4 MARZO : CHE FARE?

di Pancho Pardi - 27/02/2018

La nuova legge elettorale imposta con otto voti di fiducia, che hanno impedito la discussione parlamentare, è già un argomento formidabile a favore del non voto oppure a favore di un voto che punisca chi l'ha voluta a tutti i costi. Non manca un risvolto ironico: è stata progettata dai suoi autori per produrre la loro vittoria ma forse alla fine potrebbe avere l'effetto opposto, oppure generare l'impossibilità di una maggioranza qualsiasi. Ciò a sua volta potrebbe rendere necessario il ritorno a nuove elezioni, con la stessa legge o con una diversa.

Comunque sia, per quanto la legge elettorale sia indecente, è con questa che siamo costretti a votare.

Allora, che fare? Forse mai come in occasione del voto del 4 marzo tanti cittadini sono afflitti dall'incertezza.

Un ragionamento classico spinge sempre a votare. Si deve votare perché è un diritto e un dovere costituzionale, conquistato a caro prezzo e con una dura lotta. Anche se la legge elettorale è indegna rinunciare al voto è autolesionismo.

Ma un atteggiamento pubblico sempre più diffuso risponde: se non vedo alcun partito che corrisponda alla mia volontà perché dovrei votare?

La replica canonica è: se non hai nessuno che ti piace vota per il meno peggio. È un ripiego: in democrazia se non puoi votare "per", può essere utile e anche dignitoso votare "contro".

Dal lato opposto si ribatte: facile in un sistema bipolare, ma se il sistema è tripolare e con tre poli che non sono del tutto distinti e opposti tra loro, ma addirittura su vari temi hanno posizioni simili o uguali, come faccio a votare "contro"?

La risposta ci fa tornare da capo: vota comunque per il meno peggio.

C'è un secondo argomento che chiama in causa non diritti e doveri ma ragioni di opportunità. Se non voti lasci ad altri la possibilità di decidere contro il tuo punto di vista. E, se non ti occupi di politica, la politica degli altri si occuperà comunque di te. Quindi vota.

Il cittadino convinto a votare il meno peggio si trova in concreto di fronte a nuove incertezze. In una vasta gamma di varianti seleziono qui solo il caso che mi sta più a cuore: il dilemma di un elettore storico del centrosinistra. Non potendo votare "per" potrebbe ripiegare su un voto "contro" Berlusconi e il centrodestra.

Ma come può votare "contro"? Non può votare il PD di Renzi per molti motivi: ha barato sul lavoro, ha rovinato la scuola, ha tentato una pessima riforma costituzionale e ci impone ora di votare con una indecente legge elettorale. E può avere serie obiezioni a votare Cinque Stelle perché al di sopra della democrazia di rete si è dato una struttura apertamente presidenziale. Potrebbe votare partiti minori dell'area di centrosinistra, ma non è certo che il partito votato possa superare la soglia di sbarramento.

La difficoltà del voto "contro" è poi ingigantita dalla prospettiva delle larghe intese nell'eventualità assai realistica che nessun partito prevalga in modo netto. Il nostro immaginario elettore rischia di votare un partito che dopo il voto accetta di farne parte.

Un mio carissimo amico di sinistra ha concluso un lungo ragionamento a favore della partecipazione al voto con una battuta che rispecchia in profondità una diffusa condizione: insomma cari cittadini è necessario e utile che andiate tutti a votare; fatelo voi anche per me, perché io questa volta proprio non ce la faccio!

Da parte mia accolgo il suo invito: andrò a votare ma lo farò controvoglia e con scarsa speranza.
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