Scalfaro e il prezzo della Costituzione praticata

di Daniela Gaudenzi - Liberacittadinanza - 30/01/2012
Oscar Luigi Scalfaro se ne è andato dopo aver avuto almeno il tempo di vedere “il passo indietro” di Berlusconi e l’Italia parzialmente liberata dall’ombra del ridicolo e della vergogna che avevano finito per travolgerla

Mentre l’ex presidente del Consiglio alle prese con un ingorgo processuale, l’imminenza della sentenza Mills e la conseguente offensiva contro il suo collegio giudicante, ha finora preferito tacere sulla scomparsa del “golpista” e del “bieco giustizialista” Scalfaro, si sta assistendo ad una gara rivoltante tra giornali di famiglia e pidiellini in cerca di rielezione per infangare la memoria di un presidente dalla parte della Costituzione.

Essere dalla parte della Costituzione, non solo a parole, in Italia è stato e continua ad essere qualcosa di terribilmente rivoluzionario, come hanno dimostrato recentemente le reazioni rabbiose e l’intervento del CSM nei confronti di Antonio Ingroia quando in un intervento a Rimini al Congresso del PDCI ha avuto la temerarietà di definirsi “partigiano della Costituzione”.

E partigiano della carta costituzionale Scalfaro lo è stato, fin da giovanissimo quando aveva partecipato alla sua stesura e ricordava in ogni occasione i lavori dell’Assemblea Costituente come un riferimento imprescindibile della sua formazione.

Lo è stato da parlamentare, da ministro, da presidente della Repubblica eletto nello snodo più drammatico della vita repubblicana, tra Tangentopoli e gli attentati a Falcone e Borsellino quando, come ci stanno rivelando inchieste difficilissime e tormentate, erano in corso quelle trattative tra lo Stato e la mafia che sono state verosimilmente anche all’origine della strage di via D’Amelio.

Da presidente della Repubblica con il primo governo Berlusconi, Oscar Luigi Scalfaro si impuntò come amava ricordare con orgoglio sulla pretesa di Silvio Berlusconi di avere come ministro della Giustizia quello che allora era “solo” il suo fidatissimo avvocato d’affari, quello delle cause sporche, che, come sarebbe stato accertato in seguito dalla magistratura con sentenze definitive, non erano poche, né di poco conto.

Ma allora sulla sola base di quel rapporto “fiduciario” e di un presumibile interesse personale del presidente del consiglio, il presidente della Repubblica disse no e Cesare Previti fu dirottato alla Difesa.

Ma sono le inchieste del pool di Milano sulla corruzione della GDF da parte della Fininvest a scatenare l’odio mortale nei confronti del presidente Scalfaro indisponibile alle richieste del consiglio dei ministri, monopolizzato dai falchi Previti e Ferrara, che voleva la testa di Francesco Saverio Borrelli e dei magistrati di Mani Pulite.

Berlusconi, per fermare l’inchiesta sulla Fininvest pretendeva che il capo dello Stato, nella sua veste di pubblico ufficiale trasmettesse alla magistratura la “notizia criminis” del presunto reato addebitato ai PM di Milano, per il solo fatto di aver osato indagare su Fininvest. Uno Scalfaro molto irritato rispedisce la lettera al mittente e la dichiara “irricevibile”.

Si determinò, per dirla con le parole di Eugenio Scalfari, per la prima volta, “una situazione abnorme che non ha riscontro nella storia dello Stato italiano e tanto meno in quella delle democrazie occidentali moderne” e che poi ci sarebbe toccato rivedere ripetuta all’infinito a tinte più o meno forti. Al tentativo eversivo di un potere esecutivo sotto indagine della magistratura che tenta di incriminare i PM, cercando di delegittimarli prima che potessero portare a termine le inchieste in corso, il presidente della Repubblica, nonché garante della Costituzione Oscar Luigi Scalfaro si oppose senza tentennamenti.

Di lì a poco divenne il presidente “ribaltonista” e “golpista” additato al pubblico ludibrio dalla macchina mediatica berlusconiana, ancora una volta solo per aver applicato la Costituzione che in una democrazia parlamentare prevede la verifica dell’esistenza di una nuova maggioranza prima dello scioglimento delle Camere.

La fine del primo governo Berlusconi per la defezione della Lega, divenne il cavallo di battaglia per la crociata politico mediatica contro il complotto delle “toghe rosse” e del Presidente “fazioso” e “traditore”.

Il manganellamento mediatico ingaggiato a testate e reti Mediaset unificate si è protratto con continuità e capillarità ben oltre il settennato tanto da perdurare mentre si svolgono i funerali.

In assoluta coerenza con la sua storia ed i suoi principi Scalfaro si è battuto strenuamente in difesa della Costituzione minacciata dalla riforma dei costituzionalisti da baita, capeggiati dall’esimio Calderoli, si è fatto promotore dei Comitati e ha percorso l’Italia per spiegare ai cittadini la natura di quella sedicente riforma.

Quando fu a Rimini nel febbraio del 2006 in un incontro affollatissimo, dove ho avuto l’onore di fare l’introduzione insieme agli altri rappresentanti del Comitato per la difesa della Costituzione, esordì con parole inequivocabili: “Va detto chiaramente, non siamo di fronte a una riforma, ma a uno stravolgimento della nostra Costituzione”. Un omaggio al “diritto alla verità” che aggiungeva “non ammette eccezioni, mai”.

I cittadini italiani lo capirono e il referendum costituzionale fu un successo di partecipazione democratica e di consenso strabordante ai valori e all’impianto costituzionale; un risultato straordinario che dobbiamo anche a lui e che dovremmo ricordare più spesso.

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