Se questo è il biglietto da visita per la campagna elettorale, è
probabile che Berlusconi farà di tutto per evitarla. Magro il
bottino di due anni di Governo sul piano della politica economica,
nonostante la grandissima forza parlamentare di cui ha potuto
contare quella che era fino a pochi giorni fa la maggioranza uscita
vittoriosa dal voto del maggio 2008. Come direbbe l'attuale
allenatore del Real Madrid, ci sono nel libretto "molti tituli, ma
sero riforme".
Non a caso la parte sulle "grandi riforme" viene pudicamente
relegata alla fine. Ne elenca tre: scuola, università e pubblica
amministrazione.
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libretto integrale
La cosiddetta riforma della scuola è sin qui
consistita solamente in tagli al personale, con la reintroduzione
del maestro prevalente nella scuola primaria, la riduzione
dell'orario d'insegnamento nella scuola secondaria (sia di primo
che di secondo grado), la riduzione degli indirizzi nella scuola
secondaria di secondo grado e la richiesta di compartecipazione
delle famiglie alla spesa. Il tutto esclusivamente nella scuola
pubblica, dato che il finanziamento alle scuole private "paritarie"
non è stato ridotto. Per chiamarla riforma ci vuole tanto
coraggio. Simile la strategia seguita nei confronti
dell'università, perseguita con la riduzione del
fondo di finanziamento ordinario. Il disegno di legge che entro
fine anno dovrebbe andare alla Camera porterà, se non viene
ulteriormente diluito nei suoi aspetti innovativi, a qualche
cambiamento nella governance delle università, e non prima della
fine legislatura, dato che si basa sull'esercizio di deleghe.
Insomma è, al massimo, una scommessa di riforma, su aspetti
relativamente marginali, che non intaccano davvero la ricerca e la
didattica.
Quella della pubblica amministrazione è forse
l'unica riforma avviata da questo Governo, ma è stata cancellata
ancor prima di entrare in vigore dalla manovra appena varata che ha
posto tetti alla crescita delle retribuzioni nel pubblico impiego
in modo del tutto indiscriminato, in barba ai premi al merito
introdotti dalla riforma Brunetta. Nel frattempo la riforma ha
perso per strada le norme sulla trasparenza della dirigenza
pubblica (davvero importanti anche alla luce degli scandali nella
gestione della Protezione Civile), si è esclusa dall'applicazione
della riforma la presidenza del Consiglio dei ministri segnale
evidente del fatto che nessuno ci crede in questa riforma e si è
di molto depotenziata la class action contro le pubbliche
amministrazioni e i concessionari pubblici.
C'è molto editing da fare nel documento. Molte le ripetizioni e
non poche le contraddizioni. A p.5 si rimarca come si sia dovuto
intervenire per ridurre i compensi dei dirigenti pubblici e dei
magistrati, ma a p.7 si rivendica il fatto di non avere tagliato
gli stipendi a nessuno. Forse gli autori di queste schede non si
sono parlati. La verità è che gli unici compensi ad essere
tagliati in modo significativo sono quelli dei ricercatori
universitari che, con il blocco degli scatti di anzianità, si
vedono ridurre le loro retribuzioni fino al 15 per cento. Il vero
risultato che questo governo può esibire sul piano della politica
economica è quello di aver contenuto il peggioramento dei conti
pubblici durante la crisi.
Lo ha fatto adottando la strategia dell'immobilismo. Scegliendo di
non scegliere si è evitato di cedere alle richieste di sostegno
che venivano un po' da tutte le parti, ma si è anche sbarrata la
strada a misure anticicliche, che avrebbero reso la recessione meno
pesante, contenendo il calo del reddito pro capite degli italiani.
Nonostante i trionfali titoli di testa dei TG1 della scorsa
settimana, la produzione industriale è tuttora del 20 per cento al
di sotto dei livelli pre-crisi, il prodotto interno lordo + del 6
per cento più basso. Non solo il calo è stato più forte pur non
avendo vissuto lo scoppio di una bolla finanziaria o il fallimento
di una grande banca, ma anche la ripresa è più lenta che altrove.
In effetti il Governo ha preferito accettare un maggior impatto
della crisi pur di evitare un aggravamento dei conti pubblici in un
paese già fortemente indebitato.
