Riforme costituzionali: abbiamo recitato una commedia e questa riforma non si farà

di Pancho Pardi - 01/08/2012
Abbiamo lavorato dicendo che partivamo dall’idea necessaria di ridurre il numero dei parlamentari e ci troviamo in un’impossibilità decisa e automatica di ridurre tale numero

In Senato si è conclusa la prima lettura del disegno di legge costituzionale volto a riformare la seconda parte della Costituzione. Questo l’esito della votazione:

si 153, no 130, astenuti 7.

Di solito in occasioni come queste si comincia dicendo che il momento è solenne e che richiederebbe un atteggiamento coerente con la solennità dell’occasione. Io temo, purtroppo, che in questa modifica della Costituzione non vi sia assolutamente nulla di solenne.
La riforma ha, fin dall’inizio, un doppio carattere: da un lato l’ipotesi di attribuire molti poteri al Presidente del Consiglio e dall’altro l’ipotesi di attribuzione di tutti i poteri al Presidente della Repubblica.

Il primo progetto, quello dell’attribuzione di maggiori poteri alla Presidenza del Consiglio, è frutto di un’intesa interna alla maggioranza provvisoria che sostiene il Governo e purtroppo anche di una tendenza dei colleghi del Partito Democratico a fidarsi troppo. È difficile, infatti, non ricordare la Bicamerale 1996-1997 che fece esattamente la stessa fine: era in ipotesi la realizzazione di un premierato forte e fu votato il semipresidenzialismo. Il progetto era articolato in quattro punti: riduzione del numero dei parlamentari, superamento del bicameralismo, corsia preferenziale per le leggi del Governo e maggiori poteri al Presidente del Consiglio.
Ora, la riduzione del numero dei parlamentari ha avuto contro la maggioranza trasversale dei parlamentari, per generale ammissione di tutti. Il superamento del bicameralismo non c’è stato affatto, perché è stato modificato in una maniera estremamente farraginosa e complicata, con tutto un lavoro barocco sull’attribuzione delle competenze tra le due Camere. Alla fine, tutto questo è stato comunque troncato.
L’ipotesi del superamento del bicameralismo perfetto ha poi trovato la sua concrezione definitiva in questa idea del Senato federale barattato con il presidenzialismo. Per cui il superamento del bicameralismo non c’è, così come non c’è la riduzione del numero dei parlamentari.
C’è invece l’attribuzione al Governo di un ruolo di soggetto legislativo, di fronte a cui le Camere rischiano di svolgere la funzione di spettatrici e ci sono effettivamente più poteri al Presidente del Consiglio, meno poteri al Presidente della Repubblica e meno poteri alle Camere. Quindi questa sintesi smentisce la vulgata che voleva che questo iniziale progetto di riforma costituzionale fosse basato sull’equilibrio tra l’accrescimento dei poteri del Governo e l’accrescimento dei poteri del Parlamento. Di accrescimento dei poteri del Parlamento non c’è traccia, c’è solo l’accrescimento dei poteri del Governo.
Ricordo, non di sfuggita, che sei anni fa una riforma assai simile, perché conteneva molti punti strettamente analoghi, è stata bocciata a grandissima maggioranza dal popolo italiano. Quindi, l’idea che la prima ipotesi di riforma costituzionale fosse una cosa seria è smentita a priori dal fatto che il popolo italiano ne aveva già bocciata una molto simile. Era meglio non lavorare in quella direzione. Il Parlamento si è cacciato in una sorta di cul-de-sac, da cui poi ne è uscito nel peggiore dei modi.

Il secondo progetto è molto peggio, perché, se mai era possibile sfigurare un’ipotesi di riforma costituzionale già così mal concepita, il secondo progetto – che poi è quello che si sta affermando, per fortuna invano – davvero introduce una sorta di concezione della riforma costituzionale come esercizio di un baratto tra le parti. E allora, alla maggioranza provvisoria che aveva immaginato la prima riforma si sostituisce la maggioranza vecchia, che si ricostituisce su un patto di scambio tra la concessione, dell’uno all’altro, del Senato federale (senza stare a curarsi di come venga definito) e del semipresidenzialismo o presidenzialismo.
Ormai la questione lessicale tra semipresidenzialismo e presidenzialismo è perfino priva di significato. Di sicuro c’è un fatto: la riforma che abbiamo votato oggi stabilisce una linea guida che altera in profondità tutti gli equilibri costituzionali. Questo presidenzialismo, che i nostri interlocutori vogliono presentare in maniera quasi innocente, costringerà a riscrivere dai 30 ai 40 articoli della Costituzione vigente.

