Dialogo sulle controriforme di Renzi

di Pancho Pardi- Micromega in edicola - 18/12/2015
Un dialogo fra la combattiva Marfisa e lo scettico Aquilante illustra il legame perverso che unisce la riforma del Senato del governo Renzi all’Italicum: una legge ordinaria, quella elettorale, che ne preordina una costituzionale. All’origine di entrambi i provvedimenti, un parlamento eletto col Porcellum, ovvero con una legge che la Consulta ha giudicato incostituzionale.

Aquilante: Non riesco a trovare interesse per la questione sulla riforma del Senato. Dopo decenni in cui anche la sinistra, in prima fila Ingrao, era favorevole al superamento del bicameralismo, come si fa a essere contrari alla riforma del Senato? In fondo elimina il doppione delle due Camere elettive e riduce i costi della politica. O no?

Marfisa: Se davvero volevano eliminare il doppione, abolire del tutto il Senato sarebbe stata la soluzione più limpida e il risparmio sarebbe stato maggiore. Invece hanno preferito inventare un Senato composto da consiglieri regionali e sindaci, dotato allo stesso tempo di scarsa legittimità e troppi poteri. Quanto alla riduzione dei costi della politica, se volevano fare sul serio – ridotti i senatori a meno di un terzo – potevano anche dimezzare il numero dei deputati, ma si sono ben guardati dal farlo. Le ragioni appariranno chiare tra poco.

Aquilante: Perché scarsa legittimità e troppi poteri?

Marfisa: La prima deriva dal fatto che il nuovo Senato non esce da un’elezione diretta da parte dei cittadini. Sarà formato da 74 consiglieri regionali eletti nei e dai consigli regionali «in conformità» all’indicazione data dai cittadini. Ma solo una legge ordinaria – che oggi non c’è e che dovrà essere approvata entro sei mesi, e vedremo se sarà così – stabilirà come i cittadini indicheranno e i consiglieri regionali si uniformeranno. Nessuna indicazione potranno dare per i 21 sindaci, che saranno invece scelti dai loro colleghi.

Aquilante: Non ci sono anche 5 senatori nominati dal Capo dello Stato?

Marfisa: Sì e non saranno più a vita ma dureranno un settennato: c’è chi ha parlato del partitino del Presidente. Ma insomma, come vedi, il nuovo Senato non è una Camera elettiva. E qui si arriva ai troppi poteri. Infatti, secondo logica costituzionale, solo una Camera elettiva può avere potere legislativo e può votare o negare la fiducia al governo. Invece il nuovo Senato è una Camera non elettiva – e quindi non può esprimere fiducia al governo – ma dispone di svariati, e anche piuttosto fumosi, poteri legislativi.

Aquilante: Quali?

Marfisa: In merito alla rappresentanza delle istituzioni territoriali (regioni, comuni), ai rapporti tra Stato e regioni, tra regioni ed Europa. Ma dispone anche di poteri più incisivi, per esempio interviene sulle future modifiche costituzionali ed elegge membri della Corte costituzionale. Questi due poteri sono una vera aberrazione: perché mai consiglieri regionali e sindaci, messi lì a rappresentare i territori, dovrebbero poter modificare la Costituzione e nominare membri della Consulta?

Aquilante: Possiamo mettere da parte per un momento questo aspetto? Resta il fatto che tu non approvi il tentativo di costruire un Senato delle regioni o, se preferisci, una Camera delle autonomie. Bene o male, il nuovo Senato non sarà più un doppione della Camera dei deputati ma dovrà occuparsi dei temi più circoscritti ma importantissimi dei territori. Lo neghi?

Marfisa: In realtà è proprio a questo proposito che le competenze del nuovo Senato sono assai dubbie. Per un motivo stringente. Nel testo approvato c’è una plateale contraddizione. Nello stesso articolo 31 – che modifica l’articolo 117 della Costituzione – alle regioni si attribuisce la competenza sulla pianificazione del territorio, e qui siamo nella logica delle autonomie, ma, attenzione, si consegna al governo centrale il governo del territorio. Ora, se le regioni vengono private del governo del territorio quale ruolo di sintesi potrà mai avere il Senato delle regioni su questo argomento essenziale?