Alla luce di quanto accaduto in Grecia, non si possono non vedere i
lati positivi di questa scelta. Ma forse non è un risultato che
paga sul piano elettorale. Soprattutto perché non è facile
presentarlo come frutto di lungimiranza nell'azione di Governo.
Ricordiamoci che siamo passati dalle "fiscal suasion" sui banchieri
di inizio legislatura, con tanto di minaccia di tasse sui loro
extraprofitti, agli aiuti concessi agli istituti di credito con il
primo decreto anticrisi e ai Tremonti bond. Per non parlare della
Robin tax, una tassa che doveva togliere ai ricchi petrolieri per
dare ai poveri, sostituita, una volta che il prezzo del greggio era
crollato, da misure e trattati a sostegno dei produttori di
petrolio. Non sorprende perciò il fatto che siano altri i meriti
presunti dell'azione di governo rivendicati a più riprese dal
libretto.
Vediamone i principali.
"NON ABBIAMO AUMENTATO LE TASSE"
Ci mancava altro. In un periodo di crisi tutti i Governi si
sforzano di abbassare le tasse o aumentare le spese per contenere
la caduta del reddito. Il Governo ha comunque contravvenuto non
solo alla promessa fatta in campagna elettorale di ridurre le
tasse, ma anche a quella di non introdurre nuovi balzelli, mettendo
in mostra notevole creatività nell'introdurre una serie di nuovi
prelievi. Dalla Robin tax alla "porno tax", alle tasse sui giochi ,
fino alla nuova tassa piatta, cedolare secca, sugli affitti. Bene
rimarcare che tutto è avvenuto all'insegna della redistribuzione
dai poveri ai ricchi, dai cittadini ai partiti. Le entrate della
Robin tax sono andate a finanziare gli organi di partito. La
cedolare secca sugli affitti, l'ultima arrivata, sostituirà una
tassa progressiva (che tassa proporzionalmente di più chi ha
redditi più alti) con una aliquota costante, uguale a tutti i
livelli di reddito. L'ICI sulla prima casa abolita a inizio
legislatura era quella che gravava sulle famiglie con immobili di
maggiore valore. Insomma, un trasferimento dai ceti medi ai più
ricchi. Un Robin Hood che opera scrupolosamente al contrario.
"IL PESO DELLO STATO SI E' RIDOTTO"
Non si direbbe a giudicare dall'andamento della pressione fiscale,
cresciuta dal 42,9 del 2008 al 43,2 per cento del 2009, come
certifica l'ultima Relazione Unificata dell'Economia e Finanza
Pubblica. Consapevole di questo fatto, il Ministro Tremonti in una
recente intervista sul Sole24ore ha sostenuto che la pressione
fiscale è aumentata perché è diminuito il pil. In realtà anche
le entrate calano insieme al prodotto in un rapporto pressoché di
uno a uno, quindi la pressione fiscale (il rapporto fra entrate
fiscali e prodotto interno lordo) sarebbe dovuta rimanere almeno
invariata. E un terzo della manovra appena varata consiste in
incrementi delle entrate, anziché riduzioni della spesa pubblica.