Mi sembra evidente che questa voluttà di imposizione – tra l’altro con modi che ancora ci offendono – di un nuovo disegno costituzionale rappresenta in realtà l’ultimo atto, nella storia italiana, di una volontà strisciante che si è sempre manifestata, ma che si vergognava di sé stessa: la volontà di liberarsi della Costituzione vigente e di cambiarla veramente con qualcosa di molto diverso. Non ci riusciranno; però anche oggi questa volontà si è manifestata in modo significativo. Parlavo di dualismo: premierato e presidenzialismo sono due punti di vista diversi, ma in realtà hanno un’origine comune, che non può essere trascurata.
Infatti, sia i sostenitori della prima ipotesi sia i sostenitori della seconda diramano da un’idea iniziale per noi pericolosissima: la Costituzione non dà a chi governa gli strumenti per farlo e quindi bisogna supplire alle plasticità e alla lentezza della democrazia con la velocità che nasce dall’attribuzione di tutti i poteri ad una persona sola.
Questo assioma «la Costituzione non dà a chi governa gli strumenti per farlo» è profondamente falso ed è dimostrato dalla storia dei Governi della Repubblica. In realtà l’ingovernabilità dipende dal fatto che chi ha governato non sapeva usare i suoi poteri reali e non sapeva governare nemmeno con una maggioranza che non si era mai vista. Attribuire la colpa dei propri errori alla Costituzione è una tecnica tipica di chi non si assume mai le sue responsabilità . I problemi della democrazia non si risolvono con l’attribuzione di tutto il potere ad una persona sola. È una credenza.
Questo termine richiede un minimo di riflessione. È una “credenza”, che non è un mobile ma un modo di credere. Nei tempi antichi, nella storia francese, si era creduto che gli scrofolosi potessero essere guariti dai re con l’imposizione delle mani. La credenza che dando il potere ad una persona sola si possano guarire le difficoltà della democrazia ha perfino meno validità di quella dei re taumaturghi di antica memoria.

Il Partito Democratico e l’Italia dei Valori sono usciti dall’Aula. Su questo vanno spese alcune parole. Dal mio punto di vista il Partito Democratico ha abbandonato i lavori perché si è sentito tradito nella fiducia riservata ad un disegno di legge, che noi non condividevamo ma che per loro era valido.
L’Italia dei Valori è uscita dall’Aula per l’impossibilità letterale di esercitare i diritti di opposizione: come si fa a discutere una riforma costituzionale dentro la gabbia dei tempi contingentati? C’è da vergognarsi alla sola idea che si sia potuto realizzare questo delitto.
A tutto ciò si aggiunge la perfetta vanità di questa prima lettura. L’assenza dei due terzi dei voti, sulla base dell’articolo 138 della Costituzione, rende velleitario il cammino di questo progetto nelle letture successive.

Il destino per la realizzazione di questa riforma è segnato. Questa riforma non si farà. E la cosa stupefacente è che tutti abbiamo recitato una commedia, e più di tutti gli altri la vecchia maggioranza, ora rinnovata. Fanno finta di credere ad una cosa che non è possibile. Abbiamo svolto un lavoro inutile, forse di efficacia propagandistica – si sente dire – per sventolare le bandiere del presidenzialismo durante la campagna elettorale.
Credo però che resti soprattutto il danno per la mancata tempestività dei provvedimenti anticrisi. Nel momento in cui, in questa sede, avremmo dovuto affrontare i gravissimi problemi del Paese, siamo stati fermi tre giorni a perdere tempo, mentre la forza della crisi aumenta in modo davvero angoscioso. Ne nasceranno difficoltà crescenti per la riforma elettorale. Del resto, come si fa a concludere un patto di fiducia sulla riforma elettorale sulla base di questa sfiducia crescente? Poi ci presenteremo davanti ai cittadini senza la riduzione del numero dei parlamentari. Che bella figura!

Abbiamo lavorato dicendo che partivamo dall’idea necessaria di ridurre il numero dei parlamentari e ci troviamo in un’impossibilità decisa e automatica di ridurre tale numero.
È scarsissima la speranza di una nuova legge elettorale.
Stiamo facendo una figura veramente penosa. E tutto questo per motivi propagandistici?
La sola idea che questo giochino sul presidenzialismo possa essere stato concluso per dare a Berlusconi la speranza di salire al Quirinale rappresenta una fantasia grottesca. Basta interrogarsi sull’attendibilità di questa persona oggi nel contesto internazionale.
Insomma, l’occasione non è affatto solenne, ma il nostro no è molto solenne e lo abbiamo detto con la massima convinzione.

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