Si è creato un assurdo: la cosiddetta Camera delle autonomie potrà influire sulle modifiche costituzionali (poco, potrai dire, perché i suoi numeri contano poco: 100 senatori a fronte di 630 deputati) ma non può esprimersi sul terreno più delicato delle autonomie. Aggiungi poi che con la clausola di supremazia statale il governo può, quando vuole, legiferare anche in materia di competenza esclusiva delle regioni.

Aquilante: Ma, alla resa dei conti, a questo tentativo imperfetto di aggiornamento delle istituzioni tu preferisci il vecchio Senato e la ripetitività dell’azione legislativa. Non è questo un attardarsi nel passato? E perché altri non hanno proposto un modello migliore?

Marfisa: Il modello migliore c’era e già sperimentato: il Bundesrat tedesco. Ma i fautori della riforma, chissà perché, non l’hanno mai preso in considerazione.

Aquilante: E com’è il Bundesrat? E cosa lo differenzia dal nuovo Senato italiano?

Marfisa: Questo è composto da rappresentanti dei partiti scelti nelle regioni e nei comuni. Quello è composto da rappresentanti dei governi regionali. Hanno in comune l’elezione indiretta ma la loro differenza è profonda: il membro del nuovo Senato parla a nome del partito che lo ha scelto in regione o nel comune, il membro del Bundesrat parla per il governo della sua regione. Perciò il Bundesrat è l’autentica Camera delle regioni.

Aquilante: Ma i governi regionali tedeschi non sono anch’essi alla fine il prodotto dei partiti?

Marfisa: Sì, ma la composizione delle forze politiche presenti sulla scena (conflitto, dialogo, accordo) si realizza nell’assemblea regionale e, una volta formati, i governi regionali si confrontano tra loro nel Bundesrat nazionale, mentre nel caso italiano chi si confronta nel nuovo Senato sono ancora direttamente le rappresentanze di partito, prodotte a livello regionale e comunale.

Aquilante: A parte il Bundesrat, torniamo alla prima domanda: tu, e chi è d’accordo con te, non vi attardate nella conservazione del passato?

Marfisa: Non ne abbiamo alcuna intenzione. Non vogliamo conservare il Senato così com’è. Ma non si può illudere gli italiani che questa sedicente riforma realizzi, come viene raccontato, maggiore efficienza delle istituzioni e minori spese. Nel testo approvato la definizione dei rapporti tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato, è così piena di imprecisioni, confusioni, inutile accumulo di dettagli, cattiva scrittura, da aumentare a dismisura i difetti già ingombranti della precedente riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione. La confusione sarà aumentata dalla presenza di ben otto diversi iter legislativi. E si può prevedere che la Corte costituzionale sarà presto oberata di questioni riguardanti vaghezze e contraddizioni del testo.

Quanto al risparmio ti faccio osservare che gli stipendi dei senatori attuali non sono il maggior capitolo di spesa dell’istituzione, così come, in ambito più ampio, gli stipendi di tutti i parlamentari non sono la parte maggiore dei reali costi della politica. D’altra parte, se si voleva il risparmio sugli stipendi, perché non ridurre il numero dei deputati e tagliare i loro emolumenti?

Aquilante: Già, e su questo che risposta dai?

Marfisa: Mi sembra chiaro che per realizzare tutto questo bisognava tenersi buoni i deputati…

No, non ci attardiamo nel passato. Semplicemente non vogliamo che in nome di un preteso cambiamento si realizzi una riforma di per sé sbagliata e contraddittoria. Ha ragione chi dice che andrebbe chiamata schiforma o deforma. E lasciamo da parte, per carità di patria, la qualità dei consiglieri regionali, già illustrata dalle cronache.

Ma soprattutto non vogliamo che questa deforma aggravi i pericoli già assai temibili prodotti dalla nuova legge elettorale, il mostriciattolo Italicum. Anzi, per essere più chiaro: è impossibile parlare di modifica del Senato senza chiamare in causa la nuova legge elettorale.