Ma il peso dello Stato non si è ridotto soprattutto perché la
spesa pubblica in rapporto al reddito generato ha continuato a
crescere. 34 miliardi in più nel 2009. Vero che la manovra appena
varata contempla riduzioni di spesa. Ma saranno soprattutto a
carico degli enti locali che hanno ampiamente mostrato in questi
anni di ignorare i vincoli posti dal Governo. Le sanzioni per gli
sforamenti sono troppo blande. I commissari delle Regioni che non
rispettano i vincoli sono gli stessi Governatori in carica. Come
dire che non c'è sanzione politica. Nel frattempo il debito degli
enti locali continua a salire. Quello dei Comuni e delle Province
ha raggiunto la cifra record di 62 miliardi, più di mille euro a
cittadino. Nessuna traccia della riduzione del numero delle
Province. E i tagli alla politica, tanto sbandierati sui media, si
sono rivelati ben misera cosa. Tagli del 3,5 per cento agli
stipendi dei parlamentari. Porteranno a circa 10 milioni di
risparmi su di una manovra di quasi 25 miliardi. SI E'
"SI E' CONTRASTATA L'EVASIONE FISCALE"
Anche su questo terreno ci sono state virate a 180 gradi
nell'azione di governo. Utili i ravvedimenti, meglio ancora se
onerosi, vale a dire accompagnati da una autocritica. Purtroppo
l'autocritica in questo caso non c'è stata. Peccato perché
avrebbe dato un segnale di rottura col passato. E non è facile per
un Governo che in questa legislatura ha varato l'ennesimo condono,
lo scudo fiscale, guadagnarsi credibilità nel contrasto
all'evasione se non da un forte segnale di svolta. L'inizio della
legislatura è stato caratterizzato da un'operazione di sistematico
smantellamento, presentato come "semplificazione", di un insieme di
strumenti, che potevano permettere all'amministrazione finanziaria
di ottenere, per via telematica, informazioni utili ai fini del
contrasto all'evasione. È stato, ad esempio, soppresso
l'obbligo di allegare alla dichiarazione Iva gli elenchi
clienti/fornitori, sono state abolite le limitazioni nell'uso di
contanti e di assegni, la tracciabilità dei pagamenti, la tenuta
da parte dei professionisti di conti correnti dedicati ed è stato
soppresso l'obbligo di comunicazione preventiva per compensare
crediti di imposta superiori ai 10mila euro. Salvo poi ritornare
sui propri passi. La manovra appena varata ha, infatti,
ripristinato la tracciabilità, anche se solo per transazioni
superiori ai 3.000 euro. Il problema è che il Governo ha abbassato
pericolosamente la guardia riducendo i controlli contro l'evasione
fiscale e contributiva. Un esempio? Durante la passata legislatura
gli Ispettorati del Lavoro erano stati potenziati, con l'assunzione
di quasi 1500 ispettori. Tuttavia nel 2009 il numero di controlli
sui posti di lavoro si è ridotto del 7%, come ammesso dal Ministro
Sacconi nella sua audizione alla Camera il 29 aprile scorso. Il
risultato è che nel 2009 il lavoro irregolare, quello che non paga
tasse e contributi sociali, è ulteriormente aumentato secondo
l'Istat, sorprendentemente anche nell'industria dove era fortemente
calato negli anni precedenti. Non ingannino i dati sull'attività
ispettiva diramati dall'Agenzia delle Entrate. Se aumentano le
somme oggetto di accertamenti a fronte di minori controlli, ciò
significa che l'evasione media è aumentata. Un risultato di cui
c'è poco da essere orgogliosi.
Il Governo non ha varato la riforma degli ammortizzatori sociali, lasciando decadere la delega ereditata dalla legislatura precedente. Questa riforma avrebbe permesso di contenere la povertà che, durante le recessioni, aumenta soprattutto tra chi perde il lavoro. Il Governo ha, invece, proceduto con una serie di interventi frammentari, temporanei e per lo più propagandistici. I titoli di testa dei TG sono andati alla carta acquisti passata alla storia come "social card" forse perché doveva essere erogata da Robin Hood che, come si è visto, ha invece preferito finanziare gli organi di partito. La social card sembrava essere concepita in modo tale da escludere i maggiormente bisognosi. I destinatari potevano essere solo famiglie povere con almeno un bambino con meno di tre anni oppure con capofamiglia con più 65 anni. Inutile sottolineare che le persone maggiormente bisognose di aiuto spesso non soddisfano questi requisiti. Ad esempio nessuna delle persone senza fissa dimora, censite a Milano nel gennaio 2008, aveva figli così piccoli o più di 65 anni (difficilmente i senza casa sopravvivono così a lungo). Che fosse solo un'operazione propagandistica lo si capisce dallo stesso libretto, se lo si legge con cura. Recita testualmente "dal febbraio 2010 gli enti locali possono partecipare al finanziamento". Significa che la social card è stata posta a carico dei Comuni. Peccato che i poveri siano concentrati nelle aree del Paese in cui i Comuni hanno meno risorse a disposizione e che la manovra appena varata abbia ridotto di due miliardi e mezzo i fondi dei Comuni. Come ammette lo stesso documento sono solo due (su più di 8000) i Comuni che hanno fruito di questa "opportunità": Alessandria e Cassola
"A FIANCO DELLA FAMIGLIA"
A parte gli interventi estemporanei, una tantum, social card, bonus famiglia e prestito per i nuovi nati, il Governo ha di fatto varato una serie di misure che hanno reso più difficile la conciliazione fra lavoro e responsabilità famigliari, dunque la partecipazione femminile. I tagli all'organico del corpo docente della scuola secondaria, prevalentemente femminile, e l'introduzione del maestro prevalente, hanno reso più difficile il mantenimento dell'orario a tempo pieno. Anche la detassazione degli straordinari, misura anacronistica in tempo di crisi e per fortuna abbandonata a fine 2008, non favoriva certo le donne con figli piccoli, giovani e anziani, spingendo semmai i loro mariti a lavorare più lungo.
