Silvio, Marcello e i boss: nuove rivelazioni al processo sulle stragi

di Giovambattista Dato -ilmegafono.org - 22/01/2011
Si fa sempre più interessante l′inchiesta che riguarda le stragi di mafia compiute da cosa nostra nei primi anni ′90.

Ad aggiungere ulteriori ipotesi su ciò che accadde veramente in quegli anni e sulla possibile trattativa Stato-mafia ci ha pensato il pentito Giovanni Ciaramitaro, sentito dai pm di Firenze nel corso del processo sulle stragi, rivelando appunto alcuni particolari sulla complicità attiva della politica in occasione degli attentati e confermando in gran parte le rivelazioni rilasciate nei mesi scorsi da Gaspare Spatuzza, noto collaboratore di giustizia, che citò per primo i nomi di alcuni politici invischiati nei giochi loschi della criminalità organizzata. Quali siano questi nomi è ormai cosa nota e Ciaramitaro non si è lasciato sfuggire l′occasione per ribadirli. “ Francesco Giuliano mi disse che erano stati dei politici a dargli questi obiettivi, questi suggerimenti e in un′altra occasione mi fece il nome di Berlusconi”. “C′erano dei politici che indicavano quali obiettivi colpire con le bombe” , ci dicevano “andate a metterle alle opere d′arte”.

Gli obiettivi a cui si riferisce il pentito sono, ovviamente, quei siti che vennero poi colpiti dalle bombe di cosa nostra: il 14 maggio 1993 in via Fauro, a Roma (nel quale attentato rischiò la vita Maurizio Costanzo); il 27 maggio in via dei Georgofili, a Firenze; il 28 luglio in via Palestro, a Milano. Una serie di attentati, quindi, che colpì alcuni dei luoghi sicuramente più affollati e ad alta densità turistica del nostro paese e che rischiarono persino un rovesciamento della situazione politica di quegli anni. Non va dimenticato nemmeno l′attentato fallito allo stadio Olimpico di Roma, nel 1994, con cui si sarebbe compiuta una strage di dimensioni enormi. In effetti, la tattica di cosa nostra era azzeccata: spaventare lo Stato per ottenere ciò che si chiedeva (ovvero l′annullamento del 41bis e l′alleggerimento di altre pene per i mafiosi).

Tutto ciò, secondo quanto dichiarato nel corso di questi mesi dal pentito Spatuzza e, per ultimo, dal Ciaramitaro, sarebbe stato possibile grazie ad una persona del mondo televisivo e che da lì a poco avrebbe fatto il proprio ingresso in politica. In un′altra occasione, proprio poco prima dell′attentato fallito dell′Olimpico di Roma, Ciaramitaro avrebbe incontrato uno dei fratelli Graviano, Giuseppe, il quale, in evidente stato di gioia, gli riferì che avevano “chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo grazie alla serietà di quello di Canale 5 e del compaesano (sarebbe Dell′Utri, ndr )”, e continuò affermando che proprio queste persone avrebbero “messo il Paese nelle nostre mani”. Oggi, comunque, resta ancora molto da scoprire. Innanzitutto, bisognerà accertare che le dichiarazioni dei pentiti corrispondano a verità (questo, probabilmente, è l′elemento principale dell′intera inchiesta).

Successivamente, e sarà questa la fase più difficile, la magistratura dovrà scoprire molte di quelle altre verità che sono ancora nascoste, sepolte sotto un manto di ostinata omertà, di corruzione. Una corruzione che ha raggiunto livelli incredibili e che, se le accuse venissero confermate, rappresenterebbe una sconfitta totale per l′intera società civile italiana. Per non parlare del fattore politico, altro argomento chiave dell′inchiesta e che è al vaglio dei magistrati. Salvatore Grigoli, altro collaboratore di giustizia che ha deposto in occasione del suddetto processo, avrebbe parlato di un progetto politico di matrice mafiosa e che sarebbe dovuto nascere proprio in quegli anni di fuoco, anni in cui “c′era tutto un muoversi per la politica in cosa nostra”.

Secondo Grigoli “si doveva fare un partito e furono organizzati congressi, riunioni. Tante persone furono invitate per fare Sicilia Libera, un partito che doveva essere composto da gente di cosa nostra o vicina a cosa nostra”. Il progetto poi fallì, ma i “picciotti” ricevettero ben presto chiare indicazioni: votare Berlusconi. “ Quando non se ne fece più di niente del partito di cosa nostra – afferma Grigoli – mi fu detto che bisognava votare Berlusconi perché fu detto che solo lui ci poteva salvare”. Gli fa eco il pentito Pasquale Di Filippo, presente al processo: “ Nel ′94, quando ci sono state le elezioni in Sicilia, abbiamo votato tutti per Berlusconi, perché Berlusconi ci doveva aiutare, doveva far levare il 41 bis”.

Le dichiarazioni sembrano susseguirsi con una certa rapidità e tutte puntano verso un unico tema principale. Molti, tra l′altro, pensano che possa trattarsi dell′ennesima tattica criminale, con i pentiti che  rilasciano dichiarazioni sempre più “scottanti” come una sorta di avviso rivolto alle “alte cariche dello Stato”. Comunque, come già detto in precedenza, molto altro resta ancora da scoprire e non sarà facile per la magistratura giungere ad una soluzione finale. L′augurio è che si faccia luce al più presto su ciò che ci è stato nascosto per così tanti anni, e che si giunga, finalmente, ad una verità definitiva e senza macchie. Una verità che rischia  di essere atroce per una intera nazione che lotta costantemente affinché si mantenga viva la sua reale natura di Stato democratico.

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