Un Paese irresponsabile che, nell'emergenza, chiama "mamma!"

di Annalisa Marinelli - 10/11/2011
Oggi ho visto il TG regionale e l'intervista a un abitante di via Ferreggiano che descrive come molto utile il parcheggio di 100 posti auto costruito coprendo il torrente; poco dopo, un giornalista, commentando le esondazioni di Vernazza dice che la colpa è del rio Vernazza e degli altri rii che corrono sotto l'asfalto (caspita, ma chi ce li ha messi lì sotto?).

Allora ho sentito l'urgenza di scrivere. Perché mi è parso chiaro che tutto il livore e l'energia che stiamo profondendo nel ricercare i responsabili del disastro, non sono altro che un modo per distrarre le nostre coscienze dalle reali responsabilità di tutti e tutte. La catena delle responsabilità non si esaurisce tra quelli che costruiscono e depredano il territorio e quelli che li autorizzano a farlo, ma arriva a ciascuno di noi, "utilizzatori finali" di posteggi comodi comodi, di villette a schiera di vacanza con vista mare, di tutti noi che pensiamo di poter godere delle risorse (supposte infinite) della natura senza più l'onere di prendercene cura.

Se nelle stesse ore in cui si celebrano i funerali delle vittime di questo disastro (e in cui disastri gemelli avvengono in altri luoghi italiani) si possono udire dichiarazioni come quelle che io stessa ho sentito in TV, allora siamo condannati a seppellire ancora molte vite, siamo irrimediabilmente irresponsabili. Fiumi di fango e parole verranno rimossi, da angeli del fango i primi e da angeli delle distrazioni di massa i secondi e tutti torneremo di nuovo a ballare sul Titanic.

Ma c'è un'altra questione sulla quale voglio soffermarmi. Di nuovo parto da un fatto vissuto direttamente, una questione di dettaglio che però meglio di tante astrazioni aiuta a risalire alle cause culturali di tanto lutto che ci auto-infliggiamo.

Venerdì 4 novembre, intorno alle 14.00 ricevo un sms dalla mamma di un compagno di scuola di mia figlia: "Da scuola dicono di iniziare ad andare a prendere i bimbi".

Credo che se raccontassi questa cosa a un Giapponese, non mi crederebbe.

Allerta 2, le scuole sono incredibilmente aperte (cosa che non aiuta certo la percezione del rischio nei cittadini e nelle cittadine). La situazione meteo si complica. A questo punto i casi sono due: o una regia centrale omicida ha diramato presso i dirigenti scolastici la richiesta di far uscire bambini e bambine nel momento di rischio massimo, oppure con un'ignavia altrettanto omicida, le autorità preposte a governare l'emergenza hanno lasciato al "buon senso" dei dirigenti scolastici, la responsabilità di decidere sul da farsi (avevano gli elementi per farlo?). La decisione presa è di far uscire bambini e bambine. Prima di contestare il nocciolo di questa faccenda, voglio restare in questo senario e domandarmi: in che modo è stata gestita questa evacuazione? Chiamando i rappresentanti di classe e confidando su una catena di sms tra mamme! Eppure la scuola possiede forse anche il mio numero di scarpe. Possibile che si affidi a una catena di sms una comunicazione di tale portata?

Allora provo a dare una mia lettura. Intanto sulla nostra totale irresponsabilità e rimozione dei concetti di vulnerabilità e morte che ci fanno vivere oramai in una realtà virtuale e piena di disagio nella quale soffriamo senza capire il perché, incapaci di migliorare le cose.

Ma soprattutto voglio puntare il dito su un individualismo talmente spinto da far credere che un'emergenza possa essere gestita attraverso "l'auto-protezione" come dice (giustamente!) il Capo della Protezione Civile Gabrielli omettendo però un passaggio fondamentale per l'auto-protezione: l'educazione e l'allenamento delle persone a una corretta percezione del rischio e alle procedure di auto-protezione. Un training fondamentale che dovrebbe coinvolgere in maniera continuativa scuole, luoghi di lavoro, luoghi di vita pubblica come avviene per l'appunto in un paese come il Giappone dove il concetto di morte non è stato rimosso collettivamente e la gestione del rischio è una faccenda seria che coinvolge tutti e tutte.

Qui invece ci si limita a lanciare l'allarme e poi ognun per sé e Dio per tutti! I dirigenti lasciati soli e senza elementi, che chiamano le famiglie, ancor più ignare.

E indovinate un po' chi c'è alla fine di questo scarica barile? Le donne.

Donne che come sempre accorrono a tappare ogni buco, nella scuola (dove sono lavoratrici e madri), nel welfare "all'italiana", nella piccola impresa (non era una moglie quella morta in via Ferreggiano mentre sostituiva il marito malato per non chiudere l'edicola?)

Perché quando si dice "famiglie" in questo Paese ipocrita, si sta parlando di madri, sorelle, mogli, figlie, nonne, zie.

Quelle che sono morte in questo disastro antropologico.

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