Qualche giorno fa il Presidente Napolitano ha smentito le voci che lo
volevano dimissionario ed ha confermato che sarebbe rimasto al suo posto
fino alla scadenza del mandato. Adesso sappiamo perché. Aveva una
missione da compiere, un impegno assunto sul piano internazionale da
rispettare: salvare il soldato Romano.
E’ difficile trovare qualche altra spiegazione che possa giustificare
l’inusitata concessione della grazia ad un imputato condannato alla pena
di anni sette di reclusione, che, non solo non ha scontato neanche un
giorno di carcere, ma non ha mai manifestato alcun rammarico per il
reato di sequestro di persona da lui commesso in dispregio delle leggi
penali.
Sia ben chiaro: il potere di concedere la grazia è una prerogativa che
la Costituzione assegna al Presidente della Repubblica senza sottoporlo
ad alcun altro vincolo che non sia il suo prudente apprezzamento.
La concessione della grazia, anche se normalmente è ascrivibile a
motivazioni umanitarie o all’apprezzamento per il ravvedimento
dimostrato dal condannato, può essere anche dettata da una ragione di
Stato collegata ad esigenze di natura internazionale (per es. la
liberazione anticipata di coloro che sono stati condannati per
spionaggio per ristabilire buoni rapporti con il paese d’origine).
Quello che non è accettabile è che il potere di concedere la grazia
venga esercitato come estrema ratio, dopo aver cercato in tutti i modi
di sbarrare la strada al controllo di legalità esercitato in modo
indipendente dall’autorità giudiziaria, cioè l’esercizio della grazia
contro la giustizia.
Dal comunicato emesso dal Quirinale traspare in modo evidente
l’irritazione per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di un
alto ufficiale della NATO e si dà notizia di un inusitato D.P.R. con il
quale è stato modificato un decreto del 2 dicembre 1956, portante il
regolamento relativo all’applicazione dell’articolo VII della
Convenzione di Londra del 1951 che regola lo status delle Forze Armate
dei paesi membri della NATO. Questo decreto, in pratica, stabilisce che,
su richiesta degli americani, il Ministro della Giustizia può
rinunziare alla giurisdizione italiana “ in ogni stato e grado del procedimento fino al passaggio in giudicato della sentenza”.
In pratica, con questo decreto, la giurisdizione italiana sventola
bandiera bianca nei confronti dei reati comuni commessi dai militari
della NATO di stanza in Italia ed è singolare che un atto di così grave
rilevanza politica sia stato deliberato l’8 marzo 2013 dal Consiglio dei
Ministri di un Governo in carica per l’ordinaria amministrazione.
Il comunicato del Quirinale lascia intendere che, se questo
provvidenziale decreto fosse stato approvato prima, il Governo italiano
avrebbe certamente rinunciato alla giurisdizione italiana e salvato il
soldato Romano dalle grinfie della magistratura italiana. Del resto
l’insofferenza del Governo italiano, che ha cercato in tutti i modi di
sbarrare la strada all’autorità giudiziaria per i procedimenti penali
avviati a seguito del sequestro di Abu Omar, è
certificata da ben sei conflitti di attribuzione sollevati nei confronti
di autorità giudiziarie varie, da ultimo contro la Cassazione,
alimentati dall’uso strumentale del segreto di Stato, apposto persino
sulla confessioni di alcuni imputati.
Ora di questa insofferenza si dà anche una spiegazione teorica
nell’ultimo rigo del comunicato del Quirinale: “Negli ambienti della
Presidenza si osserva che la decisione è ispirata allo stesso principio
che l’Italia, sul piano della giurisdizione, cerca di far valere per i
due marò in India”.
Adesso sappiamo che, se il Governo italiano sconfessa la giurisdizione,
lo fa per rivendicare un principio, quello dell’immunità degli agenti
organi di uno Stato che commettano crimini nel territorio di un altro
Stato. Insomma l’orizzonte dello Stato di diritto si deve restringere e
cedere il passo alle convenienze della politica internazionale.
Forse a queste fini menti giuridiche sfugge che lo Statuto della Corte
penale internazionale, all’art. 7, include fra i crimini contro
l’umanità la “sparizione forzata di persone” ed esclude che i
responsabili possano invocare qualsiasi forma di immunità.
In definitiva la grazia al colonnello Romano è stata usata come un
grimaldello per aprire un’altra breccia nello Stato di diritto: non
possiamo che esserne fieri.
La grazia al colonnello Romano è stata usata come un grimaldello per aprire un’altra breccia nello Stato di diritto