Adesso, accettando la candidatura nelle
liste di Rivoluzione civile nelle prossime elezioni politiche, ancor
più mi sento coinvolto a sviluppare, con questo nuovo soggetto , una
politica del diritto sociale che, in coerenza con la mia passata
esperienza, valorizzi e implementi una linea di radicale rinnovamento
nel merito, alternativa alle disastrose politiche praticate da troppo
tempo e sostenute da più parti che in teoria dovrebbero essere
antitetiche.
Gli ultimi anni hanno portato un netto
peggioramento della normativa e delle situazioni concrete riguardanti
i diritti dei lavoratori, sul piano collettivo – rappresentanza e
democrazia sindacale – e sul piano individuale – progressiva
precarizzazione, caduta del potere d’acquisto delle retribuzioni,
perdita di diritti e di dignità del lavoro. È necessario dunque un
intervento riformatore complessivo che non si limiti alla
ricostituzione dei precedenti livelli di tutela, ma li completi e li
reinterpreti alla luce dei tanti mutamenti sopravvenuti.
Tuttavia,
anche un’opera di riforma in senso progressivo delle regole in tema
di lavoro sarebbe insufficiente se avulsa da interventi urgenti su
fondamentali problemi socio-economici che caratterizzano in senso
negativo l’attuale situazione.
A ben poco servirebbero anche
ottime regole in tema di rapporto di lavoro in favore di chi il
lavoro ce l’ha, prescindendo dalla situazione drammatica e spesso
disperata di chi il lavoro l’ha perso, oppure non l’ha mai avuto,
oppure, come milioni di giovani, non riesce ad inserirsi nel mondo
del lavoro, ovvero ha dovuto lasciarlo per operazioni governative di
pensionamento rilevatesi poi disastrose (esodati). Un programma
riformatore dovrebbe riguardare anzitutto, o contemporaneamente, le
problematiche ulteriori rispetto a quelle vissute da chi attualmente
lavora.
Un approfondimento risulta tanto più necessario quanto
più si considerino gli ambigui e a volte ipocriti slogan,
orecchiabili e suggestivi, ripetuti sui temi lavoristici.
La
prima rilevante parte di un programma di riforma, che definisco di
contesto di una normativa del lavoro, è sintetizzata in 5 aree
tematiche. In un prossimo articolo si affronterà la riforma relativa
agli istituti propriamente lavoristici, con l’articolazione tra
dimensione collettiva e dimensione individuale.
1) La prima
riforma è l’introduzione di un reddito di cittadinanza – ovvero
reddito minimo garantito che prescinde da precedenti contribuzioni
previdenziali o da precedenti rapporti di lavoro. Questa prospettiva
segna un vero e proprio cambio di paradigma nell’organizzazione
sociale. L’istituto non ha nulla di utopistico. Esiste nella
legislazione dei principali paesi europei, con caratteristiche
similari che potrebbero essere utilmente messe a confronto.
Alla
sua introduzione dovrebbe essere destinato in primo luogo il recupero
dell’evasione fiscale, per il quale dovrebbero essere introdotte
misure semplici ed efficaci, quali la pubblicazione on-line dei
redditi imponibili di tutti i contribuenti, operazione già tentata
nel 2008 dal ministro Visco ma bloccata dalle varie lobby di soggetti
economici a rischio di evasione.
2) L’implementazione
dell’occupazione giovanile è un problema prioritario. Non può
essere affrontato con le misure indicate da Monti o Berlusconi: una
generica decontribuzione e defiscalizzazione retributiva da cui
dovrebbe meccanicisticamente discendere – ma non discende – un
incremento delle assunzioni di giovani.
È necessario un
intervento più complesso che veda il protagonismo delle parti
sociali, incrociando ad esempio gli istituti del contratto di
apprendistato riformato e del contratto collettivo aziendale di
solidarietà espansivo, anch’esso rivisto e re-disciplinato. Una
riduzione dell’orario lavorativo del 10% di 4 ore settimanali,
opportunamente indennizzata, consentirebbe l’assunzione di
centinaia di migliaia di giovani.
3) Il sistema degli
ammortizzatori sociali introdotto nel nostro ordinamento fra gli anni
’80 e ’90, si è rivelato importante ed efficiente anche se ormai
invecchiato: penalizza l’economia dei servizi. Il governo Monti ha
semplicemente cercato di distruggere il sistema degli ammortizzatori
proprio nel momento in cui la situazione si faceva più grave, con
l’eliminazione dell’indennità di mobilità conseguente a crisi
aziendali, nonché degli importanti meccanismi messi a punto dalla
Legge Fallimentare per i casi di insolvenza e con la sua sostituzione
con un istituto punitivo quale è l’Aspi.
La revisione degli
ammortizzatori sociali andrebbe fatta nell’ambito della riforma dei
sistemi di sicurezza sociale e in particolare all’insegna del
principio di una dote di ammortizzatori concessa ad ogni lavoratore
ed utilizzabile in modo flessibile a seconda dei casi, o come
ammortizzatore conservativo (sospensione integrata economicamente del
rapporto di lavoro) o invece come ammortizzatore risarcitorio
(indennità per perdita dell’occupazione).
4) Il tema dei
pensionamenti e del lavoro nella terza età va affrontato in termini
nuovi ed umanistici, puntando sul principio del pensionamento
parziale e progressivo, in conformità alle condizioni di salute del
lavoratore e della sua visione esistenziale. In ogni caso, è
assolutamente necessario rimediare al guasto enorme della riforma
pensionistica di Monti, che non si è limitata a far restare di più
al lavoro chi lavorava, ma ha investito chi era ormai disoccupato
condannandolo ad una vita di stenti (esodati).
5) La tematica
degli incentivi all’attività di impressa da un lato e della
connessa responsabilità di impresa dall’altro, va affrontata con
la revisione e il potenziamento di tutti gli strumenti creditizi e di
altro genere, necessari ad un rilancio imprenditoriale, ma per
converso con la regolazione in termini coerenti di problematiche
quali appalti, attività di gruppo, esternalizzazioni,
delocalizzazioni, nonché istituti di partecipazione e cogestione.
Sono stato sempre impegnato sul fronte della progettazione legislativa e contrattuale dei diritti sociali e sulla promozione e difesa, anche per via giudiziaria, dei diritti dei lavoratori e del sindacato