Aquilante: Eppure la distinzione dovrebbe essere chiara. La riforma del Senato è una legge di modifica costituzionale, la legge elettorale è una legge ordinaria. Perché non possiamo tenerle separate?

Marfisa: Non siamo stati noi a mescolarle. È stata la cosiddetta maggioranza parlamentare, in realtà una minoranza truccata dal premio di maggioranza imposto dalla legge elettorale precedente, il Porcellum. E più in particolare è stato il governo.

Aquilante: E quando e come l’avrebbe fatto?

Marfisa: È semplice. Invece di seguire la via maestra – prima la riforma costituzionale poi la legge ordinaria – ha messo davanti la legge ordinaria per preordinare la legge costituzionale. Oggi quasi tutti l’hanno dimenticato ma in parlamento è stata seguita una procedura mai adottata prima: una legge ordinaria, quella elettorale, stabilisce di valere solo per la Camera dei deputati e prescrive implicitamente la necessità di approvare una legge costituzionale che cancelli l’elettività del Senato e il suo rapporto fiduciario col governo. Un fatto senza precedenti. Ma soprattutto una gravità senza precedenti perché stabilisce a priori, con legge ordinaria, di ridurre l’ambito della sovranità popolare, che prevede l’elezione diretta di Camera e Senato da parte dei cittadini.

Aquilante: Ma il parlamento, in quanto espressione della volontà popolare, non ha la potestà di stabilire le leggi nei cui limiti la volontà popolare si esercita? Non dice più o meno così l’articolo 1 della Costituzione?

Marfisa: L’articolo 1, comma 2, è più preciso. Dice: «La sovranità popolare appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Qui è chiarissimo che se si vuole cambiare il modo di esercizio della volontà popolare si deve intervenire sulla Costituzione. È previsto che si possa fare, ma solo entro la cornice dell’articolo 138 della stessa Costituzione. Quindi con una legge di modifica costituzionale. Non certo con una legge ordinaria che stabilisce di valere solo per la Camera dei deputati.

Aquilante: Non c’è un eccesso di formalismo in questa obiezione?

Marfisa: Niente affatto. Nella legge la forma è inseparabile dalla sostanza. E, detto tra parentesi, la forma scadente delle recenti modifiche costituzionali la dice lunga sulla loro qualità. Ma se con una forzatura vuoi vedere solo la sostanza ti dirò che la legge elettorale Italicum travolge la sovranità popolare con più elementi tutti diretti e convergenti a un unico fine.

Aquilante: E quale sarebbe? Il regno del male?

Marfisa: Accetto l’ironia, ma vediamo i tre elementi principali e verifichiamo quale sia il loro effetto finale. In primo luogo, la legge sottrae alla sovranità popolare il diritto di votare per il Senato. Così il pluralismo della rappresentanza politica si restringe confinato nella sola Camera, dove, come vedremo, viene conculcato con la massima energia.

Aquilante: Qui si potrebbe ribattere che non è del tutto vero. In fondo, secondo il compromesso voluto dalla minoranza Pd, i senatori non saranno indicati dai cittadini?

Marfisa: Indicare non significa votare. E poi non sappiamo ancora come la legge tra sei mesi stabilirà i modi di questa indicazione. E va pure considerato che l’ambito di questa apparente scelta è ristretto ai soli consigli regionali: una platea asfittica e alquanto discutibile. La libertà di scelta dei cittadini è ridotta al lumicino: più che ottenere un compromesso la minoranza Pd ha avuto un contentino di scarso rilievo. Ma questo è solo il primo punto.

Aquilante: Però un momento: se si accetta che finisca il bicameralismo, in fondo si accetta che si voti solo per la Camera. Non è ormai inutile continuare a lamentare la fine del Senato com’era prima?

Marfisa: Qui nessuno si lamenta. Ma non si può nascondere che la fine del Senato comporti un’incisiva restrizione della rappresentanza politica. Forse per capirsi può valere un esempio. Nella precedente legislatura (2008-13) Berlusconi aveva all’inizio una vasta maggioranza in entrambe le Camere. Meno vasta tuttavia al Senato.

