così, se il ministro della giustizia Alfano ha smentito l’intenzione del Governo di procedere sulla strada del “processo breve”, il giorno dopo la legge è stata “calendarizzata” alla Camera.

Se il Ministro Tremonti tuona ogni giorno contro le posizioni di rendita delle banche, poche ore prima dell’approvazione del c.d. “decreto milleproroghe”, un rappresentante del popolo (cioè del popolo della libertà) ha inserito una norma “salvabanche” per impedire che i cittadini che hanno pagato per anni interessi non dovuti, possano chiederne la restituzione.

Così sulla riforma della giustizia, ovvero sui rimedi legislativi per impedire il controllo di legalità nei confronti del Sovrano e della sua Corte dei miracoli, ogni giorno si alternano annunci e smentite.

Ciò non è dovuto soltanto alla volontà di mascherare fino all’ultimo le proprie intenzioni, per sventare ogni forma di opposizione o dissenso, ma dipende anche dall’ingorgo delle proposte di ogni tipo che i fans del premier avanzano per carpirne i favori per cupidigia di servilismo.

Qualche settimana fa abbiamo già osservato che la palma per la prontezza nell’interpretare le esigenze del Capo spettava all’on.Luigi Vitali per il suo disegno di legge su: "Riparazione di ingiusta intercettazione di comunicazioni telefoniche e conversazioni.", ma adesso l’on. Vitali ha fatto un ulteriore passo in avanti, presentando una proposta di legge che semplicisticamente è stata segnalata come “prescrizione breve”. La proposta di legge è in realtà il frutto di un lavoro complesso (che in 44 articoli riforma buona parte del codice di procedura penale) del quale l’on. Vitali può menare gran vanto, tanto da candidarsi a fare il sottosegretario alla Giustizia, scavalcando gli altri concorrenti avvocati del premier.

Dovremo soffermarci con più attenzione su questa proposta, se sarà quella prescelta, per porre rimedio ai guai con la giustizia di Silvio Berlusconi. Qui vogliamo sottolineare soltanto qualche aspetto bizzarro.

Con la legge Cirielli vennero ridotti i termini della prescrizione per gli incensurati ma fu escluso che le attenuanti generiche potessero determinare una riduzione dei tempi di prescrizione. Con il primo pacchetto sicurezza, di cui il Ministro Maroni si è fatto gran vanto, fu inserita una norma che – in pratica – vietava ai giudici di concedere le attenuanti generiche se fondate solo sul presupposto dell’incensuratezza dell’imputato. Adesso le attenuanti generiche diventano obbligatorie e prevalenti sulle aggravant, se l’imputato è incensurato ed ha più di sessantacinque anni, e comportano, in sopraggiunta, una riduzione dei termini della prescrizione.

Ma la cosa più affascinante è che è stata ripescata una norma che sa di antico. E’ stata reintrodotta, prevedendo la possibilità di ricusazione, una censura nei confronti del magistrato che abbia avuto ''comportamenti o manifestazioni di pensiero'' o abbia “aderito a movimenti o ad associazioni che determinino fondato sospetto di recare pregiudizio all'imparzialità del giudice''.

Questa non è una novità, qui è stato ripescato un istituto che affonda le sue radici nella storia d’Italia!

Come non rivedere in controluce l’articolo 1 della legge Mussolini - Rocco (L.24/12/1925 n. 2.300) che prevedeva la facoltà per il Governo del Re di dispensare dal servizio quei magistrati e funzionari pubblici che: “per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori di ufficio, non diano piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si pongano in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo”?

Sia detto, ad onor del vero, che Mussolini fece un uso molto sobrio di questa facoltà, se ne servì soltanto per sbarazzarsi dei dirigenti dell’Associazione Magistrati dell’epoca, fra cui un certo giudice Occhiuto, che si era messo a indagare sul delitto Matteotti ed aveva scoperto –per sua sfortuna – che quel delitto era stato ordito dal gran Capo del fascismo.

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