In Senato si è conclusa la prima lettura del disegno di legge costituzionale volto a riformare la seconda parte della Costituzione. Questo l’esito della votazione:
si 153, no 130, astenuti 7.
Di solito in occasioni come queste si
comincia dicendo che il momento è solenne e che richiederebbe un
atteggiamento coerente con la solennità dell’occasione. Io temo,
purtroppo, che in questa modifica della Costituzione non vi sia
assolutamente nulla di solenne.
La riforma ha, fin dall’inizio, un doppio carattere: da un lato
l’ipotesi di attribuire molti poteri al Presidente del Consiglio e
dall’altro l’ipotesi di attribuzione di tutti i poteri al Presidente
della Repubblica.
Il primo progetto, quello dell’attribuzione di maggiori poteri alla Presidenza del Consiglio, è frutto di un’intesa interna alla maggioranza provvisoria che sostiene il Governo
e purtroppo anche di una tendenza dei colleghi del Partito Democratico a
fidarsi troppo. È difficile, infatti, non ricordare la Bicamerale
1996-1997 che fece esattamente la stessa fine: era in ipotesi la
realizzazione di un premierato forte e fu votato il
semipresidenzialismo. Il progetto era articolato in quattro punti:
riduzione del numero dei parlamentari, superamento del bicameralismo,
corsia preferenziale per le leggi del Governo e maggiori poteri al
Presidente del Consiglio.
Ora, la riduzione del numero dei parlamentari ha avuto contro la
maggioranza trasversale dei parlamentari, per generale ammissione di
tutti. Il superamento del bicameralismo non c’è stato affatto, perché è
stato modificato in una maniera estremamente farraginosa e complicata,
con tutto un lavoro barocco sull’attribuzione delle competenze tra le
due Camere. Alla fine, tutto questo è stato comunque troncato.
L’ipotesi del superamento del bicameralismo perfetto ha poi trovato la
sua concrezione definitiva in questa idea del Senato federale barattato
con il presidenzialismo. Per cui il superamento del bicameralismo non
c’è, così come non c’è la riduzione del numero dei parlamentari.
C’è invece l’attribuzione al Governo di un ruolo di soggetto
legislativo, di fronte a cui le Camere rischiano di svolgere la funzione
di spettatrici e ci sono effettivamente più poteri al Presidente del
Consiglio, meno poteri al Presidente della Repubblica e meno poteri alle
Camere. Quindi questa sintesi smentisce la vulgata che voleva che
questo iniziale progetto di riforma costituzionale fosse basato
sull’equilibrio tra l’accrescimento dei poteri del Governo e
l’accrescimento dei poteri del Parlamento. Di accrescimento dei poteri del Parlamento non c’è traccia, c’è solo l’accrescimento dei poteri del Governo.
Ricordo, non di sfuggita, che sei anni fa una riforma assai simile,
perché conteneva molti punti strettamente analoghi, è stata bocciata a
grandissima maggioranza dal popolo italiano. Quindi, l’idea che la prima
ipotesi di riforma costituzionale fosse una cosa seria è smentita a
priori dal fatto che il popolo italiano ne aveva già bocciata una molto
simile. Era meglio non lavorare in quella direzione. Il Parlamento si è
cacciato in una sorta di cul-de-sac, da cui poi ne è uscito nel peggiore
dei modi.
Il secondo progetto è molto peggio, perché,
se mai era possibile sfigurare un’ipotesi di riforma costituzionale già
così mal concepita, il secondo progetto – che poi è quello che si sta
affermando, per fortuna invano – davvero introduce una sorta di concezione della riforma costituzionale come esercizio di un baratto tra le parti.
E allora, alla maggioranza provvisoria che aveva immaginato la prima
riforma si sostituisce la maggioranza vecchia, che si ricostituisce su
un patto di scambio tra la concessione, dell’uno all’altro, del Senato
federale (senza stare a curarsi di come venga definito) e del
semipresidenzialismo o presidenzialismo.
Ormai la questione lessicale tra semipresidenzialismo e presidenzialismo
è perfino priva di significato. Di sicuro c’è un fatto: la riforma che
abbiamo votato oggi stabilisce una linea guida che altera in profondità
tutti gli equilibri costituzionali. Questo presidenzialismo, che i
nostri interlocutori vogliono presentare in maniera quasi innocente,
costringerà a riscrivere dai 30 ai 40 articoli della Costituzione
vigente.