Aquilante: E per quale motivo?

Marfisa: Lo sai bene: perché il premio di maggioranza imposto dal Porcellum alla Camera dà un risultato certo, ma non sempre lo garantisce al Senato dove, per dettato costituzionale, viene calcolato non su base nazionale ma regione per regione. Fu sufficiente questa minore potenza della maggioranza berlusconiana al Senato a garantire una maggiore incisività dell’opposizione.

Aquilante: Ma questo è argomento contingente! Tra l’altro insidioso per il tuo punto di vista. Permette di affermare che non vi piace la fine del Senato perché sottrae una tribuna meno sfavorevole all’opposizione. E permette di sostenere che dell’efficacia della maggioranza e del suo governo non ve ne importa niente.

Marfisa: Colpita. Ma del mio esempio di sopra non devi considerare l’aspetto concreto, legato all’anomalia berlusconiana, ma il suo aspetto astratto che può valere quali che siano maggioranza e opposizione.

Aquilante: Allora sii più chiara.

Marfisa: Ci provo. Con la legge precedente (Porcellum) e con quella futura (Italicum) la rappresentanza politica alla Camera è privata del suo pluralismo naturale a causa dell’efficacia schiacciante del premio di maggioranza. Mentre al Senato la minore efficacia del premio lascia uno spiraglio al pluralismo della rappresentanza politica. Quindi la fine del Senato tradizionale comporta la chiusura di quello spiraglio.

Aquilante: Questo posso concedertelo. Ma mi pare comunque che voi siate ben poco interessati all’efficacia della maggioranza e del governo.

Marfisa: No. Siamo tutti interessati all’efficacia dell’esecutivo ma vogliamo appunto che sia esecutivo e non abbia il dominio assoluto sulla rappresentanza politica e sul suo potere legislativo. Un conto è governare, altro ridurre la rappresentanza a piedistallo inerte del governo. Ti ricordo cosa disse Mussolini: la più importante funzione delle elezioni non è produrre un parlamento ma un governo. Ecco, noi al contrario pensiamo che prima si deve garantire una reale rappresentanza politica e poi su questa base costruire il governo.

Ora, ciò che vuole realizzare la nuova legge elettorale è proprio una profonda distorsione della rappresentanza politica allo scopo di garantire comunque un governo, anche se espressione di una minoranza. Obiettivo peraltro già realizzato dal Porcellum, in base a cui non la maggioranza ma la più grossa delle minoranze, truccata dal premio, ha di fatto in mano tutto il potere.

Aquilante: Ma il Porcellum non è stato sanzionato dalla Corte costituzionale?

Marfisa: Sì, vi ha trovato, come si dice, profili di incostituzionalità. Ma la sentenza non è stata presa sul serio. Basti dire che la minoranza che col Porcellum è diventata maggioranza ha prodotto l’Italicum, che è in realtà un Porcellum 2 e che, al di là dei tecnicismi, può produrre effetti ancora più ingiusti del Porcellum 1.

Aquilante: Com’è possibile?

Marfisa: Qui riprendiamo il filo del ragionamento di prima. Siamo arrivati agli altri due punti critici. L’Italicum stabilisce che le liste elettorali abbiano il capolista bloccato: deciso e imposto dalla direzione del partito. Ciò significa che circa due terzi dei deputati avranno la certezza di essere eletti prima del voto: i cosiddetti «nominati» c’erano col Porcellum e ci saranno con l’Italicum. Il potere di scelta dei cittadini è ridotto al minimo. E non basta. I capolista bloccati potranno candidarsi in dieci collegi. E saranno loro a scegliere il collegio in cui risulteranno eletti. Il capolista disporrà quindi di un arbitrio sul destino di coloro che lo seguono in lista. Qui l’elettore è escluso dal gioco.

Aquilante: Che vuol dire?

