Sallusti santo subito

di Francesco Baicchi - 29/09/2012
Nel nostro strano Paese è sempre più difficile trovare un linguaggio comune, ed è quindi sempre più difficile un confronto civile e costruttivo delle opinioni. Il caso Sallusti ne è un esempio lampante.
E' ormai stato spiegato e ampiamente dimostrato che il direttore del Giornale è stato condannato, nell'assoluto rispetto della legge, per aver consentito la pubblicazione sul suo quotidiano di un articolo pesantemente diffamatorio contenente informazioni false in merito a un Magistrato. Come aggravanti ci sono la conoscenza da parte dell'autore della falsità delle accuse e il rifiuto dello stesso direttore Sallusti a riconoscere pubblicamente l'errore, chiedendo scusa al diffamato.

Eppure qualcuno continua a parlare di 'diritto alla espressione di una opinione', che meriterebbe di essere tutelato come previsto dall'art. 21 della Costituzione, e non di una volontaria azione di disinformazione.

Il fatto che Sallusti non sia stato il materiale estensore del testo (peraltro particolarmente odioso) non è una giustificazione; e non siamo nemmeno di fronte a un caso di 'responsabilità oggettiva', perché il ruolo del direttore di un quotidiano è proprio quello di essere 'responsabile' di quanto viene pubblicato e l'atteggiamento del Giornale dopo la querela fa piuttosto pensare a una azione coscientemente premeditata e all'arroganza di chi si crede garantito.

Naturalmente è legittimo chiedersi se per questo particolare reato la pena proporzionata sia la detenzione, specialmente in un Paese in cui le carceri scoppiano e, a detta del Presidente della Repubblica, non sono degne di una nazione civile.

Ma non possiamo nemmeno ignorare che in una fase storica in cui l'immagine è, specialmente per chi esercita funzioni pubbliche, assolutamente essenziale, la diffamazione può avere conseguenze gravissime, fino a mettere in pericolo l'incolumità del diffamato.

Viste le possibili conseguenze, un semplice risarcimento (come qualcuno ipotizza), ammesso che il danno in questo caso possa essere quantificato, mi sembra oggettivamente insufficiente. La pena deve costituire in qualche modo un deterrente, almeno contro la ripetizione del reato e, se pensiamo all'entità dei patrimoni di alcuni proprietari di importanti testate, forse non sarebbe efficace.

A quanti in questi giorni si stracciano le vesti in difesa di quella che appare una vera e propria pretesa di impunità, proporrei pertanto come pena alternativa, in un caso di esplicita volontà diffamatoria come questo, la radiazione definitiva e permanente dall'Ordine dei Giornalisti. Evitiamo di aumentare il sovraffollamento delle carceri, e indirizziamo verso altre attività chi ha dimostrato di non essere all'altezza di una professione così importante per la società come quella di informare l'opinione pubblica.

 

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