"RIPARTE L'EDILIZIA, RIPARTE L'ECONOMIA"
Dal giugno 2008 il governo ha annunciato ben quattro iniziative nel settore dell'edilizia residenziale, tutte etichettate come piani casa, anche se la loro finalità non è l'aumento dell'offerta di alloggi per le famiglie più deboli, l'obiettivo dei piani del passato. Sin qui non è stata ancora posata la prima pietra per la costruzione di una qualche nuova casa. Nessun intervento anche sull'edilizia scolastica. Non c'è stata sin qui neanche l'anagrafe promessa a più riprese. Forse perché i primi dati erano davvero allarmanti. A quanto risulta, dei 43 mila edifici scolastici esistenti,solo un terzo è stato costruito negli ultimi trenta anni! Più di mille sono stati costruiti prima dell'Ottocento e più di tremila tra il 1800 e il 1920. Di quasi 7mila edifici non si sa neanche la data di costruzione. Dopo il 1990 solo il 22% delle strutture è stato ristrutturato. I numeri di queste anticipazioni sono semplicemente inaccettabili. Non si può morire schiacciati dal cedimento di un soffitto in un'aula di lezione come a Rivoli e come ieri poteva capitare in una scuola materna a Verona.
"ABBIAMO DIFESO I LAVORATORI"
Il Governo ha esteso il grado di copertura della Cassa Integrazione Guadagni con interventi "in deroga", decisi discrezionalmente dalla politica. Queste estensioni sono servite nell'emergenza a contenere l'emorragia di posti di lavoro, inducendo le imprese a ridurre gli orari anzichà tagliari gli organici. Bene. Ma sono state introdotte ulteriori asimmetrie di trattamento fra lavoratori di imprese diverse. E questi interventi d'emergenza ci lasciano in eredità uno strumento, la Cassa in deroga, che sarà molto difficile ridimensionare dopo la crisi. In effetti le ore di Cassa in deroga continuano ad aumentare. Gli interventi in deroga hanno ormai superato in dimensione gli interventi ordinari. Un paradosso che la dice lunga sul navigare a vista con cui si è gestita la politica del lavoro. Il fatto è che i datori di lavoro sono del tutto deresponsabilizzati dagli interventi in deroga; non pagano nulla per fruirne. Sta diventando una specie di sussidio per le imprese che hanno maggiori agganci con la politica. I lavoratori maggiormente colpiti dalla crisi sono stati, comunque, i lavoratori precari che in genere non hanno accesso né alla Cassa Integrazione né ai sussidi ordinari di disoccupazione. Tra quel milione di posti di lavoro distrutti dall'inizio della crisi, nove su dieci sono lavoratori precari, con contratti a tempo determinato, collaborazioni a progetto o impieghi saltuari nella giungla del parasubordinato. Quasi un lavoratore temporaneo su sei ha perso il lavoro. Il Governo non ha fatto nulla per affrontare il nodo del dualismo del nostro mercato del lavoro. Nel Libro bianco del maggio 2009 aveva annunciato uno Statuto dei Lavori, poi rinviato a "dopo le elezioni regionali", e infine differito "alla fine del 2010". Speriamo ora non venga rimandato a dopo le elezioni politiche.
"VOLA LA NUOVA ALITALIA"
Era stata la grande protagonista della campagna elettorale del 2008. E il libretto ora rivendica la scelta di Berlusconi di opporsi alla "svendita" di Alitalia ad Air-France Klm in nome dell'italianità. Ma la soluzione adottata una volta al governo, è molto peggiore di quella ostacolata due anni fa: il contribuente si è dovuto accollare circa 3 miliardi di debiti che sarebbero stati rilevati da Af-Klm. E dal punto di vista dei viaggiatori, la fusione tra Alitalia e Airone ha creato situazioni di monopolio su molte rotte interne, inclusa quella strategica tra Linate e Fiumicino. Tant'è che, per consentire il completamento dell'operazione, il governo ha sospeso i poteri dell'Antitrust nel valutare l'operazione.