Marfisa: Poniamo che tu dia la preferenza al secondo in lista nel tuo collegio. Se il capolista sceglie il tuo collegio e, poniamo, è l’unico eletto, la tua preferenza è vanificata. Al contrario, negli altri collegi, non scelti dal capolista, passano i secondi. Lì la preferenza espressa dagli elettori coglie l’obiettivo, ma solo perché il capolista ha optato per un altro collegio.

Aquilante: Ma nella storia delle elezioni non ci sono sempre stati i capolista? Quante volte i partiti hanno imposto ai loro elettori candidati paracadutati da fuori? E perfino, se si può dire, a fin di bene, come nel caso degli indipendenti di sinistra nelle file del Pci. Con le loro forze non sarebbero mai stati eletti e il Pci li portava, come persone di prestigio, in parlamento.

Marfisa: È vero. I capolista ci sono sempre stati, ma nel passato il rapporto di fiducia tra partiti ed elettori era, anche se non si deve esagerare, migliore di adesso. Oggi, secondo l’opinione prevalente, la fiducia è a zero, quindi il capolista bloccato è solo una coriacea autodifesa dei partiti contro l’autonomia di giudizio degli elettori. E la Consulta si è pronunciata contro le liste bloccate del Porcellum.

Aquilante: E quindi si pronuncerà contro i capolista dell’Italicum?

Marfisa: La Consulta si pronuncia solo se interrogata. È già successo col Porcellum. Proprio per interrogarla un gruppo di avvocati ha attivato i ricorsi che, se accolti dal giudice, andranno davanti alla Corte costituzionale. C’è poi lo strumento referendario, e di questo parliamo alla fine. Ma i capilista bloccati sono accompagnati dal principale difetto dell’Italicum, che in parte abbiamo già visto.

Aquilante: Non dirmi: il premio di maggioranza?

Marfisa: Che bisognerebbe chiamare premio di minoranza.

Aquilante: E perché?

Marfisa: Il premio di maggioranza era previsto nella famosa «legge truffa» voluta dalla Dc negli anni Cinquanta. In effetti era molto meno truffa dell’Italicum di oggi. Non c’è proprio confronto.

Aquilante: Come mai?

Marfisa: Secondo la legge truffa il premio andava al partito che raggiungeva il 50 per cento dei voti. Insomma doveva avere la maggioranza per ottenere il premio. Ma nelle condizioni politiche di allora fu considerato uno scandalo e la sinistra si batté allo spasimo contro quella legge. Oggi il Pd fa molto, molto peggio. Oggi, nel migliore dei casi, il premio di maggioranza tocca a chi raggiunge il 40 per cento dei voti.

Aquilante: Non mi sembra così terribile. Negli ultimi anni in Europa e più di una volta (Francia, Inghilterra) chi ha vinto con meno del 40 per cento è comunque andato al governo. Non è dunque diventata fisiologica questa comune condizione che porta la più grossa delle minoranze al governo?

Marfisa: In effetti sembra essere un carattere prevalente della moderna postdemocrazia. Enfatizzato dall’ampliamento crescente dell’astensionismo. Comunque sia, il fenomeno italiano è peggiore degli altri casi europei.

Aquilante: E perché mai?

Marfisa: Perché il mancato raggiungimento del 40 per cento porta con sé il ricorso al ballottaggio dove tra due competitori che hanno mancato la soglia vince chi prende più voti nella competizione diretta. E siccome in Italia vige ormai una condizione non bipolare ma tripolare è assai probabile che il premio tocchi a una forza che nel primo turno aveva a stento toccato il 30 per cento.

Per essere più espliciti: una forza che prende al primo turno il 30 per cento (ma potrebbe essere anche meno) si impadronirebbe del 54 per cento dei seggi. Una cospicua parte dei quali conquistati col voto da altri partiti e a loro letteralmente sottratti a causa del premio. Il principio costituzionale dell’eguaglianza del voto (articolo 48) è demolito: il voto di chi sceglie il partito che prevale conta molto di più del voto degli altri. Non è questo un vero e proprio premio di minoranza?