Mi sembra evidente che questa voluttà di imposizione – tra l’altro con
modi che ancora ci offendono – di un nuovo disegno costituzionale
rappresenta in realtà l’ultimo atto, nella storia italiana, di una
volontà strisciante che si è sempre manifestata, ma che si vergognava di
sé stessa: la volontà di liberarsi della Costituzione vigente
e di cambiarla veramente con qualcosa di molto diverso. Non ci
riusciranno; però anche oggi questa volontà si è manifestata in modo
significativo. Parlavo di dualismo: premierato e presidenzialismo sono
due punti di vista diversi, ma in realtà hanno un’origine comune, che
non può essere trascurata.
Infatti, sia i sostenitori della prima ipotesi sia i sostenitori della
seconda diramano da un’idea iniziale per noi pericolosissima: la
Costituzione non dà a chi governa gli strumenti per farlo e quindi
bisogna supplire alle plasticità e alla lentezza della democrazia con la
velocità che nasce dall’attribuzione di tutti i poteri ad una persona
sola.
Questo assioma «la Costituzione non dà a chi governa gli strumenti per
farlo» è profondamente falso ed è dimostrato dalla storia dei Governi
della Repubblica. In realtà l’ingovernabilità dipende dal fatto
che chi ha governato non sapeva usare i suoi poteri reali e non sapeva
governare nemmeno con una maggioranza che non si era mai vista. Attribuire la colpa dei propri errori alla Costituzione è una tecnica tipica di chi non si assume mai le sue responsabilità . I problemi della democrazia non si risolvono con l’attribuzione di tutto il potere ad una persona sola. È una credenza.
Questo termine richiede un minimo di riflessione. È una “credenza”, che
non è un mobile ma un modo di credere. Nei tempi antichi, nella storia
francese, si era creduto che gli scrofolosi potessero essere guariti dai
re con l’imposizione delle mani. La credenza che dando il potere ad una
persona sola si possano guarire le difficoltà della democrazia ha
perfino meno validità di quella dei re taumaturghi di antica memoria.
Il Partito Democratico e l’Italia dei Valori sono usciti dall’Aula. Su
questo vanno spese alcune parole. Dal mio punto di vista il Partito
Democratico ha abbandonato i lavori perché si è sentito tradito nella
fiducia riservata ad un disegno di legge, che noi non condividevamo ma
che per loro era valido.
L’Italia dei Valori è uscita dall’Aula per l’impossibilità
letterale di esercitare i diritti di opposizione: come si fa a discutere
una riforma costituzionale dentro la gabbia dei tempi contingentati?
C’è da vergognarsi alla sola idea che si sia potuto realizzare questo
delitto.
A tutto ciò si aggiunge la perfetta vanità di questa prima lettura.
L’assenza dei due terzi dei voti, sulla base dell’articolo 138 della
Costituzione, rende velleitario il cammino di questo progetto nelle
letture successive.
Il destino per la realizzazione di questa riforma è segnato. Questa riforma non si farà. E la cosa stupefacente è che tutti abbiamo recitato una commedia,
e più di tutti gli altri la vecchia maggioranza, ora rinnovata. Fanno
finta di credere ad una cosa che non è possibile. Abbiamo svolto un
lavoro inutile, forse di efficacia propagandistica – si sente dire – per
sventolare le bandiere del presidenzialismo durante la campagna
elettorale.
Credo però che resti soprattutto il danno per la mancata tempestività dei provvedimenti anticrisi. Nel
momento in cui, in questa sede, avremmo dovuto affrontare i gravissimi
problemi del Paese, siamo stati fermi tre giorni a perdere tempo, mentre
la forza della crisi aumenta in modo davvero angoscioso. Ne
nasceranno difficoltà crescenti per la riforma elettorale. Del resto,
come si fa a concludere un patto di fiducia sulla riforma elettorale
sulla base di questa sfiducia crescente? Poi ci presenteremo davanti ai
cittadini senza la riduzione del numero dei parlamentari. Che bella
figura!
Abbiamo lavorato dicendo che partivamo dall’idea necessaria di ridurre
il numero dei parlamentari e ci troviamo in un’impossibilità decisa e
automatica di ridurre tale numero.
È scarsissima la speranza di una nuova legge elettorale.
Stiamo facendo una figura veramente penosa. E tutto questo per motivi propagandistici?
La sola idea che questo giochino sul presidenzialismo possa essere stato
concluso per dare a Berlusconi la speranza di salire al Quirinale
rappresenta una fantasia grottesca. Basta interrogarsi
sull’attendibilità di questa persona oggi nel contesto internazionale.
Insomma, l’occasione non è affatto solenne, ma il nostro no è molto solenne e lo abbiamo detto con la massima convinzione.