"PIU' LIBERTA'"
Il quesito ovvio è: per chi? Forse c'è stata più libertà per i monopolisti. Il Governo ha infatti perseguito una sapiente strategia per depotenziare le autorità di regolamentazione dei mercati. Il gioco delle nomine serve in un colpo solo a impedire un rinnovo di peso alla Consob dopo la gestione Cardia (che aveva difeso le società quotate da potenziali scalate) e a delegittimare l'Antitrust. Non stupisce perciò che sul piano delle liberalizzazioni questa legislatura sia avvenuta sin qui all'insegna della restaurazione delle restrizioni alla concorrenza negli ordini professionali dopo le "lenzuolate" di Bersani. L'esempio più lampante è quello della riforma dell'avvocatura che reintroduce le tariffe minime, "inderogabili e vincolanti". Vengono vietati accordi fra cliente e avvocato che prevedano il pagamento di una parcella solo nel caso che la causa sia vinta (contingency fees), la pubblicità che permette a giovani avvocati di competere sul prezzo con chi è già ben avviato viene fortemente limitata. Viene ampliata la riserva di attività degli avvocati nel campo della consulenza legale e nelle procedure arbitrali. L'esame di abilitazione diviene più oneroso, così come le condizioni di praticantato, senza riconoscere ai praticanti nessun diritto di compenso. Si ribadisce il divieto di esercitare l'attività organizzandosi in società di capitali. Nelle intenzioni del ministro della Giustizia Alfano, questo approccio sarà applicato a tutte le categorie di professionisti entro la fine della legislatura. C'è di che rabbrividire.
"PIU' SVILUPPO, PIU' FORZA ALLE IMPRESE"
L'abolizione di fatto del Ministero dello Sviluppo Economico, tuttora vacante e progressivamente spogliato delle sue competenze, è l'emblema dell'assenza di una politica per lo sviluppo. Un Governo coi numeri di cui disponeva doveva varare già prima dello scoppio della crisi, un piano di riforme per facilitare la ristrutturazione delle imprese, alleggerirle del peso della burocrazia, incoraggiarne la creazione, migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, dotandolo di istituti propri per facilitare la riallocazione dei lavoratori e quindi la stessa ristrutturazione delle imprese. Si sarebbe trattato di misure spesso dal costo nullo per l'erario, ma con effetti rilevanti sui tassi di crescita di medio periodo. Niente di tutto ciò. Nel libretto c'è un lungo elenco di microincentivi introdotti allo scopo di prendere tempo, di mostrare di non stare con le mani in mano, piuttosto che sostenere l'economia. Molti di questi interventi erano sotto finanziati, dunque prevedevano meccanismi di razionamento di tipo sovietico per le imprese che avessero fatta domanda. L'esempio più classico è quello dei click day: I fondi venivano concessi ai primi in grado, nella data fatidica, di essere connessi a internet e di cliccare. Forse ha premiato gli insonni, oppure le lobby di internauti, gruppi organizzati nell'occupare lo spazio virtuale. Ma anche se fosse stato un metodo di razionamento del tutto casuale, in cui tutti a priori hanno la stessa probabilità di ricevere l'aiuto, sarebbe stato altamente inefficiente. Meglio dare a chi ha maggiore bisogno con meccanismi di razionamento tipo aste o beauty context. Ancora meglio finanziare in modo adeguato pochi interventi ritenuti prioritari senza ricorrere al razionamento. Il fatto è che le imprese, per investire, hanno bisogno di certezze. I click day servono solo per aumentare l'incertezza. Ma per definire delle priorità bisogna saper fare delle scelte di politica economica. Di questo il Governo è stato sin qui incapace. Il suo merito e insieme demerito è quello di non aver operato alcuna scelta. Certo, ci ha evitato gravi errori. Basterà per convincere gli italiani che avevano giustamente punito il governo Prodi per il suo immobilismo? Alle urne l'ardua sentenza.