Aquilante: Il Pd sostiene però che la vittoria nel ballottaggio rimette tutto a posto: vince infatti chi prende la maggioranza dei voti. Anzi il Pd dice: vince chi supera il 50 per cento. E quindi tornerebbe tutto alla normalità. O no?

Marfisa: No. Il ballottaggio potrebbe essere disertato da molti che hanno votato al primo turno e non hanno motivazioni per tornare al seggio: è statistica. Qualcuno si sentirà obbligato a sostenere il proprio partito che rischia per pochi voti. Ma i sostenitori del partito escluso dal ballottaggio con grande probabilità si asterranno. Quindi se al primo turno, in una prospettiva molto ottimistica, i votanti fossero circa i due terzi degli aventi diritto, al ballottaggio potrebbero risultare qualcosa meno della metà. Ed è su quella minoranza di elettori che si calcola quel 50 per cento. In definitiva con l’Italicum il partito votato da meno di un quarto degli aventi diritto al voto si prende il 54 per cento dei seggi e con quello tutto il potere sugli organi di garanzia.

Aquilante: Che sono?

Marfisa: Il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Col 54 per cento dei seggi un solo partito nomina quasi da solo, mettendosi d’accordo con una piccola minoranza acquiescente, il presidente della Repubblica e influisce più di tutti gli altri partiti sulla nomina dei membri della Consulta. Di fatto si mette nella condizione di poter sfornare leggi incostituzionali avendo in mano gli organi di controllo sulla costituzionalità. Il principio fondamentale della separazione dei poteri risulta incrinato. Ma a peggiorare la situazione italiana al confronto con le altre europee c’è la combinazione micidiale tra gli eletti nominati e il premio di maggioranza.

Aquilante: Perché micidiale?

Marfisa: La falsa maggioranza prodotta dal premio sarà formata da deputati obbedienti in quanto nominati in anticipo dalla direzione del partito. In realtà la maggioranza parlamentare sarà inerme nelle mani del capo del partito. È il premierato assoluto. Così il cambiamento della forma di governo sfigura la Repubblica fino al punto di determinare un cambiamento nella forma di Stato.

Aquilante: Addirittura. E perché?

Marfisa: Una Repubblica dove l’autonomia dell’assemblea elettiva è cancellata dalla nomina dei parlamentari e dal premio di maggioranza, e poi schiacciata dal premierato assoluto, non è più una repubblica parlamentare ma è già avviata a divenire una repubblica presidenziale o, se preferisci, «premierale». Ma all’origine di tutto ciò sta un vizio originario.

Aquilante: Quale?

Marfisa: Lo svilimento della Repubblica è avvenuto da parte di un parlamento eletto con una legge, il Porcellum, riconosciuta dalla Consulta come incostituzionale. È vero che aveva salvaguardato il principio di continuità dello Stato: pur eletto con legge incostituzionale il parlamento non poteva suicidarsi e doveva comunque garantire la continuità dell’azione legislativa. Consapevole della sua origine, il parlamento avrebbe dovuto impegnarsi al massimo nell’affrontare e magari risolvere le più pressanti necessità sociali, ma avrebbe dovuto più di tutto evitare di toccare quella Costituzione nei confronti della quale si trovava in condizioni di illegittimità. Tutto poteva fare questo parlamento meno che toccare la Costituzione. Ha fatto quasi solo questo.

L’Italia è così avviata in una prospettiva che per correttezza logica andrebbe chiamata «postcostituzionale». E in questa deriva c’è un ultimo aspetto che chiama in causa la natura stessa della falsa maggioranza.

Aquilante: Sono curioso.

Marfisa: Il parlamento è stato asservito a un governo prodotto da un’operazione di palazzo, non sottoposto alla verifica del voto popolare. È stato espropriato della sua materia naturale. Ho appena detto che il parlamento non avrebbe dovuto toccare la Costituzione, ma se questa forzatura doveva a tutti i costi essere realizzata essa doveva essere compiuta dal parlamento. Invece in parlamento la maggioranza ha accettato di discutere e approvare una revisione costituzionale sotto dettatura del governo. Anzi il governo ha avuto la spudoratezza di sostenere che la revisione costituzionale era condizione vitale per la sua stessa sopravvivenza. Il titolo stesso, «legge Renzi-Boschi», è un insulto all’autonomia delle assemblee elettive.

