Uomini sul tetto

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 10/03/2010
Ormai ci sono più operai cassintegrati sui tetti delle fabbriche chiuse, che dentro a lavorare. All’Asinara gli operai si chiudono per protesta nel carcere dismesso. La disperazione sale in tutto il paese ma nessuno ne parla, perché ormai su tutto prevale l’interesse per i problemi del cavaliere. Forse è arrivato il momento che il movimentismo trovi uno sbocco organizzativo meno effimero.

L’elenco è lunghissimo e sembra un bollettino di guerra: operai che finiscono in cassa integrazione o vengono licenziati; fabbriche che chiudono e si trasferiscono all’estero, dove la manodopera costa meno; sindacati deboli, indifferenti, lontani. Gente alla fame, lavoratori allo sbando: nessuno che li ascolti, nessuno che li difenda e allora questi operai senza lavoro, disperati, nell’impossibilità di provvedere alla propria famiglia, salgono sui tetti delle fabbriche, sulle torri degli impianti, si incatenano ai cancelli delle fabbriche e gridano da lì tutta la loro angoscia. A Belluno,Termini Imerese, Pomigliano d’Arco, Ortona, Lesmo, Meseno, Anagni, Magenta, Crotone, Porto Torres, Porto Vesme, Acerra, etc. operai di tutte le regioni italiane, di tutti i settori: dal chimico al metalmeccanico, sono saliti e continuano a salire sui tetti delle fabbriche per manifestare così la propria rabbiosa impotenza contro un potere cinico e disinteressato alla loro sorte.

Qui in Sardegna gli operai della Vinyls di Porto Torres, che erano asserragliati da giorni sulla Torre Aragonese, visto che nessuno dava loro retta, hanno attraversato un breve braccio di mare e sono sbarcati sull’Isola dell’Asinara, dove un tempo c’era un carcere di massima sicurezza e per protesta ci si sono barricati dentro. Fa freddo fra quelle mura abbandonate, ma ora gli operai della Vinyls – ignorati dal loro sindacato nazionale – non sono più soli: più di 24mila persone hanno fondato un gruppo di supporto su Facebook, ma soprattutto ci hanno pensato gli operai della Alcoa di Porto Vesme, nel sud dell’Isola, a far loro compagnia. Hanno preso due pullman e sono saliti su al nord, hanno affrontato lo stretto di mare in piena bufera per andare a consolare quei fratelli disperati, chiusi all’Asinara. Gente che non si era mai vista prima si abbracciava con le lacrime agli occhi, si incoraggiava a vicenda, si sentiva solidale.

Subito si è voluta minimizzare la protesta chiamando la resistenza all’Asinara “L’Isola dei cassintegrati”, come fosse un reality, una stupida e fasulla trasmissione televisiva. Così la gente –già imbesuita da tutto il trash televisivo – potrà dimenticare rapidamente la tragedia vera che c’è dietro e nella banalità potrà annegare egoisticamente qualsiasi sentimento di solidarietà.

Del resto ha già scordato che un tempo la solidarietà era la normalità. Quando esisteva la sinistra, quando esisteva il sindacato, quando c’erano i compagni, quando nessuno era schiavo dei padroni. Siamo tornati indietro di 70 anni e ora si vede bene il danno che hanno fatto a noi, al paese, i partiti cosiddetti di sinistra, in mano a gente senza valori, senza passioni, senza radici, senza cervello. Ora lo scempio che hanno fatto è sotto gli occhi di tutti e i più deboli lo stanno pagando sulla propria pelle.

Ma li avete mai sentiti parlare di problemi concreti? No. Eppure non c’è settore del mondo del lavoro che non sia in crisi: dalla scuola, alla ricerca, al commercio, alle fabbriche. I negozi chiudono, le fabbriche chiudono, la gente è senza lavoro, affogata di debiti, mentre si susseguono calamità naturali affidate a persone che ci speculano sopra. Un disastro, una catastrofe continua. Ma i partiti della sinistra, come cani istupiditi, inseguono il rametto di gossip che butta loro Berlusconi per distrarli dai problemi economici del paese, ben altrimenti seri, reali. Quelli cioè che potrebbero seriamente coagulare il dissenso e convogliarlo verso una protesta non episodica o isolata, ma organizzata e corale. E loro ottusamente lo assecondano e, ormai immemori del proprio ruolo, seguono come galline ubriache la riga che lui gli ha segnato per terra.

Non possiamo aspettarci dunque nessun supporto: nessuno ci aiuterà, a meno che non lo facciamo noi stessi. A meno che non ci “riuniamo a coorte”, a meno che non creiamo una rete permanente dei movimenti su tutto il territorio nazionale, per coordinare iniziative, per chiedere referendum, per proporre leggi popolari, per difendere gli operai in difficoltà, per fare fronte comune contro la repressione, la falsa informazione, l’illegalità, la corruzione, il sopruso.

Dobbiamo cioè ricreare una sinistra nuova, svelta, forte, determinata e slegata dalle vecchie ammuffite e corrotte strutture di partito in mano alla casta, ormai divenute solo sodalizi di potere. C’è già una rete su internet, ma è troppo evanescente e non basta: riuniamoci invece in un congresso nazionale e fondiamola anche su un piano organizzativo concreto una struttura leggera, libera, che lasci a ogni singolo movimento la sua autonomia e specificità, come gli stati indipendenti di una grande confederazione. Ne parliamo ormai da anni e abbiamo fatto lo sbaglio di non arrivare mai a fondarla davvero. Ora siamo alla frutta e vale la pena tentare: in ballo c’è troppo. Non basta più infatti scendere in piazza o salire su un tetto: bisogna che coordiniamo gli sforzi, fondando un nuovo movimento progressista, senza strutture di potere, ma incardinato in solidi principi e in concreti obiettivi comuni e capace di mobilitare il maggior numero di persone nel minor tempo possibile su tutto il territorio nazionale. Proviamo a darci un appuntamento per il 2 giugno: è la festa della Repubblica e della Costituzione, una data significativa, che ci è cara e che sicuramente ci porterebbe fortuna.

 

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