Tutto ciò dimostra che già la maggioranza parlamentare attuale (falsa ma operante a tutti gli effetti) è sotto il tallone di un comando cui non può e non vuole sottrarsi, ma anzi, sotto la sua guida, appresta il perfezionamento che con l’applicazione dell’Italicum produrrà il premierato assoluto. E a questo punto il nuovo quadro istituzionale sarà la «postcostituzione».

Aquilante: Ritratto e conclusione a mio parere troppo pessimistici. È la via italiana, quindi necessariamente sgangherata, a quella prevalenza del potere esecutivo sul legislativo che in realtà opera già in tutte le postdemocrazie. Posso ammettere che siamo in postdemocrazia ma, secondo me, non ancora in postcostituzione.

Marfisa: Spiega il motivo.

Aquilante: La scadente caratura dei protagonisti di questa storia me li fa apparire tutto sommato inoffensivi.

Marfisa: A me invece aumenta la preoccupazione.

Aquilante: Per stemperare il tuo pessimismo, non ti dà alcuna garanzia il fatto che questa mutazione sia opera del Pd?

Marfisa: Eccellente ironia. Se il Pd riuscirà a concludere questa vicenda avrà realizzato il programma di Berlusconi, oltre tutti i suoi ottimistici sogni. Erdoğan stesso sarebbe orgoglioso di questo risultato. Ma impadronirsi del potere con l’ingegneria costituzionale non porta bene. Se questa storia finisce come vuole il Pd, il Pd stesso si accorgerà di che cosa ha fatto quando prima o poi perderà le elezioni. Allora il premierato assoluto che ha voluto per se stesso scoprirà di averlo contro.

Aquilante: A meno che il Partito della nazione non duri all’infinito. Ma per scongiurare un presente ed evitare un futuro che ti appaiono più che temibili che proposte avete. Che fare?

Marfisa: La porta è stretta: i cittadini si devono riappropriare della loro piena sovranità. Mi accorgo ora di non aver indicato altri due colpi contro di essa: la revisione costituzionale in corso aumenta le firme necessarie per i referendum abrogativi e le leggi di iniziativa popolare. Rende quindi più difficile la partecipazione dei cittadini agli istituti della democrazia diretta.

Quanto alle azioni da intraprendere, ti ho già accennato che sono stati preparati ricorsi contro la legge elettorale affinché su di essa si pronunci la Consulta. È bene che i ricorsi siano sostenuti da comitati di cittadini.

Sono stati presentati i quesiti per il referendum abrogativo contro i due punti più pericolosi della legge elettorale: capilista bloccati e pluricandidature; premio di maggioranza e ballottaggio. Comitati di cittadini sono invitati a dare il loro contributo attivo. Bisogna poi affrontare il referendum confermativo sulla modifica costituzionale del Senato.

È necessario collaborare attivamente con i promotori del referendum No Triv, richiesto da ben dieci regioni: le trivellazioni a tappeto, anche a ridosso delle coste, possono compromettere la salvaguardia ambientale dei loro territori.

Occorre tenere d’occhio i tempi di tutte queste iniziative. Il referendum No Triv sarà il primo, nella primavera 2016, perché la richiesta da parte delle regioni evita la fase della raccolta delle firme. È probabile che il referendum confermativo sulla modifica del Senato sia nell’autunno 2016. Infine il referendum abrogativo sulla legge elettorale, per cui si dovrà raccogliere le firme nei primi mesi del prossimo anno, non può essere prima della primavera 2017. Occorre saper tenere saldamente insieme tutte queste scadenze, farne una battaglia, prima che politica, culturale unitaria.

Bisogna saper spiegare a tutti, senza stancarsi, che modifica del Senato e Italicum sono due morse della stessa tenaglia. La battaglia è: sovranità popolare contro premierato assoluto, sovranità popolare contro postcostituzione.

Per informazioni  http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.net/

 

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